Nel
1701 l’orientalista e archeologo francese Antoine Galland, già ambasciatore del re di Francia e
ricercatore di libri antichi e opere d’arte in terra orientale per incarico
della compagnia francese delle Indie Orientali, entra in possesso di una raccolta
di racconti del Libano di origine persiana, tradotti in arabo nel VII secolo
d.C. Galland si dedica alla loro traduzione dall’arabo, integrandoli con alcuni
di fonte diversa (Simbad il marinaio)
e altri di sua invenzione (Alì Baba e i quaranta ladroni). La
genesi dell’opera a noi nota come Le
mille e una notte è più complessa di quanto io abbia in queste righe
riassunto, dato che anche il personaggio di Sherazad, che appartiene alla
cornice, è un parto della fantasia di Galland e di alcuni interlocutori (e
interlocutrici) con cui condivise l’elaborazione del testo. La mia breve evocazione
è finalizzata unicamente a introdurre il clima in cui nasce un’altra opera da
cui mi piacerebbe prendere spunto per un lavoro di scrittura creativa. Si
tratta dei Gioielli indiscreti dell’illuminista
Diderot, uno dei redattori dell’Encyclopedie.
Lo spirito dei libertini si rispecchia, per riassumere il motivo di fondo dell’opera,
in quello di pascià vissuti diecimila anni prima dei cortigiani di Luigi XV in
un impero fantastico, per ciò stesso distante quelle mille leghe utili e
necessarie a non incorrere in alcuna forma di censura. Erotismo, diritto e
economia sono i temi che si intrecciano nel romanzo di Diderot, che vede la
luce nel 1748, non conosce inizialmente un gran successo, ma viene ampiamente
rivalutato a qualche decennio di distanza ed è ancor oggi riconosciuto come un
brillantissimo compendio di vizi umani impietosamente messi alla berlina. La
trovata centrale consiste, per usare le parole dell’Autore medesimo, nel far “parler
le cons e le culs”: il sultano protagonista, per combattere la noia, ottiene da
un genio un anello magico in grado di far parlare i “gioielli” delle donne, che
diventano inopinatamente bocche della verità, non di rado sconfessando quanto
le “vere cavità fonatorie” vanno sostenendo in merito a fedeltà e amore.
Dopo
questa premessa, ecco la proposta di scrittura creativa.
Ideare
una serie di brevi scenette (un testo teatrale, quindi) ambientate all’interno
di una scuola dove qualcuno (allievo, insegnante, bidello, preside) entra in
possesso di un anello che, quando viene puntato in direzione di un soggetto, fa
sì che egli appunto dica quello che sta pensando del suo interlocutore o
comunque “la verità” e non una contraffazione della medesima (echi pirandelliani...). Non sarebbero quindi gli organi genitali a parlare, come in Diderot, ma le persone a essere costrette a dire la verità, tutta la verità, solo la verità.
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