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Gli elementi che accomunano carnevale e
commedia dell’arte: mascheramento, gioco dei capovolgimenti, improvvisazione di
momenti di gioco, messinscena spettacolare, espressione dell’estro individuale,
armonizzato o comunque reso funzionale a quello collettivo, al divertimento,
alla sua funzione sociale .
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Carnevale e commedia dell’arte fanno
parte della vita sociale, eppure sono anche in contrasto con essa, ovvero sono
portatori di componenti che, qualora erompessero dai confini “legittimi”
imposti alla trasgressione, potrebbero portare allo sconvolgimento dell’ordine
vigente (interpretazione in chiave sociopolitica, ma soprattutto antropologica).
DAL
RE DEL CARNEVALE AD ARLECCHINO: «La festa del tempo che tutto distrugge e
tutto rinnova»
(M. Bachtin)
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Esempi di ritualismi carnascialeschi sopravvissuti ancor oggi: il rogo del
Re del Carnevale. «È tutta colpa sua! Maledetto sia il Re
Carnevale! Lanciamo contro di lui ciò che abbiamo di più pesante, insultiamolo
per quello che ci ha fatto!».
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Qual è la colpa del Re del Carnevale? Possiamo
cercare una riposta a questo interrogativo interpretando il “rito” carnevalesco
sopra descritto alla luce della cosiddetta teoria mimetica di René Girard . La colpa del Re sarebbe allora quella di
tutti i capri espiatori agli occhi dei loro persecutori: avere scatenato la
crisi, una crisi nella quale tutto si confonde e si mescola, diventando caos. A
dare un contributo essenziale alla creazione dell’indifferenziato e del confuso,
del caos, sarebbe, tra l’altro,
principalmente la maschera.
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Due ipotesi etimologiche
per maschera: da una forma preindoeuropea masca «fuliggine, fantasma nero»oppure
da masca «strega», voce regionale di
area ligure e piemontese a cui appartengono anche i derivati mascaria «incantesimo, stregoneria,
magia» e mascassa «stregona, stregaccia». Masca, a sua volta, deriva
dal latino tardo masca(m),
sostantivo femminile usato nel medesimo significato e attestato, fra l’altro,
nell’Editto di Rotari («Si quis eam strigam, quod est Masca, clamaverit»).
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La maschera velando il volto, lungi dal differenziare le
persone, le rende tutte uguali, tutte omologhe, abolendo per un determinato arco di tempo
ogni differenza di ruolo sociale, di
genere, di età, di appartenenza familiare. Sempre in tema di differenza
abolita o rovesciata è anche l’accompagnamento estetico della festa, ossia la mescolanza di colori discordanti,
il ricorso al travestimento, la presenza dei pazzi
con il loro abbigliamento variopinto
e i loro perpetui vaneggiamenti (riferimento a Arlecchino, con etimologia, e a
Pulcinella).
« "Tra' ti avante, Alichino, e
Calcabrina",
cominciò elli a dire, "e tu, Cagnazzo;
e Barbariccia guidi la decina. Libicocco vegn'oltre e Draghignazzo, Cirïatto sannuto e Graffiacane e Farfarello e Rubicante pazzo." » |
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Il Carnevale presenta comunque nel suo insieme i tratti caratteristici di tutti quei riti
collettivi volti, secondo Girard, a rappresentare, esprimendo e al contempo incanalandone tutta la portata violenta
in senso catartico, una crisi mimetico-indifferenziante originaria da cui una
data società è uscita attraverso il sacrificio, cioè addossando“tutta la colpa”
del disordine creatosi su una sola persona e poi uccidendola,
ristabilendo in tal modo l’ordine sociale
attraverso lo sfogo violento del “tutti contro uno”.
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Si tratta di un «mito di fondazione dell’identità collettiva di un paese». Origini violente, dunque, in
cui l’«avvenimento che ha avuto luogo per la prima volta» è un sacrificio
rituale, ripetuto simbolicamente attraverso il rogo del Re fantoccio (esempio
delle monarchie sacre africane).
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Il re è chiamato a trasgredire qualsiasi
norma sociale: egli «è tenuto a commettere un incesto effettivo o simbolico
[...]; gli si fanno magiare cibi proibiti;
gli si fanno commettere atti di violenza; capita che gli si facciano fare bagni
di sangue; gli si fanno ingerire droghe...». In sostanza, il re deve incarnare
il «trasgressore per eccellenza,
l’essere che non rispetta nulla, che fa sue tutte le forme di hybris, anche le più atroci», giacché egli «non è altro
che una vittima in attesa di sacrificio, un condannato a morte», e
dunque«bisogna che meriti il
castigo che gli è riservato, quanto l’aveva già meritato, a quel che sembra, l’espulso
originario». Questi riti, difatti, culminano quasi sempre con «il sacrificio
reale o simbolico del monarca.
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Il re è l’elemento diverso nell’indifferenziazione generale: è
il solo in mezzo alla folla. Se gli uomini devono scaricare
la propria violenza non su se stessi, bensì su un’unica vittima che muoia
per tutti e riporti la
pace,allora è necessario che tale vittima presenti un elemento che la
differenzi non soltanto da qualcuno, ma
da tutti: uno di questi elementi è la regalità.
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Tuttavia, ve ne sono altri, tali da
costituire una diversità socialmente,
unanimemente condivisa: ad esempio, la pazzia, o la deformità. Ecco così
comparire il buffone , ovvero il doppio del re, l’altra sua faccia:
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Vi sono anche buffoni elevati al rango di re, come
l’emblematico caso del Bebè del Carnevale di Rocca Grimalda, studiato approfonditamente dalla
filologa S. M. Barillari, personaggio tradizionale dell’Alto Monferrato, ormai
in via d’estinzione: il Bebè deve il suo
nome non a qualche legame con il mondo dei bambini, bensì con il mondo delle capre;
si colloca «a metà strada tra il diabolico e il buffonesco»:originariamente
giullare (cioè doppio mimetico) dell’odiato sovrano, egli «gode di tutte le
licenze connesse alla libertas carnevalesca»,
fungendo così da «ministro tollerato ed isolato della trasgressione» o meglio, da «elemento di irregolarità»
rispetto al «rassicurante omeomorfismo» dello spazio sociale.
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Infine, sempre Girard, ha di recente
introdotto, trattando della festa come
rituale mimetico e pre-sacrificale, il concetto di una «antifesta», un cerimoniale ravvisabile in molte culture studiate dagli antropologi:
l’«antifesta» è una sorta di doppio
mimetico della festa stessa, ovvero un «periodo di estrema austerità, un
accrescimento di rigore nel rispetto dei
divieti; in un tale momento, la comunità prenderà precauzioni straordinarie per evitare la ricaduta nella violenza reciproca».
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Il saturnale si è mutato nel suo contrario, il baccanale è diventato
quaresima , ma il rito non ha cambiato scopo».
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