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TRADUZIONI DI LATINO: FEDRO, POSTILLA SULLA CONTRASTIVA, TACITO, SENECA, AGOSTINO (in fieri)

FEDRO Lupus et Agnus Ad rivum 1  eundem 2  lupus et agnus venerant 3 , siti compulsi 4 . Superior 5  stabat 6  lupus, longeque 7  infe...

mercoledì 2 marzo 2016

DANTE: I, III, XI, XV, XVII, XXXIII CANTO (manca VI)

Dante Alighieri, Divina Commedia, Paradiso I
RICCIARDI FONTANA RACHITEANU GAMBINI
La gloria di colui che tutto move
per l'universo penetra, e risplende
in una parte più e meno altrove.
Nel ciel che più de la sua luce prende
fu' io, e vidi cose che ridire
né sa né può chi di là sù discende;
perché appressando sé al suo disire,
nostro intelletto si profonda tanto,
che dietro la memoria non può ire.
Veramente quant'io del regno santo
ne la mia mente potei far tesoro,
sarà ora materia del mio canto.
O buono Appollo, a l'ultimo lavoro
fammi del tuo valor sì fatto vaso,
come dimandi a dar l'amato alloro.
Infino a qui l'un giogo di Parnaso
assai mi fu; ma or con amendue
m'è uopo intrar ne l'aringo rimaso.
Entra nel petto mio, e spira tue
sì come quando Marsia traesti
de la vagina de le membra sue.
O divina virtù, se mi ti presti
tanto che l'ombra del beato regno
segnata nel mio capo io manifesti,
vedra'mi al piè del tuo diletto legno
venire, e coronarmi de le foglie
che la materia e tu mi farai degno.
Sì rade volte, padre, se ne coglie
per triunfare o cesare o poeta,
colpa e vergogna de l'umane voglie,
che parturir letizia in su la lieta
delfica deità dovria la fronda
peneia, quando alcun di sé asseta.
Poca favilla gran fiamma seconda:
forse di retro a me con miglior voci
si pregherà perché Cirra risponda.
Surge ai mortali per diverse foci
la lucerna del mondo; ma da quella
che quattro cerchi giugne con tre croci,
con miglior corso e con migliore stella
esce congiunta, e la mondana cera
più a suo modo tempera e suggella.
Fatto avea di là mane e di qua sera
tal foce, e quasi tutto era là bianco
quello emisperio, e l'altra parte nera,
quando Beatrice in sul sinistro fianco
vidi rivolta e riguardar nel sole:
aquila sì non li s'affisse unquanco.
E sì come secondo raggio suole
uscir del primo e risalire in suso,
pur come pelegrin che tornar vuole,
così de l'atto suo, per li occhi infuso
ne l'imagine mia, il mio si fece,
e fissi li occhi al sole oltre nostr'uso.
Molto è licito là, che qui non lece
a le nostre virtù, mercé del loco
fatto per proprio de l'umana spece.
Io nol soffersi molto, né sì poco,
ch'io nol vedessi sfavillar dintorno,
com'ferro che bogliente esce del foco;
e di sùbito parve giorno a giorno
essere aggiunto, come quei che puote
avesse il ciel d'un altro sole addorno.
Beatrice tutta ne l'etterne rote
fissa con li occhi stava; e io in lei
le luci fissi, di là sù rimote.
Nel suo aspetto tal dentro mi fei,
qual si fé Glauco nel gustar de l'erba
che 'l fé consorto in mar de li altri dèi.
Trasumanar significar per verba
non si poria; però l'essemplo basti
a cui esperienza grazia serba.
S'i' era sol di me quel che creasti
novellamente, amor che 'l ciel governi,
tu 'l sai, che col tuo lume mi levasti.
Quando la rota che tu sempiterni
desiderato, a sé mi fece atteso
con l'armonia che temperi e discerni,
parvemi tanto allor del cielo acceso
de la fiamma del sol, che pioggia o fiume
lago non fece alcun tanto disteso.
La novità del suono e 'l grande lume
di lor cagion m'accesero un disio
mai non sentito di cotanto acume.
Ond'ella, che vedea me sì com'io,
a quietarmi l'animo commosso,
pria ch'io a dimandar, la bocca aprio,
e cominciò: «Tu stesso ti fai grosso
col falso imaginar, sì che non vedi
ciò che vedresti se l'avessi scosso.
Tu non se' in terra, sì come tu credi;
ma folgore, fuggendo il proprio sito,
non corse come tu ch'ad esso riedi».
S'io fui del primo dubbio disvestito
per le sorrise parolette brevi,
dentro ad un nuovo più fu' inretito,
e dissi: «Già contento requievi
di grande ammirazion; ma ora ammiro
com'io trascenda questi corpi levi».
Ond'ella, appresso d'un pio sospiro,
li occhi drizzò ver' me con quel sembiante
che madre fa sovra figlio deliro,
e cominciò: «Le cose tutte quante
hanno ordine tra loro, e questo è forma
che l'universo a Dio fa simigliante.
Qui veggion l'alte creature l'orma
de l'etterno valore, il qual è fine
al quale è fatta la toccata norma.
Ne l'ordine ch'io dico sono accline
tutte nature, per diverse sorti,
più al principio loro e men vicine;
onde si muovono a diversi porti
per lo gran mar de l'essere, e ciascuna
con istinto a lei dato che la porti.
Questi ne porta il foco inver' la luna;
questi ne' cor mortali è permotore;
questi la terra in sé stringe e aduna;
né pur le creature che son fore
d'intelligenza quest'arco saetta
ma quelle c'hanno intelletto e amore.
La provedenza, che cotanto assetta,
del suo lume fa 'l ciel sempre quieto
nel qual si volge quel c'ha maggior fretta;
e ora lì, come a sito decreto,
cen porta la virtù di quella corda
che ciò che scocca drizza in segno lieto.
Vero è che, come forma non s'accorda
molte fiate a l'intenzion de l'arte,
perch'a risponder la materia è sorda,
così da questo corso si diparte
talor la creatura, c'ha podere
di piegar, così pinta, in altra parte;
e sì come veder si può cadere
foco di nube, sì l'impeto primo
l'atterra torto da falso piacere.
Non dei più ammirar, se bene stimo,
lo tuo salir, se non come d'un rivo
se d'alto monte scende giuso ad imo.
Maraviglia sarebbe in te se, privo
d'impedimento, giù ti fossi assiso,
com'a terra quiete in foco vivo».
Quinci rivolse inver' lo cielo il viso.
La luce gloriosa di Dio, creatore e motore primo dell'universo, risplende maggiormente in alcuni luoghi e meno in altri.
