·
In
Virgilio, come in Orazio, si incarna il Classico. Equilibrio e armonia, occhio
rivolto alla forma e al contenuto senza soluzione di continuità, come fossero
fatti della stessa sostanza e non potessero andare disgiunti. L’apollineo che nasce dalla luce, ma non teme le tenebre, è
innamorato della compostezza ma sa che anche lei è debitrice nei confronti del
caos.
·
Virgilio
è uno spirito libero, come già ho dimostrato leggendo la sua Eneide e riconoscendole una doppia
anima, ed è anche uno spirito tormentato.
·
Publio
Virgilio Marone nasce presso Mantova nel 70 a. C., da piccoli proprietari
terrieri. Fra Roma e Brindisi si svolge la sua educazione, precoce la sua prima
prova letteraria, di cui rimane tuttavia traccia discussa (una raccolta
intitolata Catalepton inclusa nella Appendix virgiliana.
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Il
primo testo di Virgilio sono le Bucoliche,
composte di sicuro fra il 42 e il 39
(frequenti riferimenti alle confische di territori a favore dei veterani della
vittoria di Filippi del 42). Subito dopo la pubblicazione delle Bucoliche Virgilio entra nel circolo di
Mecenate. Inizia quindi a scrivere le Georgiche,
a cui lavora a lungo, completandole nel 29 (ad Atella, in Campania, Ottaviano reduce
dalla battaglia di Azio si fa leggere il poema da Virgilio).
·
Da
quel momento il poeta si dedica alla scrittura dell’Eneide, pubblicata dopo la
morte di Virgilio, per volontà di Augusto, che ordina a Vario Rufo di curarne
l’edizione. Il poeta infatti era morto a Brindisi il 21 settembre del 19 a.C. ,
di ritorno da un viaggio in Grecia, ed era stato sepolto a Napoli. Immediata la
fortuna dell’opera.
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Bucolica carmina, parola di origine greca che
significa canti dei bovari. Il modello è Teocrito, poeta alessandrino siciliano
del III secolo, inventore del genere idillico.
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Virgilio
trasforma Teocrito accentuando gli elementi di stilizzazione e idealizzazione
della resa del paesaggio. Nel contempo introduce anche elementi realistici (la
Storia).
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La
I e la IX ecloga, in effetti, sembrano proprio riflettere il dramma delle
espropriazioni, nonché un’esperienza autobiografica vissuta da Virgilio.
·
Nella
IV ecloga, come annuncia l’esordio (paulo
maiora canamus) il poeta si solleva oltre la sfera pastorale per cantare un
grande evento (gara interpretativa in merito alla IV ecloga ha riguardato, nei
secoli, l’identificazione del puer
misterioso che il poeta qui evoca).
·
Probabilmente
è l’espressione di una poesia visionaria, pervasa di spirito oracolare e
espressa in un linguaggio vagamente oscuro,
·
Il
titolo Georgica (Canti sulla vita dei
campi) rimanda alla tradizione della poesia didascalica ellenistica, il cui
padre è però Esiodo, poeta del VII secolo a. C. autore delle Opere e i giorni, cui Virgilio si ispira
esplicitamente.
·
Sono
un poema didascalico in 4 libri, ognuno dedicato a un particolare aspetto della
vita dei campi: coltivazione dei campi il I, l’arboricoltura il II,
l’allevamento del bestiame il III, l’apicoltura il IV.
·
I
libri hanno un’autonomia tematica, ma
sono anche collegati fra loro; inoltre ognuno è introdotto da un proemio e
contiene digressioni conclusive di estensione regolare: un’ottantina di versi
dedicati nel I libro (463-514) alle guerre civili, nel II alla lode della vita
agreste, nel III alla peste di animali nel Norico, nel IV alla storia di
Aristeo e delle sue api.
·
Il
I e il III libro presentano quindi un forte richiamo interno (guerre
civili-peste), mentre il secondo e il quarto offrono visioni rasserenanti (e in
questo senso anch’essi si richiamano l’un l’altro).
·
Lucrezio è oggetto sia di riprese sia di
distanziamenti da parte di Virgilio. Nel II libro, per esempio, Virgilio fa una
sorta di “professione” di distanziamento dall’epicureismo “giovanile”: rivaluta
la pietas dell’uomo dei campi, che
non può accettare l’antiprovvidenzialismo epicureo e affida alla benedizione degli dei della
campagna i frutti della propria fatica.
·
Se
da un lato l’opera ha questi contenuti che si possono ritenere fortemente
collegati con uno spirito dell’epoca, alla cui fondazione peraltro di sicuro
anche Virgilio concorre, da un altro, proprio come l’Eneide, valica i confini del transitorio. […] Labor omnia vicit/ improbus et duris urgens in rebus egestas
(145-146, I), ossia La fatica, incessante, ha trionfato su tutto, e il bisogno
pressante nelle difficoltà”.
·
Teoria virgiliana sulla fine dell’età
dell’oro, voluta da Giove per stimolare, attraverso la fatica, l’ingegno umano.
Però, lucrezianamente, sottolinea che è
l’egestas a urgere, ossia il bisogno a premere nelle difficoltà in modo tale da
spingere l’uomo alla scoperta delle varie artes.
Tuttavia, a differenza di Lucrezio che attribuisce all’uomo primitivo
un’esistenza ferina (De rerum natura, V, 925-1010) Virgilio colloca all’inizio
della storia umana la mitica età dell’oro, inserendo come motivo determinante
della perdita della medesima, l’intervento di Giove mosso dall’intento di
promuovere un passaggio evolutivo nell’uomo.
·
Virgilio
combina l’idea lucreziana di progresso connesso con la spinta dell’egestas con quella provvidenziale
stoica. Così riesce a compendiare esaltazione del labor e rappresentazione
realistica della vita contadina.
·
Un
modello di laboriosità sono le api. Come Giove ha introdotto il labor per scuotere gli uomini dal
torpore dell’età dell’oro, così ha dotato le api di una perfetta organizzazione
e spontanea attitudine al lavoro.
·
Amor habendi, il giusto trasporto verso ciò di
cui si ha bisogno. La volontà delle api
di mettere da parte in tempi di abbondanza ciò di cui si potrebbe avere bisogno
in futuro.
·
Alla
fine del II libro delle Georgiche
Virgilio introduce il tema del confronto fra la vita cittadina e la vita di
campagna: la vita contadina, condotta all’insegna del labor e della temperanza, è contrapposta agli eccessi
destabilizzanti della città, segnata da lusso, avidità, violenza. Il makarismòs dei contadini, la loro felicità, contrapposto
alla città in cui dominano corruzione, superbia e arroganza dei potenti,
eccesso di abiti, tessuti, suppellettili, profumi.
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