Per aliquot annos quaedam dilectum virum amisit, et sarcophago corpus condidit. A quo divelli nullo cum posset modo, et in sepulchro lugens vitam degeret, claram assecuta est famam castae coniugis. Interea, fanum qui compilarant Iovis, cruci suffixi luerunt poenas numini. Horum reliquias ne quis posset tollere, custodes dantur milites cadaverum, monumentum iuxta, mulier quo se incluserat. Aliquando sitiens unus de custodibus aquam rogavit media nocte ancillulam, quae forte dominae tunc adsistebat suae dormitum eunti: namque lucubraverat, et usque in seum vigillias perduxerat. Paulum reclusis foribus miles prospicit, videtque egregiam facie pulchra feminam. Correptus animus ilico succenditur, uritque sensu impotentis cupiditas. Sollers acumen mille causas invenit, per quas videre possit illam saepius. Cotidiana capta consuetudine, paullatim facta est advenae submissior, mox artior revinxit animum copula. Hic dum consumit noctes custos diligens, desideratum est corpus ex una cruce. Turbatus miles factum exponit mulieri. At sancta mulier «Non est quod timeas» ait; virique corpus tradit figendum cruci, ne subeat ille poenas neglegentiae. Sic turpitudo laudis obsedit locum. (Appendix Perottina 13) |
Fedro, la novella del soldato e della vedova, Appendix Perotina 13.
Una donna perdette suo marito
dopo anni d'amore e lo portò
alla tomba. E nessuno più riuscì
a staccarla; viveva in quel sepolcro,
piangendo ed acquistandosi una fama
luminosa di sposa virtuosissima.
Fu allora che i ladri del tempio di Giove
scontarono i peccati sulla croce,
e ci misero anche sentinelle
perché non ne rubassero le spoglie;
proprio presso il sepolcro della donna
di clausura. Successe che un soldato,
avendo sete, in piena notte andò
a chiedere un po' d'acqua alla servetta
della donna, che allora riposava
(vegliava sul lume fino a notte fonda).
La porta era socchiusa, vi sbirciò
e vide un volto splendido di donna.
Ne restò folgorato, una passione
travolgente dei sensi. Escogitò
mille pretesti per vederla spesso,
con intuito felice. Un po' alla volta
divenne un'abitudine per lei,
si fece col suo ospite più mite,
finché il contatto conquistò lo spirito.
Mentre così il custode consumava
le notti, ad una croce mancò il morto.
Il soldato, sconvolto, riferì
alla donna. Ma quella santa donna
lo confortò: «Ma che paura hai?»
e gli passò la salma del marito
perché inchiodasse quella sulla croce
e non fosse punita l'infrazione.
Poi il peccato successe alla virtù.
dopo anni d'amore e lo portò
alla tomba. E nessuno più riuscì
a staccarla; viveva in quel sepolcro,
piangendo ed acquistandosi una fama
luminosa di sposa virtuosissima.
Fu allora che i ladri del tempio di Giove
scontarono i peccati sulla croce,
e ci misero anche sentinelle
perché non ne rubassero le spoglie;
proprio presso il sepolcro della donna
di clausura. Successe che un soldato,
avendo sete, in piena notte andò
a chiedere un po' d'acqua alla servetta
della donna, che allora riposava
(vegliava sul lume fino a notte fonda).
La porta era socchiusa, vi sbirciò
e vide un volto splendido di donna.
Ne restò folgorato, una passione
travolgente dei sensi. Escogitò
mille pretesti per vederla spesso,
con intuito felice. Un po' alla volta
divenne un'abitudine per lei,
si fece col suo ospite più mite,
finché il contatto conquistò lo spirito.
Mentre così il custode consumava
le notti, ad una croce mancò il morto.
Il soldato, sconvolto, riferì
alla donna. Ma quella santa donna
lo confortò: «Ma che paura hai?»
e gli passò la salma del marito
perché inchiodasse quella sulla croce
e non fosse punita l'infrazione.
Poi il peccato successe alla virtù.
PETRONIO – LA MATRONA DI EFESO
C'era una volta ad Efeso una matrona di così rinomata pudicizia che accorrevano ad ammirarla anche le donne dei paesi vicini. Ora questa donna, dopo aver perduto il marito, non soddisfatta di accompagnarne il feretro, come si usa comunemente, con i capelli sciolti e di battersi il petto nudo sotto gli occhi della folla, volle seguire il defunto anche nella tomba e, dopo che il suo corpo fu deposto in una camera sotterranea secondo l'usanza greca, incominciò a custodirlo e a piangerlo giorno e notte senza mai smettere. Così si affliggeva e si ostinava a lasciarsi morire d'inedia e né i genitori né i parenti riuscirono ad allontanarla da lì. Da ultimo perfino i magistrati, respinti, se ne andarono e quella donna, esempio di singolare virtù, compianta da tutti, non toccava cibo ormai da cinque giorni.