Io mi trovai nel cielo dove la maggior parte della sua luce splende e vidi cose impossibili da riportare per chi vi discende; poiché avvicinandosi a Dio, oggetto del desiderio, la mente si addentra così profondamente nella coscienza che la memoria non riesce a seguirla.
Tuttavia quanto riuscii a racchiudere nella mia mente del regno dei cieli, sarà ora oggetto della cantica.
O grande Apollo, travasa in me la tua virtù poetica per essere degno di portare a termine il mio progetto.
Fino a questo punto mi è bastato l'aiuto delle Muse ma adesso ho bisogno di entrambe le cime del Parnaso per l'ultimo regno rimasto.
Entra nel mio
animo e ispirami con la stessa forza con la quale vincesti e scorticasti Marsia che osò sfidarti.
Se mi si manifestasse tale virtù da poter riportare anche solo l'ombra del regno beato che abita la mia memoria, verrò alla base del tuo altare, per farmi incoronare con l'alloro del quale mia hai reso degno.
Così raramente, Apollo, si coglie alloro per il trionfo di imperatori o poeti, a causa dei desideri peccaminosi degli uomini, che tu, protettore di Delfi,dovresti rallegrarti quando la gloria poetica è tanto bramata.
A volte una piccola scintilla può generare un grande incendio; forse, dopo di me, vi saranno poeti migliori che invocheranno, speranzosi di risposta, il tuo aiuto.
Arriva ai mortali, tramite diverse vie e condizioni, la luce solare; ma dal punto in cui si intersecano quattro cerchi, formando tre croci, esso nasce in congiunzione con la stagione più mite e con una stella propizia ed esercita un più benefico influsso sul mondo.
Nel Purgatorio era mattino e quasi completamente illuminato, mentre in Terra era già giunta la sera e dominava il buio, quando vidi Beatrice, girata verso sinistra, guardando il sole; nessuna aquila lo fissò mai così intensamente.
Così come un raggio riflesso si divide dal suo generatore salendo verso l'alto, come un falco pellegrino che vuole recuperare quota in seguito a una picchiata, similmente io, vedendo l'atto di Beatrice, la imitai, rivolgendo il mio sguardo verso il sole, oltre ogni possibilità umana.
Lì sono consentite molte più cose alle nostre facoltà, grazie a quel luogo creato apposta per gli esseri umani.
Non sopportai a lungo la vista del sole ma neanche così poco da non vedere le scintille infuocate da lui prodotte, come accade al ferro incandescente.
Subito mi sembrò che il giorno fosse più luminoso, come se Dio avesse aggiunto un altro sole.
Beatrice aveva lo sguardo fisso al sole, e io fissai i miei occhi nei suoi, dopo averli distolti dalla luce troppo intensa .
Guardandola si generò in me una sensazione simile a quella che provò Glauco nel mangiare l'erba che lo rese un Dio marino.
Non si può spiegare parole l'elevarsi al di sopra dei limiti umani basti, a coloro i quali il divino riserba l'esperienza diretta, l'esempio mitologico.
Se, in quel momento, di me restava solamente l'anima, lo puoi sapere solamente tu, Dio, che mi innalzasti tramite la tua luce.
Quando il moto dei cieli, che rende eterno il desiderio di te, attirò la mia attenzione attraverso la melodia armonica che produci, mi sembrava che la luce del sole illuminasse una pezzo di cielo molto più vasto di qualsiasi lago creato dalle piogge o dai fiumi.
La novità del suono e l'intensa luce generarono in me un desiderio di conoscenza mai provato prima.
Vedendo il mo animo tormentato Beatrice, che già conosceva i miei pensieri, mi rispose prima ancora di aver formulato la domanda: “È la tua immaginazione ad impedirti di comprendere quello che veramente è la realtà. Non sei più nel regno dei mortali come credi, ma ti stai muovendo verso il cielo più rapido di un fulmine che si sta abbattendo sulla terra”.
Inizialmente fui liberato da questo mio dubbio, per via delle sue brevi parole pronunciate con il sorriso, ma subito me ne sorse un altro e dissi : “Già mi sentivo libero dal turbamento, ma ora mi chiedo come io possa muovermi verso l'alto seppur appesantito dal mio corpo”.
Perciò sospirando lei volse a me uno sguardo simile a quello di una madre verso verso il figlio delirante e pronunciò queste parole: “ Tutte le cose sono tra loro ordinate e questo è il senso che Dio da all'universo.
In questo ordine gli uomini scorgono la grandezza divina, la quale è il fine per cui questo è stato creato.
Nel progetto divino sono inserite tutte le creature secondo la loro inclinazione, siano esse vicine o meno al creatore, queste si muovono verso diversi fini nel mare dell'universo, ciascuna secondo il proprio istinto naturale.
Tale istinto porta il fuoco verso il cielo e determina le azioni non solo degli esseri irrazionali, ma anche di quelli che sono dotati di intelletto e amore, e tiene unita la terra.
La Provvidenza, che stabilisce l'assetto dell'universo, rende l'empireo sempre tranquillo e in esso si muove solo il Primo Mobile.
Ed è li, come luogo decretato, che la virtù ci porta e spinge tutte le creature.
Ed è vero che, come l'opera si ribella all'artista, essendo essa difficile da modellare, allo stesso modo la creatura esce dal tracciato divino, essendo dotato di libero arbitrio.
E come si può vedere la caduta di un fulmine cosi le passioni inaridiscono l'animo umano trascinandolo verso il basso.
Non ti devi dunque più stupire se giudico correttamente la tua ascesa, come non ti stupiresti di vedere un fiume che scorre da monte verso valle. Ti dovresti meravigliare se, senza aver commesso peccato alcuno, stesse accadendo il contrario, come se le fiamme divampassero verso il basso”.
Rivolse quindi lo sguardo al cielo.



