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domenica 6 marzo 2016

LEZIONE SUL DECADENTISMO (per gli assenti)

Il Decadentismo
Je suis l'Empire à la fin de la décadence,
Qui regarde passer les grands Barbares blancs
En composant des acrostiches indolents
D'un style d'or où la langueur du soleil danse.

L'ame seulette a mal au coeur d'un ennui dense,
Là-bas on dit qu'il est de longs combats sanglants.
O n'y pouvoir, étant si faible aux voeux si lents,
O n'y vouloir fleurir un peu cette existence!

O n'y vouloir, ô n'y pouvoir mourir un peu!
Ah! tout est bu! Bathylle, as-tu fini de rire?
Ah! tout est bu, tout est mangé! Plus rien à dire!

Seul un poème un peu niais qu'on jette au feu,
Seul un esclave un peu coureur qui vous néglige,
Seul un ennui d'on ne sait quoi qui vous afflige!

Paul Verlaine (1844 - 1896)
Il movimento dei décadents (decadenti) nacque a Parigi nella prima metà degli anni Ottanta. Di Decadentismo si cominciò a parlare infatti in seguito alla pubblicazione di un sonetto di Paul Verlaine sulla rivista «Le Chat Noir» [Il gatto nero], nel maggio 1883. Esso iniziava con il verso «Je suis l’Empire à la fin de la décadence» (Io sono l’Impero alla fine della decadenza). Vi affiorava il concetto che la raffinatezza e l’eleganza siano proprie  delle epoche storiche di decadenza. E in effetti la nuova tendenza è caratterizzata dalla sensazione di un eccesso di civiltà e dell’imminenza di una catastrofe e, nello stesso tempo, dall’orgogliosa rivendicazione del valore positivo dell’artificio e della raffinatezza tipici delle epoche al tramonto. Il movimento decadente avrà il suo organo ufficiale nella rivista «Le Décadent», diretta da Anatole Baju nel 1886. Ma già due anni prima, nel 1884, era uscito il romanzo A rebours [Controcorrente] di un transfuga del Naturalismo, Joris-Karl Huysmans. Il libro, fondato sulla convinzione della superiorità di una vita basata sugli stimoli artificiali e sull’estetismo, divenne la bibbia del Decadentismo. In esso l’aristocrazia dello spirito è polemicamente contrapposta alla volgarità della vita borghese. Controcorrente di Huysmans fece scuola, suggerendo esiti analoghi in Inghilterra e in Italia: la figura del dandy (personaggio eccentrico ed estetizzante) creata da Huysmans torna nel romanzo di Oscar Wilde, The Picture of Dorian Gray (1890)] e nel Piacere di D'Annunzio (1889). Il Decadentismo francese si caratterizza dunque per la percezione di una svolta della storia, che si accompagna a un senso di estenuazione e di morte, di «senescenza e stanchezza, di saturazione culturale e degenerazione», a cui si unisce però «un’idea di nobiltà spirituale» (Hauser). Come movimento organizzato, esso si esaurisce rapidamente, e può dirsi estinto già nel 1890, sostituito da un altro movimento, il Simbolismo, che era nato negli anni Ottanta dalla scissione di quello decadente. Alcuni dei tratti del Decadentismo come movimento confluiscono nel Decadentismo come civiltà culturale e artistica, che fiorisce in tutta Europa fra il 1890 e i primi anni del nuovo secolo. Ne sono esponenti, in Inghilterra, Walter Pater, teorico della religione dell’arte, il poeta Swinburne e il romanziere Oscar Wilde; in Germania il poeta Stefan George; in Austria il poeta Rilke e il drammaturgo e romanziere Hofmannsthal; nel Belgio francese il poeta e drammaturgo Maeterlinck; in Russia lo scrittore Solov’èv; in Italia Fogazzaro, Pascoli e d’Annunzio. Il Decadentismo come fenomeno culturale e artistico nasce dalla rottura epistemologica di fine secolo, e cioè dalla rivolta antipositivistica in filosofia (determinata dal pensiero di Nietzsche e di Bergson) e antinaturalistica in letteratura. Il termine venne usato all’inizio in accezione negativa, mentre oggi designa, in modo neutro, una particolare civiltà letteraria e artistica. I tratti fondamentali del Decadentismo come fenomeno culturale e artistico sono i seguenti:
1. Rifiuto del metodo scientifico e razionale e predisposizione ad atteggiamenti irrazionalistici, ispirati al sensualismo o al misticismo.
2. Soggettivismo e individualismo. L’arte deve esprimere le sensazioni del soggetto, la sua vita interiore e sensuale. L’artista si presenta come un soggetto isolato ed eccezionale, dotato di valori aristocratici e raffinati che lo contrappongono alla prosaicità del mondo borghese, alla volgarità della borghesia e della vita quotidiana. L’artista si trasforma in dandy, che disprezza la massa e ispira la propria vita al gusto della distinzione e dell’artificio.
3. La scoperta dell’inconscio. L’arte tende a esprimere le associazioni profonde dell’io, la complessità dei pre-sentimenti, e a collegare il mistero dell’anima a quello della vita stessa dell’universo.
