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TRADUZIONI DI LATINO: FEDRO, POSTILLA SULLA CONTRASTIVA, TACITO, SENECA, AGOSTINO (in fieri)

FEDRO Lupus et Agnus Ad rivum 1  eundem 2  lupus et agnus venerant 3 , siti compulsi 4 . Superior 5  stabat 6  lupus, longeque 7  infe...

giovedì 10 dicembre 2015

STORIA DI UN RE


Un re, giusto e potente, aveva fatto costruire su un’altura una grande fortezza. L’aveva fatta circondare da mura inespugnabili, progettate e costruite con grande perizia e senza risparmio di mezzi. L’impresa aveva richiesto un cospicuo dispendio di uomini e di denaro, ma il re era convinto che ne fosse valsa la pena. Quando si affacciava dagli spalti e guardava verso l’orizzonte fin dove arrivavano i suoi estesi possedimenti, pensava che la grandiosa opera, edificata per la difesa del suo regno, fosse un atto dovuto a sé e ai suoi sudditi, che riponevano in lui una fiducia totale: nessun nemico avrebbe potuto varcare il loro regno, nessun nemico sarebbe mai entrato nelle loro case, giacché il re aveva fatto costruire la grande fortezza.
Il re era felice. Non si stancava di visitare la sua fortezza, di controllare che ogni torre fosse munita di guardie sempre vigili, che qualsiasi avvisaglia di un avvicinamento del nemico ai suoi confini fosse tempestivamente segnalata. Perché in effetti, a giustificare questo spiegamento di forza da parte del re, vi era il fatto che il regno confinante col suo era posseduto da un  nemico di sempre. Un nemico che il re aveva ereditato dal padre e questi dal nonno e così via per generazioni e generazioni. Un nemico che attendeva solo il momento propizio (quando sarebbe venuto?) per attaccare e distruggere. Per questo il re si era ben difeso e per questo i suoi sudditi si sentivano protetti.
Venne un giorno in cui il re, che scrutava come al solito l’orizzonte da una delle torri dell’Ovest (la direzione dalla quale erano provenuti in passato gli attacchi), vide un puntolino danzare in lontananza, come una pulce impazzita che non sapesse dove andare. Con voce concitata si rivolse alla guardia che era poco distante da lui, ordinandole di guardare con attenzione, ma costei gli rispose di non vedere nulla. Il re, dopo qualche momento, si convinse di essersi suggestionato da solo, e si ritirò a dormire.
Il giorno seguente, tardò un poco prima di recarsi alla Torre Ovest, ma poi soggiacque alla tentazione: in un primo momento non scorse nulla, presto però gli parve di intravedere una macchia scura, di piccole dimensioni, che si muoveva appena nello stesso punto del giorno precedente. Di nuovo, la guardia interpellata negò di vedere alcunché, così che il re dovette convincersi di aver avuto un’allucinazione.
La medesima situazione si produsse nei giorni a venire, con la differenza che la macchia si faceva sempre più grande e che il re domandava a sempre più persone di guardare in quel punto: eppure tutti negavano che si vedesse  qualcosa. E non bastava. Il re iniziò a consultare messaggeri e ministri, ma nessuno sembrava nutrire la benché minima preoccupazione nei riguardi di quello che lui vedeva coi suoi occhi: tutti minimizzavano, consigliavano al re di consultarsi col medico in merito alla propria vista, poi all’udito (dal momento ch’egli sosteneva, a un certo punto, di udire nitriti di cavalli e grida di cavalieri) e infine, con molto tatto, allo stato mentale complessivo. Persino la moglie del re non dava ascolto alle sue parole e egli si accorse in breve di essere completamente solo nella sua fortezza meravigliosamente edificata e ottimamente munita.

Quando ormai, dalla torre dell’Ovest, egli giunse a vedere i volti di coloro che si stavano avvicinando, non era più possibile approntare alcuna difesa: nello sguardo dei nemici il re lesse la certezza del trionfo e la soddisfazione di vederlo sconfitto. Non provò nemmeno a chiedere alle guardie cosa vedessero né a convocare i ministri per comunicare ordini di battaglia: aveva compreso che il nemico si era servito di una tattica contro la quale la sua fortezza  a nulla serviva. Il nemico aveva conquistato i cuori di tutti quelli che lo circondavano, aveva fatto in modo ch’egli rimanesse solo, unico difensore del regno che già non era più suo. Quando l’esercitò arrivò proprio sotto le mura della fortezza, sulle torri già sventolavano le insegne dell’Altro regno e il re stesso si accorse di non avere più né il suo scettro né la sua corona. Vestiva un abito qualunque e aveva un altro nome. Uscì indisturbato, senza che nessuno lo riconoscesse, e si avviò nella stessa direzione dalla quale tempo prima un puntolino impazzito si era lasciato vedere solo da lui.

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