Parafrasi del canto III, Paradiso.
Cugusi, Lupu, Proietti, Ravazzani.
Testo
Quel sol che pria d’amor mi scaldò ‘l petto,
di bella verità m’avea scoverto,
provando e riprovando, il dolce aspetto;           3

e io, per confessar corretto e certo
me stesso, tanto quanto si convenne
leva’ il capo a proferer più erto;                       6

ma visione apparve che ritenne
a sé me tanto stretto, per vedersi,
che di mia confession non mi sovvenne.           9

Quali per vetri trasparenti e tersi,
o ver per acque nitide e tranquille,
non sì profonde che i fondi sien persi,               12

tornan d’i nostri visi le postille
debili sì, che perla in bianca fronte
non vien men forte a le nostre pupille;               15

tali vid’io più facce a parlar pronte;
per ch’io dentro a l’error contrario corsi
a quel ch’accese amor tra l’omo e ‘l fonte.           18

Sùbito sì com’io di lor m’accorsi,
quelle stimando specchiati sembianti,
per veder di cui fosser, li occhi torsi;                 21

e nulla vidi, e ritorsili avanti
dritti nel lume de la dolce guida,
che, sorridendo, ardea ne li occhi santi.             24

«Non ti maravigliar perch’io sorrida»,
mi disse, «appresso il tuo pueril coto,
poi sopra ‘l vero ancor lo piè non fida,              27

ma te rivolve, come suole, a vòto:
vere sustanze son ciò che tu vedi,
qui rilegate per manco di voto.                        30

Però parla con esse e odi e credi;
ché la verace luce che li appaga
da sé non lascia lor torcer li piedi».               33

E io a l’ombra che parea più vaga
di ragionar, drizza’mi, e cominciai,
quasi com’uom cui troppa voglia smaga:      36

«O ben creato spirito, che a’ rai
di vita etterna la dolcezza senti
che, non gustata, non s’intende mai              39

grazioso mi fia se mi contenti
del nome tuo e de la vostra sorte».
Ond’ella, pronta e con occhi ridenti:                  42

«La nostra carità non serra porte
a giusta voglia, se non come quella
che vuol simile a sé tutta sua corte.                 45

I’ fui nel mondo vergine sorella;
e se la mente tua ben sé riguarda,
non mi ti celerà l’esser più bella,                      48

ma riconoscerai ch’i’ son Piccarda,
che, posta qui con questi altri beati,
beata sono in la spera più tarda.                       51

Li nostri affetti, che solo infiammati
son nel piacer de lo Spirito Santo,
letizian del suo ordine formati.                           54

E questa sorte che par giù cotanto,
però n’è data, perché fuor negletti
li nostri voti, e vòti in alcun canto».                    57

Ond’io a lei: «Ne’ mirabili aspetti
vostri risplende non so che divino
che vi trasmuta da’ primi concetti:                     60

però non fui a rimembrar festino;
ma or m’aiuta ciò che tu mi dici,
sì che raffigurar m’è più latino.                        63

Ma dimmi: voi che siete qui felici,
disiderate voi più alto loco
per più vedere e per più farvi amici?».             66

Con quelle altr’ombre pria sorrise un poco;
da indi mi rispuose tanto lieta,
ch’arder parea d’amor nel primo foco:              69

«Frate, la nostra volontà quieta
virtù di carità, che fa volerne
sol quel ch’avemo, e d’altro non ci asseta.        72

Se disiassimo esser più superne,
foran discordi li nostri disiri
dal voler di colui che qui ne cerne;                    75

che vedrai non capere in questi giri,
s’essere in carità è qui necesse,
e se la sua natura ben rimiri.                              78