Assisteva quella poverina una fedelissima ancella che piangeva insieme a lei e che tutte le volte che la lampada posta dentro la tomba si affievoliva, la ravvivava. In tutta la città pertanto non si parlava d'altro e gli uomini di ogni ceto sociale riconoscevano che non c'era mai stato esempio più fulgido di vera pudicizia e di vero amore. Quand'ecco che nel frattempo il governatore della provincia fece crocifiggere dei ladroni proprio vicino a quell'edicola in cui la matrona piangeva il cadavere ancora fresco del marito. La notte seguente, dunque, un soldato che faceva la guardia alle croci per evitare che qualcuno sottraesse i corpi e desse loro sepoltura, avendo notato una luce che risplendeva sempre più vivida tra i monumenti funebri e avendo udito il gemito di qualcuno che piangeva, per umana curiosità fu preso dal desiderio di sapere chi fosse o che cosa facesse. Scese quindi nel sepolcro e, vista una donna bellissima, in un primo momento si fermò sbigottito come davanti ad un fantasma o ad un'apparizione infernale, ma poi, quando vide il corpo del morto e considerò quelle lacrime e quel volto graffiato dalle unghie, resosi conto della situazione reale, del fatto cioè che la donna non poteva sopportare la perdita del marito, portò nel sepolcro la sua cenetta e incominciò ad esortare la donna in lacrime a non perseverare in un dolore del tutto inutile e a non rompersi il petto con singhiozzi che non avrebbero portato alcun giovamento. Diceva che tutti gli esseri umani devono fare la stessa fine e che li attende la stessa dimora e aggiungeva tutte le altre parole con le quali si consolano gli animi affranti. Ma ella, ferita da quel tentativo di consolazione per lei senza senso, si lacerò con furia maggiore il petto e, strappatisi i capelli, li depose sul cadavere del marito lì disteso. Non si arrese tuttavia il soldato, ma, continuando ad esortarla nello stesso modo, tentò di dare del cibo alla povera donna, finché l'ancella, vinta dal profumo del vino che le pareva un nettare, dapprima proprio lei, senza opporre più resistenza, porse la sua mano verso il gentile invito, poi, rifocillata dalla bevanda e dal cibo, incominciò a prendere d'assalto l'ostinazione della padrona dicendo: "A che ti gioverà tutto questo se ti lascerai morire di fame, se ti seppellirai viva, se esalerai la tua anima innocente prima che il destino lo voglia? Credi che le ceneri o i mani sepolti sentano tutto ciò? Vuoi tu ritornare a vivere? Vuoi sì o no toglierti dalla testa queste stupidaggini da donnetta e godere della gioia della luce del sole quanto più a lungo possibile? Il corpo stesso di questo morto qui disteso ti deve ammonire a vivere". Nessuno è sordo quando viene invitato a mangiare o a vivere e così la donna, indebolita dall'astinenza di alcuni giorni, lasciò che venisse spezzata la sua ostinazione e si rimpinzò di cibo non meno avidamente dell'ancella che si era arresa per prima.
Del resto voi sapete quale altra tentazione suole farsi avanti quando la pancia è piena. Ed ecco che il soldato con quelle stesse lusinghe con cui aveva ottenuto che la matrona trovasse la voglia di vivere, diede l'assalto anche alla sua virtù. E a quella casta donna il giovane non sembrava certo brutto o rozzo nel parlare, anche perché l'ancella cercava di metterlo in buona luce e diceva ripetutamente: "Combatterai anche contro un amore che già ti ha preso il cuore?"
A farla breve, la donna non tenne a digiuno neppure quest'altra parte del corpo e il soldato, vincitore, riuscì a piegarla per un verso e per l'altro. Giacquero dunque insieme non solo quella notte, in cui consumarono le nozze, ma anche il giorno seguente e quello dopo ancora, naturalmente dopo aver ben chiuso le porte del sepolcro, di modo che, chiunque si fosse avvicinato al monumento funebre, conosciuto o sconosciuto che fosse, pensasse che la castissima moglie fosse morta sopra il corpo del marito.