4. Il ricorso al simbolismo, che è la poetica dominante del Decadentismo: di qui la prevalenza dei procedimenti analogici, la ricerca delle corrispondenze fra l’anima del soggetto e la vita dell’universo, il ricorso alla metafora e soprattutto alla sinestesia.
5. L’estetismo e la religione dell’arte. I decadenti affermano non solo l’autonomia dell’arte, ma la sua superiorità. Per sostenerne l’autonomia, diffondono la teoria dell’arte per l’arte, già elaborata dai parnassiani in Francia e da Walter Pater in Inghilterra: l’arte deve obbedire solo a se stessa, liberandosi da qualsiasi criterio estrinseco di natura morale, politica o sociale. Per sostenerne la superiorità, promuovono il culto della forma come parte integrante del culto dell’arte, intesa come pura Bellezza, ragione di vita, e vera e propria religione. La vita stessa deve ispirarsi a criteri unicamente estetici, e deve risolversi in arte.
6. Una concezione del poeta come artefice supremo o come profeta e vate. Poiché la poesia è concepita come rivelazione dell’Assoluto, il poeta è immaginato come il mediatore e il sacerdote di tale rivelazione. L’artista è un inventore e un creatore: non deve più imitare la vita, come facevano gli scrittori naturalisti, ma crearla.
In Italia il Decadentismo si affermò all’inizio come reazione spiritualeggiante, che contrapponeva i valori dell’anima a quelli materiali promulgati dalla cultura positivistica e dalla letteratura veristica: nacque così, all’inizio degli anni Novanta, il movimento dei «Cavalieri dello spirito», promosso dalla Serao (che aveva abbandonato il Verismo) e da Fogazzaro. Ma si sviluppò poi attraverso l’azione di teorici come Vittorio Pica e soprattutto Angelo Conti, che promosse una concezione dell’arte organicamente improntata all’estetismo nell’opera La beata riva: trattato dell’oblio, uscita nel 1900 con prefazione di D’Annunzio. Un ruolo importante ebbero inoltre le riviste «Il Convito» (1895-1907), diretta da Adolfo De Bosis (vi collaborarono d’Annunzio e Pascoli), e «Il Marzocco». Il Decadentismo italiano fiorisce soprattutto nel quindicennio 1890-1905. Si afferma infatti a partire da Il piacere di D’Annunzio nel 1889 e da Myricae di Pascoli nel 1891, mentre la pubblicazione dell’Alcyone di D’Annunzio nel 1903, dei Poemi conviviali di Pascoli nel 1904 e del romanzo Il Santo di Fogazzaro nel 1905 segnano il culmine, ma anche la conclusione della parabola decadente. Il Decadentismo italiano presenta caratteri specifici. Si differenzia da quello europeo per i suoi tratti spiccatamente umanistici e per il legame, ancora forte, con la tradizione classica. Di qui la ripresa da parte di Pascoli e di D’Annunzio di motivi tradizionali, quali quello del poeta-vate risorgimentale, e la tendenza a riproporre un ruolo protagonistico, anche in campo ideologico, della figura del poeta, che era invece improponibile nelle altre nazioni. D’altronde tale tendenza poteva sopravvivere in Italia per i tratti di arretratezza economica e sociale del nostro paese, ancora, alla fine dell’Ottocento, patrizio-borghese, piuttosto che strutturato nelle forme di una moderna democrazia di massa. Anche la capacità di approfondimento delle tematiche legate all’inconscio appare limitata. Riprende indubbiamente dal Romanticismo nordico l’individualismo, la tendenza al simbolismo e all’irrazionalismo, l’opposizione io-società. Mentre però il Romanticismo aveva fatto dei sentimenti e delle passioni la propria materia preferita, il Decadentismo sceglie un’area più profonda: quella dei pre-sentimenti e dell’inconscio (si ricordi che la psicoanalisi di Freud nasce all’inizio del Novecento). Inoltre il Romanticismo aveva esaltato l’artista come eroe e ribelle, sottolineandone gli aspetti titanici e costruttivi; invece i decadenti amano la figura del dandy, personaggio eccentrico ed estenuato, ammalato di civiltà e rivolto all’artificio. Anche il rapporto delle avanguardie novecentesche con il Decadentismo è di continuità e, insieme, di rottura. La continuità consiste nella comune cultura, profondamente segnata dall’influenza di Nietzsche e di Bergson. La rottura è tuttavia prevalente rispetto alla continuità. Essa deriva dalla messa in discussione della concezione dell’arte oracolare e superiore dei decadenti e della figura del poeta come artefice creatore o dandy: il poeta espressionista ha ormai introiettato la caduta dell’“aureola” e la fine dell’“aura” e si colloca quindi in una prospettiva assai meno aristocratica. Tende inoltre a rifiutare le poetiche del Simbolismo contrapponendo a esse modalità di tipo allegorico. 

        


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