Anzi è formale ad esto beato esse
tenersi dentro a la divina voglia,
per ch’una fansi nostre voglie stesse;                 81

sì che, come noi sem di soglia in soglia
per questo regno, a tutto il regno piace
com’a lo re che ‘n suo voler ne ‘nvoglia.              84

E ‘n la sua volontade è nostra pace:
ell’è quel mare al qual tutto si move
ciò ch’ella cria o che natura face».                         87
 
Chiaro mi fu allor come ogne dove
in cielo è paradiso, etsi la grazia
del sommo ben d’un modo non vi piove.               90

Ma sì com’elli avvien, s’un cibo sazia
e d’un altro rimane ancor la gola,
che quel si chere e di quel si ringrazia,                 93

così fec’io con atto e con parola,
per apprender da lei qual fu la tela
onde non trasse infino a co la spuola.                   96

«Perfetta vita e alto merto inciela
donna più sù», mi disse, «a la cui norma
nel vostro mondo giù si veste e vela,                    99

perché fino al morir si vegghi e dorma
con quello sposo ch’ogne voto accetta
che caritate a suo piacer conforma.                     102

Dal mondo, per seguirla, giovinetta
fuggi’mi, e nel suo abito mi chiusi
e promisi la via de la sua setta.                           105

Uomini poi, a mal più ch’a bene usi,
fuor mi rapiron de la dolce chiostra:
Iddio si sa qual poi mia vita fusi.                         108

E quest’altro splendor che ti si mostra
da la mia destra parte e che s’accende
di tutto il lume de la spera nostra,                       111

ciò ch’io dico di me, di sé intende;
sorella fu, e così le fu tolta
di capo l’ombra de le sacre bende.                          114

Ma poi che pur al mondo fu rivolta
contra suo grado e contra buona usanza,
non fu dal vel del cor già mai disciolta.                    117

Quest’è la luce de la gran Costanza
che del secondo vento di Soave
generò ‘l terzo e l’ultima possanza».                     120

Così parlommi, e poi cominciò ‘Ave,
Maria’ cantando, e cantando vanio
come per acqua cupa cosa grave.                             123

La vista mia, che tanto lei seguio
quanto possibil fu, poi che la perse,
volsesi al segno di maggior disio,                           126

e a Beatrice tutta si converse;
ma quella folgorò nel mio sguardo
sì che da prima il viso non sofferse;

e ciò mi fece a dimandar più tardo.                           130
     Prosa

 Quel sole, che per la prima volta mi incendiò il petto d'amore, m'aveva rivelato il dolce aspetto della verità;
 e io, per confessare di aver corretto il mio errore, sollevai il capo più di quanto fosse necessario per parlare;
 ma ebbi una visione che catturò a tal punto il mio sguardo che dimenticai di esporre la mia confessione.
 Proprio come attraverso dei vetri trasparenti, o delle acque nitide e tranquille, ma non così profonde da celare il fondo,
 tornano i riflessi dei vostri visi così evanescenti, che una perla su una bianca fronte non colpisce meno forte le nostre pupille;
in quel modo vidi più volti pronti a parlare, sicché incorsi nell'errore opposto rispetto a quello di Narciso, innamoratosi della sua immagine in una fonte.
 Come mi accorsi degli spiriti, li scambiai per immagini riflesse e, per vedere chi fossero, mi voltai
ma non vidi nulla.  Tornai a guardare nei suoi santi occhi la mia dolce guida, che mi sorrise.
  “Non ti stupire se sorrido del tuo pensiero puerile poiché non poggi ancora il piede sulla verità,
  ma tendi a confonderti, come di solito capita. Quelle che vedi sono anime reali, confinate qui per essere venute meno ai voti.
  
Perciò parla con loro, ascoltale e presta loro fiducia, poiché la luce della verità le illumina e non consente che loro si allontanino da lei.
 Cominciai a parlare all'anima che sembrava più desiderosa, rivolgendomi a essa colmo di smarrimento:
  “O spirito destinato alla salvezza che, illuminato dalla luce della vita eterna, assapori quella dolcezza che non può comprendere chi non l'abbia sperimentata,
  mi sarà gradito se  mi dirai il tuo nome e la tua condizione”.
Allora lei, pronta e con occhi gioiosi rispose:
 “La nostra carità non chiude le porte al giusto desiderio, così come la carità di Dio che vuole che tutto il paradiso sia simile a lui.
  Io, nella mia vita terrena, ero una suora e, se rifletti attentamente, la bellezza che mi trasfigura non mi renderà irriconoscibile da te,
  ma riconoscerai che io sono Piccarda, posta con tutti questi altri beati nel cielo più lento.
   I nostri sentimenti, infiammati dallo spirito santo, gioiscono di seguire il suo ordine
  e questa nostra sorte, che pare alquanto bassa, ci è stata data perchè venimmo meno ai nostri voti o del tutto o solo in alcuni apetti”.
  Io le dissi: “C'è qualcosa di divino che risplende nel vostro meraviglioso aspetto che vi rende diversi da come eravate prima.
   Per questo motivo sono stato lento nel riconoscerti, ma quello che mi hai detto mi aiuta a vedere il tuo volto con più chiarezza.
  Ma dimmi: voi che siete qui, nonostante siate felici, non desiderate stare più vicini a Lui, e perciò in un cielo più alto?”
  Le anime sorrisero e Piccarda, lieta e ardente nello spirito santo, mi rispose:
  “Fratello, la carità placa la nostra volontà. Vogliamo solo ciò che abbiamo e non desideriamo altro.
   Se desiderassimo essere più in alto saremmo in contrasto con la volontà di Dio, che ha voluto collocarci qui,
  ti renderai conto che questa cosa non potrà avvenire in Paradiso,se ricorderai che è necessaria la carità e se ti soffermerai sul concetto di essa.
   Anzi è necessario, nella nostra condizione di beati, rimanere nella volontà divina, per cui le nostre volontà diventano una sola;
   cosicché piace a tutti gli abitanti del regno il modo in cui siamo disposti nel cielo e piace al re che ci fa desiderare ciò che lui desidera.
  E nella sua volontà risiede  la nostra pace, è come un mare verso cui tende ciò che essa crea o che la natura produce"
  D’un tratto capii come in cielo ogni luogo sia paradiso, sebbene la Grazia divina non sia suddivisa equamente.
   Ma come accade quando si è sazi di un cibo e rimane la voglia di un altro cibo, si ringrazia per ciò che si è avuto ma si chiede per ciò che ancora si vuole,
     
