Ho conosciuto Isotta Fraschini su una spiaggia di Stromboli. Il mare ci stava regalando, mentre eravamo sedute accanto sulla sabbia scura di Ficogrande, uno di quei tramonti che inducono alla confidenza, anche se non ci si è mai visti e mai più ci si rivedrà. Io ero giovane e entusiasta, appena diventata madre e appena incaricata di insegnare, già di ruolo, in un triennio di liceo scientifico. Ricordo precisamente: ero innamorata di tutti i miei allievi. Ero innamorata della possibilità che mi veniva data, di indicare loro cosa ci fosse di infinitamente interessante, bello, prezioso, nello studio delle lettere italiane e latine. Sentivo, già allora, che lo studio rende liberi, ci credevo e desideravo condividere con altri questa pienezza. Ricordo che parlavo del mio futuro anno scolastico con questi allievi, quasi con lo stesso entusiasmo e scintillio nello sguardo con cui guardavo all'infanzia del mio bambino. Una vicenda unica e irripetibile che era capitata proprio a me e di cui, miscredente già allora, non avrei saputo chi ringraziare, pur avendo il cuore traboccante di riconoscenza.
Ma è di lei che voglio parlare, della gentile, apparentemente fragile e anziana Isotta. Una donna bellissima, con liquidi occhi azzurri e una rete fine di rughe sulla pelle chiara, capelli bianchi elegantemente raccolti a formare uno chignon, dal quale sfuggivano poche ciocche, che il vento disponeva leggiadramente intorno al suo viso. Un corpo esile e asciutto, che lei rivelava solo in silhouette, indossando un ampio caffetano bianco. Ricordo con particolare nettezza la sua voce: non troppo risonante nel timbro, caratteristica che permette di individuare gli insegnanti in qualunque luogo si trovino, ma delicato, sommesso, eppure incisivo e in grado di raggiungere l'anima. La mia di sicuro. Ci eravamo solo incrociate, fino a quel giorno, in alcune occasioni, passando per le strette strade dell'isola. La sua figura graziosa mi aveva già colpita, per quanto io fossi di solito assorbita dalla cura del piccolo treenne perennemente inquieto. Era la prima volta, però, che ci trovavamo sedute quasi vicine, intente a guardare entrambe il flusso e riflusso del mare un po' agitato, che formava a riva una turbolenza oscura, in contrasto con la luce diffusa del tramonto. Fu lei a iniziare a parlare e, complice quell'intimità immotivata, se non dall'ora e dal luogo, prese a raccontare la sua vita da insegnante, senza preamboli, come se io fossi lì per ascoltare proprio quel racconto, proprio in quell'ora e proprio dalle sue labbra.
Isotta era stata un'insegnante appassionata. Non aveva scelto quel mestiere, ma le era capitato di farlo, eppure questa specie di casualità forzosa, non le aveva impedito, o addirittura aveva in qualche modo favorito, l'esserne conquistata. Diceva di ricordare ancora i nomi di molti suoi allievi, di riuscire a sentirne con chiarezza le voci, che cosa avessero detto in certe circostanze. Evocava con dolcezza, ma senza commozione, i loro capi chini sui fogli, intenti a prendere appunti o a rispondere alle domande dei suoi compiti, a comporre svolgimenti su argomenti suggeriti da lei. Isotta evocava una sorta di idillio permanente, una comunione di intelletti e di anime che si incontrano e desiderano insieme riconoscere e costruire bellezza. Ascoltavo estasiata la sua descrizione di un mondo nel quale io ero da poco entrata e che già percepivo esattamente come descriveva lei: un mondo che è volontà e rappresentazione, in cui entrambe sono detenute da chi è incaricato di guidare ma egualmente entrambe sono riconosciute come forze attive da chi ha deciso di essere guidato.