Intanto il soldato, attratto dalla bellezza della donna e dalla segretezza di quell'amore, comprava tutto ciò che di buono poteva con i suoi scarsi mezzi e subito, al calar della notte, lo portava nella tomba. Perciò i parenti di uno dei crocifissi, come videro che la sorveglianza era diventata meno stretta, una notte tirarono giù il loro congiunto appeso e gli resero gli estremi onori. Ma il soldato, raggirato mentre si dava al bel tempo, non appena il giorno seguente vide una delle croci senza cadavere, temendo di essere giustiziato, spiegò alla donna che cosa fosse successo: e aggiunse che non avrebbe aspettato la sentenza del giudice, ma avrebbe fatto giustizia della sua incuria con la spada. Solo, concedesse lei stessa un posto a lui che stava per morire e rendesse comune al marito e all'amante quel sepolcro fatale. La donna, non meno pietosa che casta, rispose: "Gli dèi non permettano che io veda in così breve tempo i due funerali dei due uomini a me più cari! Preferisco appendere alla croce il morto che far morire il vivo". Conformemente a questo discorso, ordinò di togliere dalla bara il cadavere di suo marito e di attaccarlo alla croce che era rimasta libera. Il soldato mise in atto la trovata di quella donna così assennata, e il giorno dopo la gente si chiese con meraviglia come avesse fatto il morto a salire in croce.
TACITO, Annales, XVIAssisteva quella poverina una fedelissima ancella che piangeva insieme a lei e che tutte le volte che la lampada posta dentro la tomba si affievoliva, la ravvivava. In tutta la città pertanto non si parlava d'altro e gli uomini di ogni ceto sociale riconoscevano che non c'era mai stato esempio più fulgido di vera pudicizia e di vero amore. Quand'ecco che nel frattempo il governatore della provincia fece crocifiggere dei ladroni proprio vicino a quell'edicola in cui la matrona piangeva il cadavere ancora fresco del marito. La notte seguente, dunque, un soldato che faceva la guardia alle croci per evitare che qualcuno sottraesse i corpi e desse loro sepoltura, avendo notato una luce che risplendeva sempre più vivida tra i monumenti funebri e avendo udito il gemito di qualcuno che piangeva, per umana curiosità fu preso dal desiderio di sapere chi fosse o che cosa facesse. Scese quindi nel sepolcro e, vista una donna bellissima, in un primo momento si fermò sbigottito come davanti ad un fantasma o ad un'apparizione infernale, ma poi, quando vide il corpo del morto e considerò quelle lacrime e quel volto graffiato dalle unghie, resosi conto della situazione reale, del fatto cioè che la donna non poteva sopportare la perdita del marito, portò nel sepolcro la sua cenetta e incominciò ad esortare la donna in lacrime a non perseverare in un dolore del tutto inutile e a non rompersi il petto con singhiozzi che non avrebbero portato alcun giovamento. Diceva che tutti gli esseri umani devono fare la stessa fine e che li attende la stessa dimora e aggiungeva tutte le altre parole con le quali si consolano gli animi affranti. Ma ella, ferita da quel tentativo di consolazione per lei senza senso, si lacerò con furia maggiore il petto e, strappatisi i capelli, li depose sul cadavere del marito lì disteso. Non si arrese tuttavia il soldato, ma, continuando ad esortarla nello stesso modo, tentò di dare del cibo alla povera donna, finché l'ancella, vinta dal profumo del vino che le pareva un nettare, dapprima proprio lei, senza opporre più resistenza, porse la sua mano verso il gentile invito, poi, rifocillata dalla bevanda e dal cibo, incominciò a prendere d'assalto l'ostinazione della padrona dicendo: "A che ti gioverà tutto questo se ti lascerai morire di fame, se ti seppellirai viva, se esalerai la tua anima innocente prima che il destino lo voglia? Credi che le ceneri o i mani sepolti sentano tutto ciò? Vuoi tu ritornare a vivere? Vuoi sì o no toglierti dalla testa queste stupidaggini da donnetta e godere della gioia della luce del sole quanto più a lungo possibile? Il corpo stesso di questo morto qui disteso ti deve ammonire a vivere". Nessuno è sordo quando viene invitato a mangiare o a vivere e così la donna, indebolita dall'astinenza di alcuni giorni, lasciò che venisse spezzata la sua ostinazione e si rimpinzò di cibo non meno avidamente dell'ancella che si era arresa per prima.
