PER LA DISTINZIONE TRA COMICO E UMORISTICO: LA VECCHIA SIGNORA IMBELLETTATA
"Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di qual orribile
manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d'abiti giovanili. Mi
metto a ridere. "Avverto" che quella vecchia signora è il contrario
di ciò che una rispettabile signora dovrebbe essere. Posso così, a prima giunta
e superficialmente, arrestarmi a questa espressione comica. Il comico è appunto
un "avvertimento del contrario". Ma se ora interviene in me la
riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse piacere
a pararsi così come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto
perché pietosamente, s'inganna che, parata così, nascondendo le rughe e le
canizie, riesca a trattenere a sé l'amore del marito molto più giovane di lei,
ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione,
lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento, o
piuttosto, più addentro: da quel primo avvertimento del contrario mi ha fatto
passare a questo sentimento del contrario. Ed è tutta qui la differenza tra il
comico e l'umoristico.”
PER IL TEMA DEL CONFLITTO TRA FORMA E VITA
Da quanto abbiamo detto finora intorno alla speciale attività della riflessione nell’umorista, appare chiaramente quale dell’arte umoristica necessariamente sia l’intimo processo.
Anch’essa l’arte, come tutte le costruzioni ideali o illusorie, tende a
fissar la vita: la fissa in un momento o in varii momenti determinati: la
statua in un gesto il paesaggio in un aspetto temporaneo, immutabile. Ma, e la
perpetua mobilità degli aspetti successivi? e la fusione continua in cui le
anime si trovano?
L’arte in genere astrae e concentra, coglie cioè e rappresenta così degli
individui come delle cose, l’idealità essenziale e caratteristica. Ora pare
all’umorista che tutto ciò semplifichi troppo la natura e tenda a rendere
troppo ragionevole o almeno troppo coerente la vita. Gli pare che delle cause,
delle cause vere che muovono spesso questa povera anima umana agli atti più
inconsulti, assolutamente imprevedibili, l’arte in genere non tenga quel conto
che secondo lui dovrebbe. Per l’umorista le cause, nella vita, non sono mai
così logiche, così ordinate, come nelle nostre comuni opere d’arte, in cui
tutto è, in fondo, combinato congegnato, ordinato ai fini che lo scrittore s’è
proposto. L’ordine? la coerenza? Ma se noi abbiamo dentro quattro, cinque anime
in lotta fra loro: l’anima istintiva, l’anima morale, l’anima affettiva,
l’anima sociale? E secondo che domina questa o quella, s’atteggia la nostra
coscienza; e noi riteniamo valida e sincera quella interpretazione fittizia di
noi medesimi, del nostro essere interiore che ignoriamo, perché non si
manifesta mai tutt’intero, ma ora in un modo, ora in un altro, come volgano i
casi della vita.
Sì, un poeta epico o drammatico può rappresentare un suo eroe, in cui si
mostrino in lotta elementi opposti e repugnanti; ma egli di questi elementi
comporrà un carattere, e vorrà coglierlo coerente in ogni suo atto. Ebbene,
l’umorista fa proprio l’inverso: egli scompone il carattere nei suoi elementi;
e mentre quegli cura di coglierlo coerente in ogni atto, questi si diverte a
rappresentarlo nelle sue incongruenze.
L’umorista non riconosce eroi; o meglio, lascia che li rappresentino gli
altri, gli eroi; egli, per conto suo, sa che cosa è la leggenda e come si forma,
che cosa è la storia e come si forma: composizioni tutte, più o meno ideali, e
tanto più ideali forse, quanto più mostran pretesa di realtà: composizioni
ch’egli si diverte a scomporre; né si può dir che sia un divertimento
piacevole.
Il mondo, lui, se non propriamente nudo, lo vede, per così dire, in
camicia: in camicia il re, che vi fa così bella impressione a vederlo composto
nella maestà d’un trono con lo scettro e la corona e il manto di porpora e
d’ermellino; e non componete con troppa pompa nelle camere ardenti su
catafalchi i morti, perché egli è capace di non rispettar neppure questa
composizione tutto questo apparato; è capace di sorprendere, per esempio, in
mezzo alla compunzione degli astanti, in quel morto lì, freddo e duro, ma
decorato e in marsina, un qualche borboglio lugubre nel ventre, e d’esclamare
(poiché certe cose si dicono meglio in latino):
- Digestio post mortem.
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