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TRADUZIONI DI LATINO: FEDRO, POSTILLA SULLA CONTRASTIVA, TACITO, SENECA, AGOSTINO (in fieri)

FEDRO Lupus et Agnus Ad rivum 1  eundem 2  lupus et agnus venerant 3 , siti compulsi 4 . Superior 5  stabat 6  lupus, longeque 7  infe...

domenica 18 gennaio 2015

Repertorio di termini - La principessa Brambilla

IL SIGNIFICATO DELLE PAROLE
NEL BAULE DELLE MERAVIGLIE
CANOVACCIO
Detto anche “soggetto” o “scenario” il canovaccio, etimologicamente, fa riferimento alle trame a maglie allargate degli stracci. Nella pratica scenica erano cartigli attaccati alle pareti dietro alle quinte, estremamente sintetici, utili a rammentare entrate e uscite di scena,  ossatura dell’azione e qualche effetto scenico. Tranne rare eccezioni, non contenevano battute.
CAPOCOMICO
Quasi esclusivamente si trattava di uomini, il termine in realtà è attestato in epoca tarda.
COMMEDIA ALL’IMPROVVISO
Espressione usata  per definire in modo generico la commedia dell’arte.
COMMEDIA DISTESA
Termine usato per definire, nei documenti del XVI e XVII secolo, i testi di commedie interamente scritte, differenziandole così dai canovacci.
COMMEDIA RIDICOLOSA
Genere che ebbe fortuna a metà Seicento: lo misero in scena attori dilettanti, che desumevano tecniche drammaturgiche, maschere e personaggi dai professionisti. Tra i cultori Gian Lorenzo Bernini, Salvator Rosa (Napoli 1615-Roma 1673
OPERA BUFFA
Detta anche commedia per musica, o dramma giocoso per musica. Creata a Napoli all’inizio del XVIII secolo, si diffuse rapidamente in tutta Italia, in particolare a Venezia.
OPERA REGIA
Detta anche tragicommedia, coincide con la rappresentazione in cui compaiono personaggi di estrazione principesca o regale, azioni e intrecci avventurosi,  episodi cruenti e scene di battaglia, ma anche un lieto fine, suggellato in genere da matrimoni in serie. Marginale l’uso delle maschere. Da questo genere nascerà l’opera in musica.
ROBBE
Costumi e attrezzi di scena, travestimenti particolari; spesso sono elencate nei canovacci (ma ancora più spesso compaiono in documenti quali carte d’archivio di depositi teatrali o di dogane).
SCENARIO
In uso presso la commedia dell’arte, ma anche nel teatro accademico, di corte, in musica, nell’opera: è il foglio su cui sono annotati i recitanti, le scene, il luogo da cui devono uscire i recitanti perché il direttore di scena li possa guidare; può essere usato dagli attori, ma anche dagli spettatori per seguire meglio.
ZIBALDONE
Raccolta composta per accumulo nel corso del tempo di testi di vario tipo e argomento (soggetti, dialoghi, canzoni, novelle, prologhi, monologhi, proverbi, appunti) in prosa o in versi, anonimi o d’autore. Utilizzata per comporre in scena i testi recitati all’improvviso.

LO SPIRITO DELLA COMMEDIA DELL’ARTE SOFFIA NEL CARNEVALE
·        “Ubi vult spirat”, soffia dove vuole  lo spirito delle cose, attraversa le epoche e gli animi, dà vita e trasforma, percettibilmente  e impercettibilmente. Anche lui, come i cabinets de merveilles, come i bauli un po’ più caotici, richiede sensi molto desti, ma pure disposizione all’abbandono e anche, pensando al fatto che chi ne ha scritto per primo sia pure forse  l’Autore del libro dell’Apocalisse, una certa inclinazione alla fantasticheria.
·        Viaggeremo,  avendo come tutti i viaggiatori  un punto di partenza, ma non uno d’arrivo. Non ci proponiamo infatti di arrivare da qualche parte, ma di partecipare della tessitura d’un sogno da parte di un grande manipolatore dello spirito. Uno scrittore vissuto tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, un preromantico, un cultore del genere fantastico. Ernst Theodor Amadeus Hoffman (1746  Konigsberg, nella Prussia orientale, 1822, Berlino.  Tra le sue opere, Gli elisir del diavolo, Mastro Pulce e, quello di cui ci serviremo per intendere lo spirito della commedia e del carnevale,  La Principessa Brambilla, scritto due anni  prima di morire).
·        Siamo nel gennaio del 1820: a Berlino Hoffmann  riceve come regalo di compleanno, una serie di stampe sulle maschere della Commedia dell' Arte realizzate nel Seicento dal grande incisore francese Jacques Callot (primo stimolo)
  


·        Secondo stimolo: Goethe, che nella città eterna soggiornò,  scrive il  Carnevale Romano, una limpida espressione di come appaia il dionisiaco all’occhio apollineo. Un vitalistico sogno di morte. (Il carnevale romano risale al 1789)
·        Due, quindi, i punti di partenza hoffmanniani per quella che si configura come una fiaba, a partire dall’imprecisione del tempo: l’autore medesimo invita il lettore a non perdere di vista la base del tutto, i fogli di Callot “così sovraccarichi di senso fantastico” e di immaginare che cosa può aspettarsi un musicista da un capriccio
·        Dunque siamo a Roma, data imprecisata, al culmine del Carnevale che impazza lungo via del Corso, coinvolgendo nella sua ebbrezza liberatoria la gente qualunque, i gran  signori, i tanti i visitatori stranieri.
·        In una stanza, al crepuscolo, una giovane sarta di nome Giacinta Soardi getta da parte un sontuoso abito rosso, che ha appena terminato di ricamare con attenzione. È di malumore perché lei non potrà indossare al carnevale quell’abito, destinato a un’altra. Ella si induce poi a indossarlo e appare splendida. Giunge quindi il suo innamorato, Giglio Fava, giovane attore del teatro Argentina (fondato nel 1732) di belle speranze, che resta incantato e le rivolge complimenti come se fosse sulla scena. La fanciulla, per questo, si adombra. Nel primo capitolo, in realtà già densissimo, vengono presentati i due protagonisti di quella che, se volessimo ridurla al canovaccio, è una trama molto semplice: si narra dell’amore fra due ragazzi che, superata un’infinità di ostacoli, si corona felicemente.
·        Però, tutte le identità si sdoppiano nel tumulto del Carnevale, e i due giovani, eroi della favola,  smarriscono il senso della loro identità, fino a identificarsi con la principessa di un regno fiabesco e con un «principe assiro» chiamato Cornelio Chiapperi.
·        Scrive Hoffmann  concludendo la storia in un modo che potrebbe addirsi a una recita teatrale, “dobbiamo considerare ricchi e felici noi stessi e tutti coloro ai quali è riuscito di guardare la vita, sé stessi e tutto il loro essere nel meraviglioso specchio di Urdar e di riconoscere i  visi”.  E lo specchio di Urdar, ovviamente, altro non è che il teatro.

NOTA SU SFESSANIA


La sfessania è una danza napoletana.



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