Del resto voi sapete quale altra tentazione suole farsi avanti quando la pancia è piena. Ed ecco che il soldato con quelle stesse lusinghe con cui aveva ottenuto che la matrona trovasse la voglia di vivere, diede l'assalto anche alla sua virtù. E a quella casta donna il giovane non sembrava certo brutto o rozzo nel parlare, anche perché l'ancella cercava di metterlo in buona luce e diceva ripetutamente: "Combatterai anche contro un amore che già ti ha preso il cuore?"
A farla breve, la donna non tenne a digiuno neppure quest'altra parte del corpo e il soldato, vincitore, riuscì a piegarla per un verso e per l'altro. Giacquero dunque insieme non solo quella notte, in cui consumarono le nozze, ma anche il giorno seguente e quello dopo ancora, naturalmente dopo aver ben chiuso le porte del sepolcro, di modo che, chiunque si fosse avvicinato al monumento funebre, conosciuto o sconosciuto che fosse, pensasse che la castissima moglie fosse morta sopra il corpo del marito.
Intanto il soldato, attratto dalla bellezza della donna e dalla segretezza di quell'amore, comprava tutto ciò che di buono poteva con i suoi scarsi mezzi e subito, al calar della notte, lo portava nella tomba. Perciò i parenti di uno dei crocifissi, come videro che la sorveglianza era diventata meno stretta, una notte tirarono giù il loro congiunto appeso e gli resero gli estremi onori. Ma il soldato, raggirato mentre si dava al bel tempo, non appena il giorno seguente vide una delle croci senza cadavere, temendo di essere giustiziato, spiegò alla donna che cosa fosse successo: e aggiunse che non avrebbe aspettato la sentenza del giudice, ma avrebbe fatto giustizia della sua incuria con la spada. Solo, concedesse lei stessa un posto a lui che stava per morire e rendesse comune al marito e all'amante quel sepolcro fatale. La donna, non meno pietosa che casta, rispose: "Gli dèi non permettano che io veda in così breve tempo i due funerali dei due uomini a me più cari! Preferisco appendere alla croce il morto che far morire il vivo". Conformemente a questo discorso, ordinò di togliere dalla bara il cadavere di suo marito e di attaccarlo alla croce che era rimasta libera. Il soldato mise in atto la trovata di quella donna così assennata, e il giorno dopo la gente si chiese con meraviglia come avesse fatto il morto a salire in croce.
Di Petronio comincerò più da lontano. Durante il giorno dormiva e attendeva di notte alle necessità e ai piaceri della vita. Come ad altri la loro operosità, così la sua indolenza gli aveva procurato grande rinomanza: ma non era ritenuto un crapulone e un dissipato, come la maggior parte di quelli che dànno fondo alle proprie fortune, bensì un voluttuoso raffinato, e quanto più negli atti e nelle parole si dimostrava libero da pregiudizi e noncurante, tanto più quella sua semplicità era accolta con simpatia. Tuttavia, come proconsole in Bitinia, e poi come console, aveva dato prova di energia e di competenza. Quindi, rituffatosi in una vita che era o voleva apparire viziosa, fu accolto tra i pochi intimi del principe e alla corte di Nerone divenne l'arbitro del buon gusto, il fine intenditore di quello che fosse, in mezzo a tanta ricchezza, bello e raffinato. Di qui l'odio di Tigellino, che vide in lui un rivale e quasi un maestro più esperto nella scienza dei piaceri. Egli eccita nel principe la crudeltà, passione che era in lui più forte di ogni altra, accusando Petronio di essere amico di Scevino. Fu corrotto uno schiavo perché presentasse la denuncia: non gli è data possibilità di difesa; i suoi servi sono tratti in catene.
19. In quei giorni l'imperatore si era recato in Campania e Petronio, che l'aveva accompagnato fino a Cuma, ricevette colà l'ordine di fermarsi. Egli non tollerò gli indugi del timore e della speranza, né volle una morte troppo precipitosa. Si incise le vene; poi le legò e di nuovo le riaperse; conversò con gli amici, ma non di cose gravi o tali che gli procurassero fama di fermezza: né stette ad ascoltare ragionamenti sull'immortalità dell'anima o massime filosofiche, ma poesie leggere e versi scherzosi. Alcuni servi premiò, altri fece frustare. Volle banchettare e dormire, perché la morte, quantunque imposta, apparisse casuale. Non adulò nei suoi codicilli Nerone o Tigellino o qualche altro personaggio potente, come erano soliti fare per lo più i condannati a morte; ma, citando il nome di amasii e di prostitute, egli raccontò tutte le vergogne del principe e l'aberrazione delle sue libidini e, dopo avere sigillato, mandò lo scritto all'imperatore. Ruppe poi l'anello, perché non fosse causa di rovina ad altri.
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