L'ARTE DI DIVENTARE COLTELLI SENZA MANICO
E SENZA LAMA
La grande
rivoluzione è iniziata. Le linee essenziali sono tracciate con chiarezza, la
praxis è collocata al primo posto, come si addice al “rapido
decollo di uno dei più vasti esempi italiani di piano di gestione strategica
del cambiamento della Pubblica Amministrazione (change management): il
Programma PICTO (Programma Integrato di Cambiamento Tecnologico-Organizzativo)”.
Gli insegnanti
sono diventati ufficialmente lavoratori
della conoscenza. Anche uno
dei sindacati nazionali ne ha preso atto: FLC-CGL si denomina da non so dire
quanto tempo, fatto sta che il sindacato in questione è ormai il patrono dei lavoratori
della conoscenza. PICTO, si legge ancora nel Libro verde, è “un metodo
per fare avvenire le cose, genera conoscenze che rimangano all'interno
delle competenze della Pubblica Istruzione”. Allora
davvero la rivoluzione è avvenuta.
Per avere
coscienza della rivoluzione occorre certo avere presente che cosa sia stato
rivoluzionato. La memoria storica è importante, quand’anche sia evidente che la
storia non è magistra vitae:
negli anni Cinquanta, per esempio, gli insegnanti avevano come orizzonte di
riferimento l’articolo 33 della Costituzione (“L’arte e la scienza sono
libere e libero ne è l’insegnamento.”) e i programmi nazionali. Potevano
chiedere di essere esaminati da una commissione in merito alle loro competenze
disciplinari e alla capacità didattica per ottenere in anticipo rispetto
all’anzianità avanzamenti stipendiali. La libertà, poteva bene essere il
motto di quel periodo, si impara praticandola e la libertà culturale o inizia
precocemente, viene trasmessa come valore originario e fondante, o mai. Stiamo
evidentemente parlando di un’epoca in cui l’insegnamento è imparentato con
l’arte, è una pratica artistica, passibile certo di svariate declinazioni, ma
comunque con un’anima artistica.
Mi piacciono le
ellissi: in questa che ora apro sprofondano l’abolizione dell’avviamento
al lavoro, la scuola media unica, l’istituzione dei decreti delegati, la
liberalizzazione degli accessi universitari, i corsi abilitanti, le modifiche
all’esame di maturità. Alla fine di essa, nel 1997 fa la sua apparizione il Libro verde della Pubblica Istruzione,
voluto dal ministro dell’istruzione Luigi Berlinguer, e da lui commissionato a
Federico Butera, proveniente dal mondo dell’imprenditoria, esperto di
organizzazioni complesse. A lui si deve, insieme ad altri implicati
nell’operazione berlingueriana, la metamorfosi degli insegnanti in lavoratori
della conoscenza.
Intanto viene completamente travolta la scuola dei
programmi, che imponeva al docente
un determinato territorio culturale ma gli lasciava libertà di movimento al suo
interno. Al suo posto inizia a tracciarsi la scuola degli obiettivi, mentre a
diventare un dogma è il progetto educativo. E si inanellano le trasformazioni
lessicali: il preside primus
inter pares diventa dirigente
scolastico, preside manager che,
col suo staff, si colloca al di
sopra del corpo docente. Anche il riferimento privilegiato alla classe viene
sostituito, superato dalla visione dell'Istituto come comunità performante; "la dimensione individuale,” - autoreferenziale
vien detto con ludibrio - “dell'insegnamento viene superata a favore di
forme di organizzazione del lavoro collegiali, che diventano imprescindibili
per l'erogazione di un servizio integrato ed organico”.
Quanto alla professione docente, le conoscenze non devono più essere "nelle mani di un'élite di professionisti, ma distribuite nel sistema sociale", la professionalità deve essere "pervasiva, diffusa all'interno della comunità di lavoro e incorporata nelle tecnologie, nei linguaggi", sono necessarie "nuove figure professionali specialistiche".
Si suggerisce di rovesciare il rapporto insegnamento-apprendimento:
al docente che nella sua libertà propone incontri col patrimonio culturale, che i programmi nazionali delimitano, subentra l'operatore del servizio scolastico che assiste, anima, intrattiene l'allievo nelle sue attività di apprendimento (didattica capovolta).
Quanto alla professione docente, le conoscenze non devono più essere "nelle mani di un'élite di professionisti, ma distribuite nel sistema sociale", la professionalità deve essere "pervasiva, diffusa all'interno della comunità di lavoro e incorporata nelle tecnologie, nei linguaggi", sono necessarie "nuove figure professionali specialistiche".
Si suggerisce di rovesciare il rapporto insegnamento-apprendimento:
al docente che nella sua libertà propone incontri col patrimonio culturale, che i programmi nazionali delimitano, subentra l'operatore del servizio scolastico che assiste, anima, intrattiene l'allievo nelle sue attività di apprendimento (didattica capovolta).
L’arte del
rovesciamento, se così si può definire, è pervasiva: rovescia anche il rapporto con l'esame. La Costituzione prevede che esso sia alla fine e non il fine del percorso
scolastico. Il nuovo esame di stato, soprattutto con la sua terza prova, sta
trasformando l'ultimo anno di scuola superiore in attività di simulazione di
prova d'esame e di preparazione alle simulazioni.
Infine, si legge nel Libro verde che l'art.33 della Costituzione è
stato scritto "dopo il fascismo" e che oggi "grazie al profondo
radicamento di una cultura democratica nessuno minaccia più l'indipendenza
culturale, religiosa e politica degli insegnanti". Nessuno, forse, la
minaccia, ma essa rappresenta un orizzonte di riferimento per tutti i
cittadini, non solo per gli insegnanti. Il docente non è un opinionista, un
conversatore da salotto o da bar: è uno studioso che ha maturato e ancora
matura un rapporto libero con la cultura. È da questo insegnamento libero in
radice che possono provenire modelli (al plurale) di pensiero davvero pensante,
di pensiero critico, disposto al dubbio sistematico, ma anche al confronto e alla collaborazione. La cultura è tale solo se
è libera.
Dunque è iniziata l’era
dei lavoratori della conoscenza della scuola pubblica. Una scuola pubblica dove
sempre più entrano interessi privati, in cui proliferano i progetti finanziati
dalle Fondazioni bancarie, si moltiplicano le offerte di concorsi e di
corsi che sono i genitori a dover pagare, in aggiunta al cosiddetto contributo volontario. Una
scuola pubblica che non ha più programmi ministeriali e nella quale anche la
programmazione individuale dei docenti viene richiesta quasi alla fine del
primo trimestre. Come se più a nessuno importasse di quello che viene fatto davvero e tutti i giorni in ogni aula
che si rispetti, anche in quelle che non sono ancora 3.0.
Allora, nell'anno zero
della Grande Riforma, siamo spettatori e protagonisti di una grande
realizzazione, per la quale occorrerebbe istituire un premio, magari di 500
euro, da accreditare subito sui nostri conti bancari: abbiamo dato vita al
paradosso di Lichtenberg, il coltello senza manico e senza lama, una scuola
pubblica dove mancano sia il denaro pubblico sia gli insegnanti. Occorrerà, per
coerenza, trovarle un nuovo nome: CPP, Comunità Privata Performante.
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