io feci così nell’atteggiamento e nelle parole, per sapere quale fosse la tela che la spola non aveva portato a termine.
  Mi disse: “una vita perfetta e nobili meriti situano nei cieli più alti una donna, secondo la cui regola monacale ci si vela sulla terra [si tratta di Santa Chiara],
 perché si vegli e si dorma fino alla morte fedeli a Cristo, che accetta tutti i voti concordi al suo volere.
  Ancora giovane mi allontanai dalla vita mondana, presi l'abito del suo ordinamento religioso e feci voto di seguire la sua regola.
Alcuni uomini, più propensi al male che al bene, mi trassero via dal convento con la forza:Dio sa quale fu la mia vita in seguito.
 E quest'anima luminosa che vedi alla mia destra e che risplende di tutta la luce del nostro cielo
 comprende bene ciò che dico di me stessa: anche lei fu suora e le fu tolto nello stesso modo il velo dal capo.
 Anche dopo essere stata ricondotta alla vta mondana, ella non si separò mai dal velo del suo cuore.
  Questa è l'anima luminosa Costanza che dal secondo imperatore della casa Sveva generò il terzo ed ultimo erede."
  
Così parlò e, cantando l'Ave Maria,  scomparve come un oggetto che sprofonda nell'acqua.
   
 Il mio sguardo, che la seguì fin quando mi fu possibile, dopo averla persa di vista, si rivolse all'oggetto del desiderio
  e si concentrò su Beatrice, ma lei fulminò il mio sguardo tanto da non poterne sopportare la vista;
  
e questo mi rese più lento a porle altre domande.
     

 Parafrasi canto XI del Paradiso VALENTE GENTILE SANPIETRO ITALIANO
O insensata cura de' mortali,
quanto son difettivi silogismi
quei che ti fanno in basso batter l'ali!


Chi dietro a iura e chi ad amforismi
sen giva, e chi seguendo sacerdozio,
e chi regnar per forza o per sofismi,


e chi rubare e chi civil negozio,
chi nel diletto de la carne involto
s'affaticava e chi si dava a l'ozio,


quando, da tutte queste cose sciolto,
con Bëatrice m'era suso in cielo
cotanto glorïosamente accolto.


Poi che ciascuno fu tornato ne lo
punto del cerchio in che avanti s'era,
fermossi, come a candellier candelo.


E io senti' dentro a quella lumera
che pria m'avea parlato, sorridendo
incominciar, faccendosi più mera:


«Così com' io del suo raggio resplendo,
sì, riguardando ne la luce etterna,
li tuoi pensieri onde cagioni apprendo.


Tu dubbi, e hai voler che si ricerna
in sì aperta e 'n sì distesa lingua
lo dicer mio, ch'al tuo sentir si sterna,


ove dinanzi dissi: "U' ben s'impingua",
e là u' dissi: "Non nacque il secondo";
e qui è uopo che ben si distingua.


La provedenza, che governa il mondo
con quel consiglio nel quale ogne aspetto
creato è vinto pria che vada al fondo,


però che andasse ver' lo suo diletto
la sposa di colui ch'ad alte grida
disposò lei col sangue benedetto,


in sé sicura e anche a lui più fida,
due principi ordinò in suo favore,
che quinci e quindi le fosser per guida.


L'un fu tutto serafico in ardore;
l'altro per sapïenza in terra fue
di cherubica luce uno splendore.


De l'un dirò, però che d'amendue
si dice l'un pregiando, qual ch'om prende,
perch' ad un fine fur l'opere sue.


Intra Tupino e l'acqua che discende
del colle eletto dal beato Ubaldo,
fertile costa d'alto monte pende,


onde Perugia sente freddo e caldo
da Porta Sole; e di rietro le piange
per grave giogo Nocera con Gualdo.


Di questa costa, là dov' ella frange
più sua rattezza, nacque al mondo un sole,
come fa questo talvolta di Gange.


Però chi d'esso loco fa parole,
non dica Ascesi, ché direbbe corto,
ma Orïente, se proprio dir vuole.


Non era ancor molto lontan da l'orto,
ch'el cominciò a far sentir la terra
de la sua gran virtute alcun conforto;


ché per tal donna, giovinetto, in guerra
del padre corse, a cui, come a la morte,
la porta del piacer nessun diserra;


e dinanzi a la sua spirital corte
et coram patre le si fece unito;
poscia di dì in dì l'amò più forte.


