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martedì 3 febbraio 2015

L'amore delle tre melarance - Carlo Gozzi (trama)


Tartaglia, figlio del Re di Coppe, è in preda a una misteriosa e mortale malinconia, che
scopriremo dovuta soprattutto al venefico effetto dei versi martelliani propinatigli dalla fata Morgana, sotto le cui mentite spoglie si cela, en travestie, uno dei due rivali di Gozzi, l’abate Chiari.
Invano il padre, il Re di Coppe e il ministro Pantalone si affannano per salvarlo, consultando i migliori medici e organizzando feste e divertimenti di ogni genere. Contro la guarigione del principe tramano Clarice, Leandro e Brighella, mentre a sostegno del Re di Coppe, Silvio, e di Pantalone è schierato il mago Celio, che altro non è se non un grottesco mascheramento fiabesco di un altro Carlo: il rivale Goldoni.
Alla corte del Re di Coppe si presenta la fata Morgana, travestita da orrida e sguaiata megera (travestimento nel travestimento che risemantizza la stessa, collaudatissima e fortunata, pratica testuale), proprio mentre Truffaldino (che incarna la commedia dell’arte) tenta in mille modi di divertire il principe Tartaglia. Alla vista della vecchia e del suo comportamento sgraziato e grottesco il principe scoppia in una fragorosa e irrefrenabile risata che lo libera d’incanto dalla sua misteriosa malattia. Per ripicca Morgana gli lancia una terribile maledizione in versi martelliani («Apri l'orecchio, o barbaro; passi la voce al core; / né muro, o monte fermino il suon del mio furore; / Come spezzante fulmine si ficca nel terreno, / così questi miei detti ti si ficchino in seno[…]») che lo condanna a porsi alla ricerca delle tre melarance tenute prigioniere dalla gigantessa e maga Creonta, personaggio tratto dal Morgante pulciano. Dopo varie disavventure, il giovane riesce però ad impadronirsi dei frutti, da cui balzano fuori tre bellissime fanciulle e a sposare l’ultima, Ninetta, figlia del re degli Antipodi. Alla fine, come in ogni fiaba che si rispetti, l'inganno è sciolto, i malvagi sono puniti e i buoni si apprestano a partecipare al banchetto nuziale presieduto da Celio che esorta Truffaldino a tener lungi i versi martelliani diabolici dalle regie pignatte. Il tutto si conclude con un tuffo acrobatico nella contemporaneità, secondo modalità proprie del travestimentoimmediatamente percepibili nella «calda raccomandazione all'uditorio, perch’egli volesse farsi intercessore coi signori gazzettieri in vantaggio della buona fama di questa fanfaluca misteriosa». 

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