Chissà, penso ora, che io non mi sia inventata, in quell'ora e in quel luogo, Isotta Fraschini, idealista dell'insegnamento, per dare corpo e voce a un desiderio che mi sembrava troppo sopportare da sola. I desideri possono essere invadenti e diventare morbosi, sostituirci nella presenza sulla faccia della terra. A meno che non li si condivida con qualcuno. Isotta Fraschini, che chissà se è mai esistita sul serio, è stata per anni un mio alter ego silenzioso e efficiente: è stata lei a trascorrere parti delle notti a mettere a punto lezioni, immaginandosi con quale attenzione e interesse occhi pieni d'intelligenza avrebbero incoraggiato anche le lezioni più lunghe, mani si sarebbero alzate per contribuire con domande stimolanti, talora anche provocatorie, l'approfondimento o l'estensione di campi d'indagine. Ogni tanto era lei a suggerirmi efficaci metodi per riprendere contatto con allievi che si perdevano o resistevano all'insegnamento, manifestando insofferenza o, peggio ancora, indifferenza. Insomma Isotta è stata a lungo il mio Virgilio personale, la mia ombra fedele, la mia amica meravigliosa.
Da qualche anno, però, Isotta non agisce più nel mio spirito con l'efficacia dei primi tempi. Sento che sto per rimanere sola con il mio desiderio diventato morboso perché inappagato. Non incontro più sguardi che lo accendano e ho la netta percezione che nessuno abbia bisogno di me in un mondo in cui regnano sovrani l'isolamento e la dimenticanza. Forse Isotta ha subito per prima le conseguenze di questo vuoto e ne è morta.
Rimango io, in me mal viva, e morta in lei ch'è morta.
Nota dell'Autore: Isotta Fraschini, per chi desiderasse indagare, è stata una casa automobilistica italiana. A Stromboli, vista l'angustia delle vie, percorse quasi solo da api piaggio, le isotta fraschini, quand'anche redivive, non potrebbero passare. Ciò non toglie che io abbia incontrato sul serio un'anziana signora sulla spiaggia di Ficogrande con questo magnifico nome parzialmente wagneriano. Che poi ella fosse reale, questa è un'altra storia, che per ora non intendo approfondire.
Chissà, penso ora, che io non mi sia inventata, in quell'ora e in quel luogo, Isotta Fraschini, idealista dell'insegnamento, per dare corpo e voce a un desiderio che mi sembrava troppo sopportare da sola. I desideri possono essere invadenti e diventare morbosi, sostituirci nella presenza sulla faccia della terra. A meno che non li si condivida con qualcuno. Isotta Fraschini, che chissà se è mai esistita sul serio, è stata per anni un mio alter ego silenzioso e efficiente: è stata lei a trascorrere parti delle notti a mettere a punto lezioni, immaginandosi con quale attenzione e interesse occhi pieni d'intelligenza avrebbero incoraggiato anche le lezioni più lunghe, mani si sarebbero alzate per contribuire con domande stimolanti, talora anche provocatorie, l'approfondimento o l'estensione di campi d'indagine. Ogni tanto era lei a suggerirmi efficaci metodi per riprendere contatto con allievi che si perdevano o resistevano all'insegnamento, manifestando insofferenza o, peggio ancora, indifferenza. Insomma Isotta è stata a lungo il mio Virgilio personale, la mia ombra fedele, la mia amica meravigliosa.
Da qualche anno, però, Isotta non agisce più nel mio spirito con l'efficacia dei primi tempi. Sento che sto per rimanere sola con il mio desiderio diventato morboso perché inappagato. Non incontro più sguardi che lo accendano e ho la netta percezione che nessuno abbia bisogno di me in un mondo in cui regnano sovrani l'isolamento e la dimenticanza. Forse Isotta ha subito per prima le conseguenze di questo vuoto e ne è morta.
Rimango io, in me mal viva, e morta in lei ch'è morta.
Nota dell'Autore: Isotta Fraschini, per chi desiderasse indagare, è stata una casa automobilistica italiana. A Stromboli, vista l'angustia delle vie, percorse quasi solo da api piaggio, le isotta fraschini, quand'anche redivive, non potrebbero passare. Ciò non toglie che io abbia incontrato sul serio un'anziana signora sulla spiaggia di Ficogrande con questo magnifico nome parzialmente wagneriano. Che poi ella fosse reale, questa è un'altra storia, che per ora non intendo approfondire.
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