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mercoledì 9 dicembre 2015

La regina degli gnomi


Ti ricordi quell’armadio di legno con due ante in vetro smerigliato giallo? Come ti piaceva chiuderti lì in mezzo su un panchettino  e godere della strana luce che si creava all’interno e dell’odore che emanavano i ripiani? E come su quei ripiani si svolgesse una vita a sé, che tu riuscivi (qualche volta, non sempre) a sorprendere nel suo divenire tanto più lento di quanto non fosse nella realtà? Era la vita di piccoli pupazzi di legno, gomma, plastica raccattati qua e là (ti piaceva infatti “salvare” alcune di quelle creature da una fine certa, quando le trovavi dimenticate accanto ai bidoni della spazzatura o semisepolte nella terra o nella sabbia), di ninnoli quasi infranti (ma non del tutto), di cui tu riuscivi a percepire la vita segreta, ancora intatta e pulsante in una profondità che la tua manina (allora paffuta e piena di fossette) riusciva a sentire.
Ebbene, se sei in grado di ricordare tutto questo o, meglio ancora, di ritrovare nel tuo cuore la stessa sensazione di allora (una strana mescolanza di sollecitudine, affetto, reverenza e nostalgia per l’ignoto), allora posso raccontarti la storia della regina degli gnomi, la cui faccina rubizza e un poco raggrinzita faceva bella mostra di sé in quell’armadio che tu dunque conosci bene.
Tutta vestita di verde, con una candela in mano e il volto atteggiato a un eterno sorriso, la regina domina, come si addice al suo rango, un intero ripiano del famoso armadietto. Non vuole dimostrarlo troppo (fa parte della sua regale dignità), ma ha tanto bisogno di affetto. Dovresti vederla quando qualcuno la prende in mano: gli occhi iniziano a scintillarle e fa un sacco di comici sforzi per mettersi a parlare…ma poiché i suoi tempi sono molto lunghi, di solito non accade nulla e lei viene riposta  presto (troppo presto) sul suo scaffale. Eppure anche questo le basta: è disposta a barattare perfino la sua inseparabile candela per pochi istanti passati nella mano di qualcuno…povera piccola regina. Capisci allora perché sia così contenta adesso che finalmente tu ti sei accorto di lei, l’hai presa nella tua mano paffutella e stai pazientemente (molto pazientemente) aspettando che ti racconti la sua storia.
La quale ha inizio i soliti millenni fa, in una valle incassata fra alte giogaie di monti e attraversata da un torrentello vivace. Proprio da lì ti giungono le prime sensazioni della sua felice fanciullezza: dei brividi che le correvano sul corpo quando vi si immergeva coi suoi compagni di gioco, delle vigorose nuotate a contrastare la corrente, delle gare di tuffi. E poi fu proprio sulla riva di quel torrente ch’ella conobbe il suo re, fermatosi a contemplare le sue audaci evoluzioni di fanciulla forgiata dall’aria, dal sole e dall’acqua. 
Sull’amore del suo re la piccola gnoma diviene stranamente reticente: devi tu capire (e sentire) quanto bello e intenso sia stato da una luce che le guizza all’improvviso negli occhi, da un tremito lieve che la percorre tutta e da un sorriso ch’è difficile decifrare persino a me, che la conosco da tanto tempo.
Dopo aver atteso un po’ che quella luce si spenga e che il tremito passi, sei ormai pronto ad ascoltare la parte centrale della storia, la più oscura in realtà, quella che probabilmente è la causa di certi strani suoni che fuoriescono ogni tanto (sempre avendo la gran pazienza di mettersi in ascolto) dal suo petto: silenziosi singhiozzi, verrebbe da definirli, se non fossero troppo simili a delicati pigolii…ma tant’è, nel mondo della nostra reginetta non è facile procedere a riconoscimenti e definizioni. Veniamo alla storia.
“Avevo appena avuto il mio ottavo figlio“, sentirai proferire dalla sua vocina a questo punto, “e me ne stavo a riposare nella mia camera, ascoltando il cinguettio lontano e le grida felici dei miei piccoli che giocavano nel parco del castello. Mi assopii, piena di gioia e di calma, osservando la luce del sole che creava splendidi giochi di luce nella stanza. Quando mi risvegliai percepii una sensazione terribile, causata da un’ombra improvvisamente sopravvenuta, accompagnata da sordi brontolii e da un incessante vibrare di tutte le cose intorno a me. Cercai di chiamare qualcuno, scesi dal letto e mi misi a cercare dove fossero mai andati tutti e, nella ricerca affannosa in quel buio crescente, mi munii della candela con la quale tu ora mi vedi. Mi aggirai a lungo nel palazzo, per rendermi conto che non c’era più nessuno. Pensai, e lo desidero tanto anche ora, che si fossero messi in salvo tutti e fossi rimasta io sola in balìa dell’ombra. Ch’era sempre più fitta, così come sempre più forti erano i suoni orribili che provenivano dall’esterno. Uscii. Feci pochi passi fuori dal castello e di colpo provai una sensazione  fino allora ignota, ma che col tempo avrei imparato a conoscere: qualcosa di morbido e tiepido mi racchiuse e mi sollevò, portandomi con sé. Eri tu. O qualcuno che ti somigliava molto, al quale io avrei voluto subito spiegare che da qualche parte mi aspettavano otto piccoli gnomi e un re che amavo. Ma a lui io sembravo, come a te se non fai attenzione e non ascolti il cuore, un pupazzo di gomma col vestito verde…”
Dunque la piccola regina ti ha svelato il suo dramma, e ora può ritornare quasi sollevata nella quiete dorata del suo mobiletto. Da dove, tra poco o molto tempo, qualche manina paffuta la tirerà fuori per sentir vibrare il suo corpo e udire  un pigolìo lontano. E chissà ch’ella non si metta di nuovo a parlare e, avendo molta pazienza, non racconti un’altra parte della sua storia.

(altro manoscritto ritrovato in un appartamento vuoto di corso San Maurizio a Torino, le fiabe sono tante, ma solo alcune meritano di essere lette)


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