Il rischio di cercare risposte a domande che scavano nel profondo di sé e del mondo, domande che non sceglierebbero mai, se potessero dire la loro, di avere una risposta. Leggere è un'avventura, un azzardo, un gioco pericoloso, uno sport estremo. Chi legge deve essere disposto a graffiarsi l'anima, a dedicarsi, con entusiasmo e rassegnazione, a rapporti in e contro natura, a confidare l'indicibile, a racchiudere in uno sguardo la vita e la morte, a nobilitare il pattume, a degradare il divino, a bestemmiare, a pregare, a rinnegare il padre, la madre, a uccidere il figlio e la figlia, a congiungersi carnalmente con tutti loro, a pregare senza desiderare di essere ascoltato, a mettere le mani nell'infido e nell'orrido, a guardare nel fondo degli occhi chi disprezza, a distogliere lo sguardo da chi ama.
Chi legge non deve arretrare di fronte a nulla, essere disposto ad affrontare battaglie che si sanno perdute, a seguire i Titani su per il monte Olimpo, ad avere negli occhi la prospettiva di un fegato eternamente mangiato da un'aquila, a cercare ovunque tracce del fuoco che potrebbe dare la vita, a incendiare padiglioni d'oro per un'insana smania di distruggere la bellezza.
E poi, chi legge deve essere disposto a dimenticarsi di sé, oppure, peggio, a condividere lo spazio della propria anima (alla quale tiene, tiene tanto, perché alla fin fine è l'unica cosa indivisibile che ha) con qualcun altro, sentendone l'odore da vicino, in una contiguità che solo il corpo sa accettare, a volte, nei suoi momenti di massima promiscuità.
Chi legge corre rischi che già Omero presagiva, quando evocava il potere della parola sulle labbra delle Sirene, in grado di sillabare parole che mai andrebbero udite da chi voglia continuare a vivere in pace.
Nella lettura e nella vita scorre lo stesso sangue, chi legge corre gli stessi rischi di chi vive, di affannarsi per capire che senso abbia qualunque cosa si faccia e non si faccia, di cercare il senso dove non c'è, di mettere ordine al caos o credere che qualcuno mai, nell'universo dacché esiste, l'abbia voluto e potuto immettere.
Amo e m'intendo con chi legge, provo un senso di fratellanza verso chi sente di potersi perdere in una distesa infinita senza voler necessariamente trovare un approdo da qualche parte. Amo e m'intendo con chi non s'appaga di sé e dei suoi angusti confini, ma spinge lo sguardo altrove, indifeso ed eroico al contempo, degno d'onore anche quando s'inabissi in un gorgo fatale, dopo aver provato una gioia estrema, intensamente voluta.
In quell'inferno, di fiammelle che si biforcano come i sentieri della vita, forse sceglierei, mi fosse dato, di stare per l'eternità a raccontare e ascoltare storie.
C.B.
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