Questa, privata del primo marito,
millecent' anni e più dispetta e scura
fino a costui si stette sanza invito;



né valse udir che la trovò sicura
con Amiclate, al suon de la sua voce,
colui ch'a tutto 'l mondo fé paura;


né valse esser costante né feroce,
sì che, dove Maria rimase giuso,
ella con Cristo pianse in su la croce.


Ma perch' io non proceda troppo chiuso,
Francesco e Povertà per questi amanti
prendi oramai nel mio parlar diffuso.


La lor concordia e i lor lieti sembianti,
amore e maraviglia e dolce sguardo
facieno esser cagion di pensier santi;


tanto che 'l venerabile Bernardo
si scalzò prima, e dietro a tanta pace
corse e, correndo, li parve esser tardo.


Oh ignota ricchezza! oh ben ferace!
Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro
dietro a lo sposo, sì la sposa piace.


Indi sen va quel padre e quel maestro
con la sua donna e con quella famiglia
che già legava l'umile capestro.


Né li gravò viltà di cuor le ciglia
per esser fi' di Pietro Bernardone,
né per parer dispetto a maraviglia;


ma regalmente sua dura intenzione
ad Innocenzio aperse, e da lui ebbe
primo sigillo a sua religïone.


Poi che la gente poverella crebbe
dietro a costui, la cui mirabil vita
meglio in gloria del ciel si canterebbe,


di seconda corona redimita
fu per Onorio da l'Etterno Spiro
la santa voglia d'esto archimandrita.


E poi che, per la sete del martiro,
ne la presenza del Soldan superba
predicò Cristo e li altri che 'l seguiro,


e per trovare a conversione acerba
troppo la gente e per non stare indarno,
redissi al frutto de l'italica erba,


nel crudo sasso intra Tevero e Arno
da Cristo prese l'ultimo sigillo,
che le sue membra due anni portarno.


Quando a colui ch'a tanto ben sortillo
piacque di trarlo suso a la mercede
ch'el meritò nel suo farsi pusillo,


a' frati suoi, sì com' a giuste rede,
raccomandò la donna sua più cara,
e comandò che l'amassero a fede;


e del suo grembo l'anima preclara
mover si volle, tornando al suo regno,
e al suo corpo non volle altra bara.


Pensa oramai qual fu colui che degno
collega fu a mantener la barca
di Pietro in alto mar per dritto segno;


e questo fu il nostro patrïarca;
per che qual segue lui, com' el comanda,
discerner puoi che buone merce carca.


Ma 'l suo pecuglio di nova vivanda
è fatto ghiotto, sì ch'esser non puote
che per diversi salti non si spanda;


e quanto le sue pecore remote
e vagabunde più da esso vanno,
più tornano a l'ovil di latte vòte.


Ben son di quelle che temono 'l danno
e stringonsi al pastor; ma son sì poche,
che le cappe fornisce poco panno.


Or, se le mie parole non son fioche,
se la tua audïenza è stata attenta,
se ciò ch'è detto a la mente revoche,


in parte fia la tua voglia contenta,
perché vedrai la pianta onde si scheggia,
e vedra' il corrègger che argomenta


"U' ben s'impingua, se non si vaneggia"».

O desiderio folle degli uomini, quanto sono insensati i ragionamenti che ti spingono ad anelare i beni terreni!



Chi seguiva gli studi giuridici, chi quelli medici, chi si dedicava al sacerdozio, chi cercava di regnare con la violenza o con l'inganno,



chi rubava, chi si dedicava agli affari politici,
chi si lasciava andare ai piaceri carnali, chi si dava all'ozio,



quando io, libero da tutte queste tentazioni, venivo accolto con Beatrice in Cielo in maniera così gloriosa.



Dopo che ogni luce fu ritornata nel punto della corona divina in cui si trovava prima, si fermò, simile alla candela di un candelabro.



E io sentii che dentro quella luce  che prima mi aveva parlato, il beato (san Tommaso) ricominciava a parlare sorridendo, diventando più luminoso:


«Poiché io risplendo del raggio di Dio, guardando nella sua luce eterna capisco da dove derivano le tue incertezze.



Tu hai dei dubbi, e desideri che ti sia spiegato con parole chiare e comprensibili quello che ho detto prima, che sia facilmente accessibile al tuo intelletto,


quando poco fa ho detto "Dove ci si arricchisce di beni spirituali" e quando ho detto "Non nacque un altro uguale"; e qui è necessario fare una distinzione.


La Provvidenza, che guida il mondo con quella saggezza divina per cui la vista di ogni creatura si perde prima di comprendere profondamente,


affinché andasse verso il suo amato la sposa (Chiesa) di Colui (Cristo) che la sposò fra le alte grida col suo sangue benedetto (sulla croce),


sicura di se stessa e ancora più fedele a Lui, dispose in suo favore due principi, che la guidassero da un lato e dall'altro.




Uno (Francesco) fu pieno di ardore come i Serafini; l'altro (Domenico) per la sua saggezza in Terra fu uno splendore di luce come i Cherubini.


Parlerò solo del primo, poiché elogiando uno qualunque dei due è come se si parlasse di entrambi, in quanto le loro opere ebbero il medesimo fine.


