«Scrivo un manifesto e non voglio niente, eppure certe cose le dico, e sono per principio contro i manifesti, come del resto sono contro i principi (misurini per il valore morale di qualunque frase […]). Scrivo questo manifesto per provare che si possono fare contemporaneamente azioni contraddittorie, in un unico respiro; sono contro l’azione, per la contraddizione continua e anche per l’affermazione, non sono né favorevole né contrario e non dò spiegazioni perché detesto il buonsenso. […]
DADÁ NON SIGNIFICA NULLA
Non si può costruire tutta la sensibilità su una parola, ogni costruzione converge nella perfezione che annoia, idea stagnate di una palude dorata, prodotto umano relativo. L’opera d’arte non è mai bella per decreto legge, obiettivamente, all’unanimità. La critica quindi è inutile […] Parlo sempre di me perché non voglio convincere nessuno, non ho il diritto di trascinare gli altri nella mia corrente, non costringo nessuno a seguirmi e ciascuno si fa l’arte che gli pare […]. Così nasce DADÁ da un bisogno di indipendenza […] Quelli che dipendono da noi restano liberi. Noi non ci basiamo su nessuna teoria. Ne abbiamo abbastanza delle accademie cubiste e futuriste: laboratori di idee formali: Forse che l’arte si fa per soldi e per lisciare il pelo dei nostri cari borghesi? Il pittore nuovo crea un mondo i cui elementi sono i suoi stessi mezzi, un’opera sobria e precisa, senza oggetto. L’artista nuovo si ribella: non dipinge più (riproduzione simbolica e illusionistica) ma crea direttamente con la pietra, il legno, il ferro, lo stagno, macigni, organismi, locomotive che si possono voltare da tutte le parti, secondo il vento limpido della sensazione del momento.
Qualunque opera pittorica o plastica è inutile; che almeno sia un mostro capace di spaventare gli spiriti servili, e non la decorazione sdolcinata dei refettori degli animali travestiti da uomini, illustrazioni della squallida favola dell’umanità. Un quadro è l’arte di fare incontrare due linee, parallele per constatazione geometrica, su una tela, davanti ai nostri occhi, secondo la realtà di un mondo basato su altre condizioni e possibilità. Questo mondo non è specificato, nè definito nell’opera, appartiene alle sue innumerevoli variazioni allo spettatore.
LA SPONTANEITÀ DADAISTA
[…] L’arte è una cosa privata, l’artista la fa per se stesso; […] abbiamo bisogno di opere forti diritte precise e incomprese una volta per tutte. La logica è una complicazione. La logica è sempre falsa. […] Tutti gli uomini gridano: c’è un gran lavoro distruttivo, negativo da compiere: spazzare, pulire. Senza scopo nè progetto alcuno, senza organizzazione: la follia indomabile, la decomposizione».
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