INTRODUZIONE
METODOLOGICA ALLA TRADUZIONE CONTRASTIVA
“Che cosa vuol dire tradurre? La
prima e consolante risposta vorrebbe essere: dire la stessa cosa in un’altra
lingua. Se non fosse che, in primo luogo, noi abbiamo molti problemi a
stabilire che cosa significhi ‘dire la stessa cosa’”. (U. Eco)
La traduzione è
centrale nello studio delle lingue classiche a livello liceale e dunque non si
può prescindere da una focalizzazione preliminare sull’operazione del tradurre.
La traduzione è, in sé,
un’attività specialistica, complessa, approssimativamente così rappresentabile,
quanto a stadi di lavoro: decodificazione della lingua di partenza,
ricodificazione nella lingua di arrivo e passaggio attraverso un’oscura fase in cui si realizzano comprensione e mediazione
del messaggio. Già questo risulta essere un insieme articolato e difficile
da gestire.
Il problema didattico
è: come trasmettere, con quali tipi di
esercitazione, questa abilità complessa.
Paradossalmente l’utile
del lavoro di traduzione risiede nell’insegnare, o meglio, nel far avere l’esperienza
che non esiste un metodo di traduzione
o, addirittura, che tradurre sfiora l’impossibilità: nel senso di far
comprendere che la traduzione deve
essere compiuta con rigore scientifico, ma può giungere a molti, diversi, quasi sempre
insoddisfacenti risultati.
La traduzione è
comunque un’operazione che fa violenza
al testo, ma è uno strumento che costringe alla riflessione linguistica.
Costringe a una dissezione del testo di partenza, che è utile anche se il
risultato della successiva ricomposizione delle membra del testo è, a livello
liceale, simile alla mostruosa creatura di Frankenstein.
Ha scritto Niccolò
Tommaseo, scrittore del secondo romanticismo italiano e autore di un celebre Dizionario della lingua italiana, che “raffrontare la traduzione all’autore
tradotto, e l’una con l’altra le traduzioni varie, sarebbe esercizio non
solamente di lingua e di stile, ma di idee e raziocinii: giacché il paragone
delle parole conduce a pensare le cose, e dall’ordine dei costrutti di
necessità ascendesi all’ordine de’ concetti.”
Parlare di confronto
fra traduzioni come strumento didattico significa mettere a contatto gli
studenti con quella che si suole chiamare “traduzione letteraria” ovvero con la
massima espressione della traduzione come attività specialistica. “Entrare nel
laboratorio dei traduttori” può quindi essere intesa come un’attività di tipo
seminariale, da svolgere prevalentemente in classe, seguendo
approssimativamente questo schema di lavoro:
1)
Proposta
di un testo (privilegiati quelli poetici, in IV Catullo, Lucrezio, Virgilio, Orazio),
previa conoscenza dell’Autore e dell’opera ovvero del suo inquadramento nella storia
della letteratura latina, accompagnato da 3 o 4 traduzioni letterarie.
2)
Decodificazione
del medesimo per via di una traduzione letterale, comprensiva di analisi
morfo-sintattica; focalizzazione su parole, ad esempio su quelle fondamentali
per l’intendimento del pensiero o per la definizione dello stile dell’Autore
(ricerche sul dizionario, indicazione di etimologie).
3)
Ricodificazione
del
testo per arrivare a una traduzione
personale, per via d’un confronto
tra il testo tradotto letteralmente e le traduzioni letterarie.
4)
Commento
stilistico, con riguardo ovviamente alla forma e al contenuto.
“La traduzione contrastiva è
[…] figlia del modello gnoseologico
ermeneutico, che fa dell’interpretazione il cardine dell’approccio al testo.
Non viene fornita infatti ‘la’ traduzione – quella sola, quell’unica giusta
alla quale i docenti sembrano tanto affezionati – ma ‘le’ traduzioni o, meglio,
alcune possibili interpretazioni. In tal modo, si avvezza l’adolescente alla
consapevolezza del carattere comunque parziale e relativo di ogni
interpretazione, anche la propria, e di come la ricerca dell’oggettività sia,
di per sé, un concetto plurale.” (Antonia Piva)
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