PROPERZIO
(II PARTE)
I
libro: 22 elegie, 700 versi
II
libro: 34 elegie, 1400 versi
III
libro 25 elegie, 1000 versi
IV
libro 11 elegie, 1000 versi
Tot
92 elegie
IL
RUOLO DEL MITO NELL’ELEGIA PROPERZIANA
·
I e II libro maggioranza di elegie dedicate a
Cinzia: ispirato dalla vita reale, l’amore è reso poeticamente secondo i codici
dell’amore elegiaco, modello di una particolare
esperienza, di vita, di amore e di poesia.
·
Nel III libro la presenza della donna si
riduce, il rapporto d’amore entra in crisi, fino al discidium, l’addio definitivo, annunciato nell’ultima elegia del
libro (III, 25, quella in cui immagina che Cinzia, ormai vecchia, lo
rimpianga).
·
Nel IV libro prende la via del mito, alla maniera callimachea, con
erudizione raffinata (qualche traccia di Cinzia resta pur sempre, anche sotto
specie di evocazione diretta).
·
Excursus
mitologici
compaiono comunque anche nei libri
precedenti, all’interno di elegie dedicate del tutto a Cinzia. Il poeta se ne
serve brevemente per proiettare la propria tormentata storia d’amore sullo
sfondo di una vicenda mitica, esemplare
e, qualche volta, dall’esito del tutto opposto alla sua (I elegia del I
libro, Atalanta che sposa Milanione, o Ippomene). Altro esempio, sempre nel I
libro, la III elegia:
Come Arianna estenuata
si abbandonò sulla
spiaggia deserta, quando
la nave di Teseo
dileguava; come
la figlia di Cefeo
dormì il suo primo sonno, Andromeda,
libera ormai dagli irti
scogli; e come
la Baccante si abbatte sulle erbe dell’Apidano
non meno stanca per le
lunghe danze:
tale mi parve Cinzia
respirare un sonno
tranquillo
poggiando il capo sulle
mani incerte
quando a tarda notte
trascinavo passi da
ubriaco
di molto vino, i servi
agitando le fiaccole.
Non ero
del tutto fuori di me e
prendo
a sdraiarmi piano piano
nel suo letto. Un duplice
desiderio mi dominava:
di qua Amore
di là Bacco,
inflessibile
l’uno e l’altro dio, e
mi spingeva
a saggiarla, con
delicatezza
passandole sotto il
braccio, e a coprirla
di baci, con l’arma
pronta in mano. Ma
mi mancò il coraggio
di turbare il sonno
della mia signora: temevo per esperienza
lo scoppio del suo
furore. Immobile
la guardavo fisso come Argo
le corna inconsuete
dell’Inachide. Ora
dalla fronte scioglievo
le piccole corone
di fiori, Cinzia, per
porle
intorno alle tue
tempie, ora
mi divertivo a comporre
i tuoi capelli
disfatti, ora
offrivo alle mani
aperte
frutti furtivi; e tutti
i doni
offrivo al tuo sonno
ingrato, che scivolavano
più di una volta se
chinavo il petto
verso di te. E quando
sospiravi
in un raro
trasalimento, attonito
restavo, confidando in
un vano presagio, temendo che sogni
ti recassero insolite
paure, come se qualcuno
contro il tuo volere ti
possedesse. Finché la luna
filtrando dalle
finestre aperte, la luna frettolosa
che volentieri avrebbe
trattenuto la sua luce
ti aprì gli occhi fino
ad allora
chiusi con raggi
leggeri. Il gomito
appoggiato sul morbido
giaciglio “Finalmente –
disse “un’offesa ti
riporta al mio letto dopo averti
cacciato
dalla porta di
un’altra? Dove hai sprecato le lunghe ore
di una notte mia,
spossato
ahimè, al calar delle
stelle? Possa tu
crudele assaporare
notti come quelle
che a me fai vivere per
mia sventura! Prima
tessevo la porpora per
ingannare il sonno, e poi
stanca ponevo mano alla
lira di Orfeo e sola
intanto piangevo
sommessa tra me e me
i tuoi lunghi indugi in
un amore
altro da me, finché non
scivolai
tra le dolci ali del
sonno. Fu quello
l’estremo rimedio al
mio pianto. (A. Tonelli)
·
Miti evocati: Arianna; Andromeda; l’Inachide cioè la figlia di Ino, Io, trasformata in
giovenca da Giunone.
·
Properzio pratica nel componimento la classica tecnica
alessandrina del “catalogo”, in questo caso delle donne addormentate: la loro
vicenda resta sullo sfondo; dei tre, l’esempio di Arianna è quello che torna
alla fine, dato che Cinzia si presenta come una donna abbandonata, con
reminiscenza implicita anche di Penelope, evocata per via della tessitura della
porpora.
·
Solo nel IV libro, tuttavia, Properzio
rende davvero dominante il mito, coltivando quella che si definisce propriamente
elegia eziologica, nuovamente di
modello callimacheo (Αἴτια, Origini).
·
Non
ritratta la recusatio della poesia
epica, che costituisce un elemento integrante e ineludibile della scelta
elegiaca, poesia in “tono minore”, soggettiva, che rinuncia a pose
magniloquenti, ma “obbedisce” alla
richiesta del suo Mecenate di recare un omaggio ad Augusto.
·
Scrive
quindi le elegie romane, tra cui spicca, per l’originale rivisitazione appunto
in chiave elegiaca di un mito connesso con il mos, quella dedicata a Tarpeia.
·
Costei è una vergine Vestale, che secondo
diverse tradizioni mitiche avrebbe tradito i Romani, consegnando la città,
ovvero aprendo le porte del Campidoglio.
·
Secondo
la versione ufficiale del mito, la vestale sarebbe stata spinta al tradimento
da cupidigia, chiedendo in cambio del suo favore i bracciali d’oro che i
soldati sabini portavano al braccio, ma Properzio sostituisce a questo motivo
venale, quello amoroso.
·
La
tumulazione finale sotto gli scudi è giustificata da altre lezioni esistenti
del mito, secondo le quali Tarpeia avrebbe domandato a Tazio di avere ciò che i
suoi soldati tenevano con il braccio sinistro: a seconda dei casi o
braccialetti o scudi.
·
Lo
storico greco Appiano, ad esempio, la cui redazione del mito non poteva essere
nota a Properzio risalendo al II secolo d. C., riporta dell’uccisione di
Tarpeia con un cumulo d’oro gettato su di lei; altre fonti parlano in effetti
di scudi e bracciali che l’avrebbero seppellita, mentre la più antica a noi
nota, gli annali redatti nel 133 a. C. da Calpurnio Pisone, riferiscono
addirittura che Tarpeia non avrebbe tradito i Romani ma tentato di salvare la
città, inviando un messaggero a Romolo e venendo per questo, scoperta, fatta
uccidere da Tazio.
·
Nessuno
comunque prima di Properzio aveva raccontato la vicenda di Tarpeia in chiave
sentimentale.
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