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La tesi di Paul Hazard, storico francese
autore del saggio La crisi della
coscienza europera, del 1935, è che il passaggio dal 1600 al 1700 sia stato
caratterizzato dal tramonto di una civiltà basata sul rispetto dei doveri verso
il sovrano, verso la Chiesa, verso l’autorità, e l’inizio di una civiltà basata
sul rispetto dei diritti del cittadino e del credente.
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Razionalismo cartesiano da un lato,
empirismo e fisica newtoniana dall’altro concorrono a incrinare il principio di
autorità su cui si era basato l’edificio della cultura europea fino a quel
momento, opponendosi all’accettazione acritica di verità precostituite: Il
nuovo spirito critico si estende quasi subito alle questioni religiose,
suscitando discussioni inerenti ai dogmi della fede e alla pretesa scientificità di quanto asserito
nella Bibbia (nasce il deismo fra gli intellettuali).
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La diffusione delle idee è favorita dall’incremento
del commercio librario e dei viaggi: nascono fogli periodici di informazione, si
crea una rete epistolare di comunicazione che lega fra loro i dotti di tutte le
nazioni. Il dibattito filosofico e scientifico fiorisce ovunque, (un po’ meno in
Italia).
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Dal punto di vista statale, il
Settecento è caratterizzato da un
processo di accentramento dei poteri nelle mani del sovrano, detentore
del potere assoluto sul popolo e sul territorio. Funzioni di governo e
amministrazione pubblica sono concepite non come onori o privilegi spettanti a
funzionari e aristocratici di rango più elevato e vicini alla corte, ma vengono
sempre più affidati a un corpo scelto di funzionari specializzati che
gestiscono il potere per conto del sovrano (nasce la burocrazia).
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Lo stato assoluto non si limita a imporre
tasse, leggi e censimenti alle classi inferiori, ma restringe le libertà
nobiliari. Di pari passo con l’affermarsi dell’assolutismo regio si diffonde il
giurisdizionalismo, che mira a stabilire la precedenza della legislazione
civile su quella ecclesiastica, e a estendere l’autorità dello stato anche al
clero e alle congregazioni religiose. La chiesa quindi perde un po’ dei suoi
privilegi e si trova soggetta al potere politico.
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Economicamente si realizzano nel Settecento,
a partire dall’Inghilterra, una rivoluzione agricola e una rivoluzione
industriale, che interessa anche la Francia; solo le regioni asburgiche del
nord Italia sono interessate da innovazioni, mentre a Napoli, capitale del
Regno delle due Sicilie, si sviluppa un variegato e vitale ceto cittadino.
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In campo poetico si assiste a una sorta
di “restaurazione” classicistica, dopo l’eccentricità barocca, anche se un
filone classicistico era sopravvissuto (Roma, Accademia dell’Arcadia, modello Jacopo Sannazzaro col suo poema pastorale
intitolato appunto Arcadia).
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Autori principali dell’Arcadia furono
Pietro Metastasio e Paolo Rolli. Il
primo, nato a Roma nel 1698, trasferitosi a Napoli nel 1718, fu prolifico
autore di libretti per melodramma, fra cui Didone
abbandonata, che gli diede la prima notorietà (1724). Divenne poeta
ufficiale della corte di Vienna nel 1729 e per gli Asburgo scrisse celeberrimi
melodrammi come La clemenza di Tito e
l’Attilio Regolo (il primo messo in
musica tra gli altri da Mozart e il secondo da Alessandro Scarlatti). A Vienna
morì nel 1782.
Sul
nostro libro di testo, p. 268, si trova una sua canzonetta risalente al 1733
intitolata A Nice, messa in musica da
Mozart; inserisco quindi tre ascolti: A
Nice (Mozart), Resta, o cara (da Il trionfo
di Clelia) musicata da Gluck (altro grande compositore del Settecento,
autore tra l’altro della musica di Orfeo,
su libretto di Striggio, di cui sentiremo a suo tempo l’aria Che farò senza Euridice) e Didone abbandonata
musicata da Niccolò Piccinni, barese ma
napoletano d’adozione (sempre Settecento).
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