Un re, giusto e potente, aveva fatto costruire su un’altura
una grande fortezza. L’aveva fatta circondare da mura inespugnabili, progettate
e costruite con grande perizia e senza risparmio di mezzi. L’impresa aveva
richiesto un cospicuo dispendio di uomini e di denaro, ma il re era convinto
che ne fosse valsa la pena. Quando si affacciava dagli spalti e guardava verso
l’orizzonte fin dove arrivavano i suoi estesi possedimenti, pensava che la
grandiosa opera, edificata per la difesa del suo regno, fosse un atto dovuto a
sé e ai suoi sudditi, che riponevano in lui una fiducia totale: nessun nemico
avrebbe potuto varcare il loro regno, nessun nemico sarebbe mai entrato nelle
loro case, giacché il re aveva fatto costruire la grande fortezza.
Il re era felice. Non si stancava di visitare la sua
fortezza, di controllare che ogni torre fosse munita di guardie sempre vigili,
che qualsiasi avvisaglia di un avvicinamento del nemico ai suoi confini fosse
tempestivamente segnalata. Perché in effetti, a giustificare questo spiegamento
di forza da parte del re, vi era il fatto che il regno confinante col suo era
posseduto da un nemico di sempre. Un
nemico che il re aveva ereditato dal padre e questi dal nonno e così via per
generazioni e generazioni. Un nemico che attendeva solo il momento propizio
(quando sarebbe venuto?) per attaccare e distruggere. Per questo il re si era
ben difeso e per questo i suoi sudditi si sentivano protetti.
Venne un giorno in cui il re, che scrutava come al solito l’orizzonte
da una delle torri dell’Ovest (la direzione dalla quale erano provenuti in
passato gli attacchi), vide un puntolino danzare in lontananza, come una pulce
impazzita che non sapesse dove andare. Con voce concitata si rivolse alla
guardia che era poco distante da lui, ordinandole di guardare con attenzione,
ma costei gli rispose di non vedere nulla. Il re, dopo qualche momento, si
convinse di essersi suggestionato da solo, e si ritirò a dormire.
Il giorno seguente, tardò un poco prima di recarsi alla
Torre Ovest, ma poi soggiacque alla tentazione: in un primo momento non scorse
nulla, presto però gli parve di intravedere una macchia scura, di piccole
dimensioni, che si muoveva appena nello stesso punto del giorno precedente. Di
nuovo, la guardia interpellata negò di vedere alcunché, così che il re dovette
convincersi di aver avuto un’allucinazione.
La medesima situazione si produsse nei giorni a venire, con
la differenza che la macchia si faceva sempre più grande e che il re domandava
a sempre più persone di guardare in quel punto: eppure tutti negavano che si
vedesse qualcosa. E non bastava. Il re
iniziò a consultare messaggeri e ministri, ma nessuno sembrava nutrire la benché
minima preoccupazione nei riguardi di quello che lui vedeva coi suoi occhi:
tutti minimizzavano, consigliavano al re di consultarsi col medico in merito
alla propria vista, poi all’udito (dal momento ch’egli sosteneva, a un certo
punto, di udire nitriti di cavalli e grida di cavalieri) e infine, con molto
tatto, allo stato mentale complessivo. Persino la moglie del re non dava
ascolto alle sue parole e egli si accorse in breve di essere completamente solo
nella sua fortezza meravigliosamente edificata e ottimamente munita.
Quando ormai, dalla torre dell’Ovest, egli giunse a vedere
i volti di coloro che si stavano avvicinando, non era più possibile approntare
alcuna difesa: nello sguardo dei nemici il re lesse la certezza del trionfo e
la soddisfazione di vederlo sconfitto. Non provò nemmeno a chiedere alle
guardie cosa vedessero né a convocare i ministri per comunicare ordini di
battaglia: aveva compreso che il nemico si era servito di una tattica contro la
quale la sua fortezza a nulla serviva.
Il nemico aveva conquistato i cuori di tutti quelli che lo circondavano, aveva
fatto in modo ch’egli rimanesse solo, unico difensore del regno che già non era
più suo. Quando l’esercitò arrivò proprio sotto le mura della fortezza, sulle
torri già sventolavano le insegne dell’Altro regno e il re stesso si accorse di
non avere più né il suo scettro né la sua corona. Vestiva un abito qualunque e
aveva un altro nome. Uscì indisturbato, senza che nessuno lo riconoscesse, e si
avviò nella stessa direzione dalla quale tempo prima un puntolino impazzito si
era lasciato vedere solo da lui.
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