Fra il fiume Topino e il Chiascio, che scorre dal monte Ausciano, dove il beato Ubaldo scelse di fare l'eremita , discende il verde profilo di un alto monte,


dal quale Perugia sente il freddo e il caldo dal lato di Porta Sole; e dalla parte opposta piangono, perché in posizione più svantaggiosa, Nocera e Gualdo.


Da questa pendice, nel punto in cui essa diventa meno ripida (ad Assisi), nacque un Sole per il mondo (Francesco) come il vero Sole talvolta nasce dal Gange.


Perciò, chi parla di questo luogo, non lo chiami "Assisi", poiché lo sminuirebbe, ma lo chiami "Oriente", se proprio vuol parlarne.



Non era trascorso molto tempo dalla sua nascita, che Francesco cominciò a confortare la Terra con la sua gran virtù;



infatti, ancora giovane, si scontrò col padre per una donna (la Povertà) alla quale nessuno vuole unirsi, fuggendola come se fosse la morte;


e di fronte al tribunale episcopale e in presenza del padre si unì a lei; in seguito, l'amò sempre di più ogni giorno.



Essa, privata del primo marito (Cristo), era rimasta per più di millecento anni da sola, indispettita e triste, disprezzata da tutti, fino a Francesco;


non le servì che gli uomini udissero che Cesare, che fece paura a tutto il mondo, trovasse  la Povertà a casa  del pastore Amiclate,


e non le servì neppure essere fedele e agguerrita, al punto che, quando Maria rimase ai piedi della croce, lei invece pianse insieme a Cristo.


Ma affinché io non parli in modo troppo criptico, sappi che gli amanti a cui mi riferisco sono Francesco e la Povertà.



La loro concordia, il loro lieto aspetto, l'amore, la meraviglia e il loro dolce sguardo facevano scaturire negli altri dei santi pensieri;



al punto che il venerabile Bernardo fu il primo a togliersi le scarpe e corse dietro a quella pace e, correndo, gli sembrava di essere lento.



O ricchezza sconosciuta! o bene fecondo! Egidio e Silvestro si tolgono anch'essi i calzari e seguono lo sposo, talmente piace la sposa.


In seguito quel padre e maestro se ne va con la sua donna e con la sua famiglia di seguaci, che già si legava i fianchi con l'umile cinto.



E la vergogna non gli fece abbassare lo sguardo, essendo figlio di Pietro Bernardone, per aver scelto di essere tanto umile da suscitare meraviglia;


ma svelò a papa Innocenzo III il suo proposito con atteggiamento regale, e da lui ebbe il primo riconoscimento del suo Ordine.



E dopo che i seguaci poveri aumentarono dietro a Francesco, la cui vita ammirevole si celebrerebbe meglio nella gloria del cielo,


la volontà santa di questo pastore venne coronata dallo Spirito Santo con una seconda corona, attraverso papa Onorio III.



E dopo che, per desiderio del martirio, predicò Cristo e i suoi discepoli alla presenza superba del Sultano d'Egitto,



trovò quei popoli non ancora maturi per la conversione, e per non restare invano in quelle terre, tornò nella fertile Italia,



sul monte aspro tra il Tevere e l’Arno ricevette da Cristo le stimmate che il suo corpo portò per due anni.



Quando colui che l'aveva destinato a una tale sorte volle richiamarlo in cielo alla ricompensa che aveva meritato nel farsi umile,


Francesco raccomandò ai suoi confratelli, come a legittimi eredi, la sua donna più cara (la Povertà) e comandò loro che l'amassero restandole fedeli;


e dal grembo della Povertà la sua anima illustre volle sollevarsi, tornando al suo regno, mentre al suo corpo non volle altra bara che non fosse la nuda terra.


A questo punto puoi comprendere chi fu colui (san Domenico) che fu un degno collega di Francesco nel mantenere la giusta rotta della nave della Chiesa, che viaggiava in alto mare;


e questo fu il nostro patriarca; e puoi capire che chi lo segue com' egli comanda non può che arricchirsi spiritualmente.



Ma il suo gregge è diventato goloso di nuovi cibi (i beni terreni), per cui è inevitabile che si disperda in diversi pascoli;



e quanto più le pecore se ne allontanano e vagano fuori dalla giusta strada, tanto più povere di latte tornano all'ovile.



Ci sono certamente alcune che temono gli effetti dannosi del loro sviamento e restano fedeli al pastore, ma sono così poche che è sufficiente poco panno a confezionare le loro cappe.


Ora, se le mie parole non sono state oscure, se mi hai ascoltato con attenzione, se richiami alla tua mente quanto ho detto prima,



il tuo desiderio sarà in parte appagato, perché vedrai da dove ha origine la corruzione dell'ordine domenicano, e capirai che cosa significhi il mio correttivo:


“Ci si arricchisce spiritualmente, quando non ci si lascia attrarre dalle vanità del mondo"».
CANTO XV
Benigna volontade in che si liqua
sempre l’amor che drittamente spira,
come cupidità fa ne la iniqua,

silenzio puose a quella dolce lira,
e fece quïetar le sante corde
che la destra del cielo allenta e tira.

Come saranno a’ giusti preghi sorde
quelle sustanze che, per darmi voglia
ch’io le pregassi, a tacer fur concorde?

