Ti ricordi quell’armadio di legno con due ante in vetro
smerigliato giallo? Come ti piaceva chiuderti lì in mezzo su un
panchettino e godere della strana luce
che si creava all’interno e dell’odore che emanavano i ripiani? E come su quei
ripiani si svolgesse una vita a sé, che tu riuscivi (qualche volta, non sempre)
a sorprendere nel suo divenire tanto più lento di quanto non fosse nella realtà?
Era la vita di piccoli pupazzi di legno, gomma, plastica raccattati qua e là
(ti piaceva infatti “salvare” alcune di quelle creature da una fine certa,
quando le trovavi dimenticate accanto ai bidoni della spazzatura o semisepolte
nella terra o nella sabbia), di ninnoli quasi infranti (ma non del tutto), di
cui tu riuscivi a percepire la vita segreta, ancora intatta e pulsante in una
profondità che la tua manina (allora paffuta e piena di fossette) riusciva a
sentire.
Ebbene, se sei in grado di ricordare tutto questo o, meglio
ancora, di ritrovare nel tuo cuore la stessa sensazione di allora (una strana
mescolanza di sollecitudine, affetto, reverenza e nostalgia per l’ignoto),
allora posso raccontarti la storia della regina degli gnomi, la cui faccina
rubizza e un poco raggrinzita faceva bella mostra di sé in quell’armadio che tu
dunque conosci bene.
Tutta vestita di verde, con una candela in mano e il volto
atteggiato a un eterno sorriso, la regina domina, come si addice al suo rango,
un intero ripiano del famoso armadietto. Non vuole dimostrarlo troppo (fa parte
della sua regale dignità), ma ha tanto bisogno di affetto. Dovresti vederla
quando qualcuno la prende in mano: gli occhi iniziano a scintillarle e fa un
sacco di comici sforzi per mettersi a parlare…ma poiché i suoi tempi sono molto
lunghi, di solito non accade nulla e lei viene riposta presto (troppo presto) sul suo scaffale.
Eppure anche questo le basta: è disposta a barattare perfino la sua
inseparabile candela per pochi istanti passati nella mano di qualcuno…povera
piccola regina. Capisci allora perché sia così contenta adesso che finalmente
tu ti sei accorto di lei, l’hai presa nella tua mano paffutella e stai
pazientemente (molto pazientemente) aspettando che ti racconti la sua storia.
La quale ha inizio i soliti millenni fa, in una valle
incassata fra alte giogaie di monti e attraversata da un torrentello vivace.
Proprio da lì ti giungono le prime sensazioni della sua felice fanciullezza:
dei brividi che le correvano sul corpo quando vi si immergeva coi suoi compagni
di gioco, delle vigorose nuotate a contrastare la corrente, delle gare di
tuffi. E poi fu proprio sulla riva di quel torrente ch’ella conobbe il suo re,
fermatosi a contemplare le sue audaci evoluzioni di fanciulla forgiata dall’aria,
dal sole e dall’acqua.
Sull’amore del suo re la piccola gnoma diviene stranamente
reticente: devi tu capire (e sentire) quanto bello e intenso sia stato da una
luce che le guizza all’improvviso negli occhi, da un tremito lieve che la
percorre tutta e da un sorriso ch’è difficile decifrare persino a me, che la conosco
da tanto tempo.
Dopo aver atteso un po’ che quella luce si spenga e che il
tremito passi, sei ormai pronto ad ascoltare la parte centrale della storia, la
più oscura in realtà, quella che probabilmente è la causa di certi strani suoni
che fuoriescono ogni tanto (sempre avendo la gran pazienza di mettersi in
ascolto) dal suo petto: silenziosi singhiozzi, verrebbe da definirli, se non
fossero troppo simili a delicati pigolii…ma tant’è, nel mondo della nostra
reginetta non è facile procedere a riconoscimenti e definizioni. Veniamo alla
storia.
“Avevo appena avuto il mio ottavo figlio“, sentirai
proferire dalla sua vocina a questo punto, “e me ne stavo a riposare nella mia
camera, ascoltando il cinguettio lontano e le grida felici dei miei piccoli che
giocavano nel parco del castello. Mi assopii, piena di gioia e di calma,
osservando la luce del sole che creava splendidi giochi di luce nella stanza.
Quando mi risvegliai percepii una sensazione terribile, causata da un’ombra
improvvisamente sopravvenuta, accompagnata da sordi brontolii e da un
incessante vibrare di tutte le cose intorno a me. Cercai di chiamare qualcuno,
scesi dal letto e mi misi a cercare dove fossero mai andati tutti e, nella
ricerca affannosa in quel buio crescente, mi munii della candela con la quale
tu ora mi vedi. Mi aggirai a lungo nel palazzo, per rendermi conto che non c’era
più nessuno. Pensai, e lo desidero tanto anche ora, che si fossero messi in
salvo tutti e fossi rimasta io sola in balìa dell’ombra. Ch’era sempre più
fitta, così come sempre più forti erano i suoni orribili che provenivano dall’esterno.
Uscii. Feci pochi passi fuori dal castello e di colpo provai una
sensazione fino allora ignota, ma che
col tempo avrei imparato a conoscere: qualcosa di morbido e tiepido mi racchiuse
e mi sollevò, portandomi con sé. Eri tu. O qualcuno che ti somigliava molto, al
quale io avrei voluto subito spiegare che da qualche parte mi aspettavano otto
piccoli gnomi e un re che amavo. Ma a lui io sembravo, come a te se non fai
attenzione e non ascolti il cuore, un pupazzo di gomma col vestito verde…”
Dunque la piccola regina ti ha svelato il suo dramma, e ora
può ritornare quasi sollevata nella quiete dorata del suo mobiletto. Da dove,
tra poco o molto tempo, qualche manina paffuta la tirerà fuori per sentir
vibrare il suo corpo e udire un pigolìo
lontano. E chissà ch’ella non si metta di nuovo a parlare e, avendo molta
pazienza, non racconti un’altra parte della sua storia.
(altro manoscritto ritrovato in un appartamento vuoto di corso San Maurizio a Torino, le fiabe sono tante, ma solo alcune meritano di essere lette)
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