"Ecco così comparire il buffone
, ovvero il doppio del re, l’altra sua
faccia: «il re ha un corrispettivo nella persona del suo buffone, il quale condivide col suo signore un isolamento effettivo, che si rivela spesso più
importante in se stesso che per il valore positivo o negativo,
facilmente reversibile, che gli si può attribuire". (Ibidem). A riprova di ciò, nel Carnevale spesso le due
figure si confondono fino a coincidere: vi sono re dai
tratti anche fisicamente buffoneschi, a testimonianza dello stigma
di “diverso” attribuito alla vittima
(è in questo senso che si devono leggere «le gobbe di incredibile grandezza» e
i «nasi mostruosi» di cui parla Bachtin), così come i «portatori di
malformazioni fisiche». Vi sono anche buffoni elevati al rango di re, come
l’emblematico caso del Bebè del Carnevale di Rocca Grimalda, studiato approfonditamente
dalla filologa S. M. Barillari, personaggio tradizionale dell’Alto Monferrato,
ormai in via d’estinzione: il Bebè deve il
suo nome non a qualche legame con il mondo dei bambini, bensì con il mondo
delle capre – o, sarebbe meglio dire, dei capri (espiatori). Bebè (dal verso
caprino) è infatti il nome che designa, in una leggenda popolare di Visone [è una località in provincia di Alessandria], una
«capretta dai connotati inferi, con corna di ferro e denti d’acciaio» Questi
particolari si ritrovano nella sua omonima maschera carnevalesca, che presenta
un «cappuccio sormontato da due “cornacce” rese rigide, forse, da un’imbottitura,
e ritorte all’indietro come quelle delle capre». Il Bebè – chiamato anche Carnevale, in quanto è il personaggio «volto
ad incarnarne più di altri lo spirito, sussumendone in sé le funzioni
“sceniche” e rituali» si colloca «a metà strada tra il diabolico e il buffonesco»:originariamente
giullare (cioè doppio mimetico) dell’odiato sovrano, egli «gode di tutte le
licenze connesse alla
libertas carnevalesca», fungendo così da «ministro tollerato ed isolato della
trasgressione» o meglio, da «elemento di
irregolarità» rispetto al «rassicurante omeomorfismo» dello spazio sociale. Con il suo «riso ambivalente e demistificante»
punta al«coinvolgimento di tutti gli
abitanti nel rito». Questo tradizionalmente culminava, com’è naturale,
con la sua messa a morte, rievocante
simbolicamente l’evento fondativo della comunità,ovvero l’uccisione dell’odiato storico sovrano locale: il Bebè è
dunque a tutti gli effetti un doppio del re, la cui funzione regale è
riconosciuta in proporzione diretta rispetto a quella di vittima. Infine,
sempre Girard, ha di recente introdotto, trattando della festa come rituale mimetico e pre-sacrificale, il
concetto di una «antifesta», un cerimoniale ravvisabile in molte culture studiate
dagli antropologi: l’«antifesta» è una sorta di
doppio mimetico della festa stessa, ovvero un «periodo di estrema
austerità, un accrescimento di rigore nel
rispetto dei divieti; in un tale momento, la comunità prenderà precauzioni
straordinarie per evitare la ricaduta nella violenza reciproca».
Questo non toglie che permangano anche
nell’antifesta tutti gli altri elementi caratteristici della festa: «stessa
periodicità, interruzione delle attività normali e, naturalmente, riti di
espulsione sacrificale» La funzione sia
dell’una che dell’altra è infatti la medesima:«La logica dell’antifesta è evidente quanto quella della festa. Si
tratta di riprodurre gli effetti benefici dell’unanimità violenta,
risparmiandosi nel contempo le terribili tappe che la precedono e che,
stavolta, sono ricordate in modo negativo. [...] Si accumulano le impurità:
nel periodo che precede immediatamente la celebrazione del rito,
periodo che è in ogni modo associato alla
crisi sacrificale, non si deve più procedere se non con estrema prudenza; la
comunità percepisce se stessa come un deposito di munizioni. Il saturnale si è
mutato nel suo contrario, il baccanale è diventato quaresima , ma il rito non ha cambiato scopo».L’accenno alla quaresima, qui concepita come
antifesta rispetto al baccanale, non è casuale anche ai fini della nostra
analisi: la quaresima infatti è il periodo che inizia proprio alla fine del
Carnevale,che ne rappresenta cioè il “doppio”. Riportando questo rapporto
sull’evento che sancisce la fine di entrambi, dovremmo allora
interpretare la Croce come anti-Carnevale, Gesù come anti-Re;
oppure,scambiando i termini del rapporto, il Re del Carnevale come
Anticristo. (cfr. a questo punto, il post Capriole, ecc.)
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