IL
SIGNIFICATO DELLE PAROLE
NEL
BAULE DELLE MERAVIGLIE
CANOVACCIO
Detto anche “soggetto”
o “scenario” il canovaccio, etimologicamente, fa riferimento alle trame a
maglie allargate degli stracci. Nella pratica scenica erano cartigli attaccati
alle pareti dietro alle quinte, estremamente sintetici, utili a rammentare
entrate e uscite di scena, ossatura dell’azione
e qualche effetto scenico. Tranne rare eccezioni, non contenevano battute.
CAPOCOMICO
Quasi
esclusivamente si trattava di uomini, il termine in realtà è attestato in epoca
tarda.
COMMEDIA ALL’IMPROVVISO
Espressione
usata per definire in modo generico la
commedia dell’arte.
COMMEDIA DISTESA
Termine
usato per definire, nei documenti del XVI e XVII secolo, i testi di commedie
interamente scritte, differenziandole così dai canovacci.
COMMEDIA RIDICOLOSA
Genere che
ebbe fortuna a metà Seicento: lo misero in scena attori dilettanti, che
desumevano tecniche drammaturgiche, maschere e personaggi dai professionisti. Tra
i cultori Gian Lorenzo Bernini, Salvator Rosa (Napoli 1615-Roma 1673
OPERA BUFFA
Detta
anche commedia per musica, o dramma giocoso per musica. Creata a Napoli all’inizio
del XVIII secolo, si diffuse rapidamente in tutta Italia, in particolare a
Venezia.
OPERA REGIA
Detta anche
tragicommedia, coincide con la rappresentazione in cui compaiono personaggi di
estrazione principesca o regale, azioni e intrecci avventurosi, episodi cruenti e scene di battaglia, ma
anche un lieto fine, suggellato in genere da matrimoni in serie. Marginale l’uso
delle maschere. Da questo genere nascerà l’opera in musica.
ROBBE
Costumi e
attrezzi di scena, travestimenti particolari; spesso sono elencate nei
canovacci (ma ancora più spesso compaiono in documenti quali carte d’archivio
di depositi teatrali o di dogane).
SCENARIO
In uso
presso la commedia dell’arte, ma anche nel teatro accademico, di corte, in
musica, nell’opera: è il foglio su cui sono annotati i recitanti, le scene, il
luogo da cui devono uscire i recitanti perché il direttore di scena li possa
guidare; può essere usato dagli attori, ma anche dagli spettatori per seguire
meglio.
ZIBALDONE
Raccolta composta
per accumulo nel corso del tempo di testi di vario tipo e argomento (soggetti,
dialoghi, canzoni, novelle, prologhi, monologhi, proverbi, appunti) in prosa o
in versi, anonimi o d’autore. Utilizzata per comporre in scena i testi recitati
all’improvviso.
LO SPIRITO DELLA COMMEDIA DELL’ARTE SOFFIA NEL CARNEVALE
·
“Ubi vult spirat”, soffia
dove vuole lo spirito delle cose,
attraversa le epoche e gli animi, dà vita e trasforma, percettibilmente e impercettibilmente. Anche lui, come i cabinets
de merveilles, come i bauli un po’ più caotici, richiede sensi molto desti, ma
pure disposizione all’abbandono e anche, pensando al fatto che chi ne ha
scritto per primo sia pure forse l’Autore del libro dell’Apocalisse, una certa
inclinazione alla fantasticheria.
·
Viaggeremo, avendo come tutti i viaggiatori un punto di
partenza, ma non uno d’arrivo. Non ci proponiamo infatti di arrivare da qualche
parte, ma di partecipare della tessitura d’un sogno da parte di un grande
manipolatore dello spirito. Uno scrittore vissuto tra la fine del Settecento e
l’inizio dell’Ottocento, un preromantico, un cultore del genere fantastico. Ernst
Theodor Amadeus Hoffman (1746 Konigsberg,
nella Prussia orientale, 1822, Berlino. Tra le
sue opere, Gli elisir del diavolo, Mastro Pulce e, quello di cui ci
serviremo per intendere lo spirito della commedia e del carnevale, La
Principessa Brambilla, scritto due anni prima di morire).
·
Siamo nel gennaio del 1820: a Berlino Hoffmann riceve come regalo di compleanno, una serie di
stampe sulle maschere della Commedia dell' Arte realizzate nel Seicento dal
grande incisore francese Jacques Callot (primo stimolo)
·
Secondo stimolo: Goethe, che nella città eterna soggiornò, scrive il Carnevale
Romano, una limpida espressione di come appaia il dionisiaco all’occhio
apollineo. Un vitalistico sogno di morte. (Il
carnevale romano risale al 1789)
·
Due, quindi, i punti di partenza hoffmanniani per quella che si configura
come una fiaba, a partire dall’imprecisione del tempo: l’autore medesimo invita
il lettore a non perdere di vista la base del tutto, i fogli di Callot “così
sovraccarichi di senso fantastico” e di immaginare che cosa può aspettarsi un
musicista da un capriccio
·
Dunque siamo a Roma, data imprecisata, al culmine del Carnevale che impazza
lungo via del Corso, coinvolgendo nella sua ebbrezza liberatoria la gente
qualunque, i gran signori, i tanti i
visitatori stranieri.
·
In una stanza, al crepuscolo, una giovane sarta di nome Giacinta Soardi
getta da parte un sontuoso abito rosso, che ha appena terminato di ricamare con
attenzione. È di malumore perché lei non potrà indossare al carnevale quell’abito,
destinato a un’altra. Ella si induce poi a indossarlo e appare splendida.
Giunge quindi il suo innamorato, Giglio Fava, giovane attore del teatro Argentina (fondato nel 1732) di belle speranze, che resta incantato e le
rivolge complimenti come se fosse sulla scena. La fanciulla, per questo, si
adombra. Nel primo capitolo, in realtà già densissimo, vengono presentati i due
protagonisti di quella che, se volessimo ridurla al canovaccio, è una trama molto
semplice: si narra dell’amore fra due ragazzi che, superata un’infinità di
ostacoli, si corona felicemente.
·
Però, tutte le identità si sdoppiano nel tumulto del Carnevale, e i due
giovani, eroi della favola, smarriscono il senso della loro identità, fino a
identificarsi con la principessa di un regno fiabesco e con un «principe assiro»
chiamato Cornelio Chiapperi.
·
Scrive Hoffmann concludendo la
storia in un modo che potrebbe addirsi a una recita teatrale, “dobbiamo
considerare ricchi e felici noi stessi e tutti coloro ai quali è riuscito di
guardare la vita, sé stessi e tutto il loro essere nel meraviglioso specchio di
Urdar e di riconoscere i visi”. E lo
specchio di Urdar, ovviamente, altro non è che il teatro.
NOTA SU SFESSANIA
La
sfessania è una danza napoletana.
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