Bene è che sanza termine si doglia
chi, per amor di cosa che non duri
etternalmente, quello amor si spoglia. 12

Quale per li seren tranquilli e puri
discorre ad ora ad or sùbito foco,
movendo li occhi che stavan sicuri, 15

e pare stella che tramuti loco,
se non che da la parte ond’ e’ s’accende
nulla sen perde, ed esso dura poco: 18

tale dal corno che ’n destro si stende
a piè di quella croce corse un astro
de la costellazion che lì resplende; 21

né si partì la gemma dal suo nastro,
ma per la lista radïal trascorse,
che parve foco dietro ad alabastro. 24

Sì pïa l’ombra d’Anchise si porse,
se fede merta nostra maggior musa,
quando in Eliso del figlio s’accorse. 27

«O sanguis meus, o superinfusa
gratïa Deï, sicut tibi cui
bis unquam celi ianüa reclusa?». 30

Così quel lume: ond’ io m’attesi a lui;
poscia rivolsi a la mia donna il viso,
e quinci e quindi stupefatto fui; 33

ché dentro a li occhi suoi ardeva un riso
tal, ch’io pensai co’ miei toccar lo fondo
de la mia gloria e del mio paradiso. 36

Indi, a udire e a veder giocondo,
giunse lo spirto al suo principio cose,
ch’io non lo ’ntesi, sì parlò profondo; 39

né per elezïon mi si nascose,
ma per necessità, ché ’l suo concetto
al segno d’i mortal si soprapuose. 42

E quando l’arco de l’ardente affetto
fu sì sfogato, che ’l parlar discese
inver’ lo segno del nostro intelletto, 45

la prima cosa che per me s’intese,
«Benedetto sia tu», fu, «trino e uno,
che nel mio seme se’ tanto cortese!». 48

E seguì: «Grato e lontano digiuno,
tratto leggendo del magno volume
du’ non si muta mai bianco né bruno, 51

solvuto hai, figlio, dentro a questo lume
in ch’io ti parlo, mercé di colei
ch’a l’alto volo ti vestì le piume. 54

Tu credi che a me tuo pensier mei
da quel ch’è primo, così come raia
da l’un, se si conosce, il cinque e ’l sei; 57

e però ch’io mi sia e perch’ io paia
più gaudïoso a te, non mi domandi,
che alcun altro in questa turba gaia. 60

Tu credi ’l vero; ché i minori e ’ grandi
di questa vita miran ne lo speglio
in che, prima che pensi, il pensier pandi; 63

ma perché ’l sacro amore in che io veglio
con perpetüa vista e che m’asseta
di dolce disïar, s’adempia meglio, 66

la voce tua sicura, balda e lieta
suoni la volontà, suoni ’l disio,
a che la mia risposta è già decreta!». 69

Io mi volsi a Beatrice, e quella udio
pria ch’io parlassi, e arrisemi un cenno
che fece crescer l’ali al voler mio. 72

Poi cominciai così: «L’affetto e ’l senno,
come la prima equalità v’apparse,
d’un peso per ciascun di voi si fenno, 75

però che ’l sol che v’allumò e arse,
col caldo e con la luce è sì iguali,
che tutte simiglianze sono scarse. 78

Ma voglia e argomento ne’ mortali,
per la cagion ch’a voi è manifesta,
diversamente son pennuti in ali; 81

ond’ io, che son mortal, mi sento in questa
disagguaglianza, e però non ringrazio
se non col core a la paterna festa. 84

Ben supplico io a te, vivo topazio
che questa gioia prezïosa ingemmi,
perché mi facci del tuo nome sazio». 87

«O fronda mia in che io compiacemmi
pur aspettando, io fui la tua radice»:
cotal principio, rispondendo, femmi. 90

Poscia mi disse: «Quel da cui si dice
tua cognazione e che cent’ anni e piùe
girato ha ’l monte in la prima cornice, 93

mio figlio fu e tuo bisavol fue:
ben si convien che la lunga fatica
tu li raccorci con l’opere tue. 96

Fiorenza dentro da la cerchia antica,
ond’ ella toglie ancora e terza e nona,
si stava in pace, sobria e pudica. 99

Non avea catenella, non corona,
non gonne contigiate, non cintura
che fosse a veder più che la persona. 102

Non faceva, nascendo, ancor paura
la figlia al padre, ché ’l tempo e la dote
non fuggien quinci e quindi la misura. 105

Non avea case di famiglia vòte;
non v’era giunto ancor Sardanapalo
a mostrar ciò che ’n camera si puote. 108

Non era vinto ancora Montemalo
dal vostro Uccellatoio, che, com’ è vinto
nel montar sù, così sarà nel calo. 111

Bellincion Berti vid’ io andar cinto
di cuoio e d’osso, e venir da lo specchio
la donna sua sanza ’l viso dipinto; 114

e vidi quel d’i Nerli e quel del Vecchio
esser contenti a la pelle scoperta,
e le sue donne al fuso e al pennecchio. 117

Oh fortunate! ciascuna era certa
de la sua sepultura, e ancor nulla
era per Francia nel letto diserta. 120

L’una vegghiava a studio de la culla,
e, consolando, usava l’idïoma
che prima i padri e le madri trastulla; 123

l’altra, traendo a la rocca la chioma,
favoleggiava con la sua famiglia
d’i Troiani, di Fiesole e di Roma. 126

Saria tenuta allor tal maraviglia
una Cianghella, un Lapo Salterello,
qual or saria Cincinnato e Corniglia. 129

A così riposato, a così bello
viver di cittadini, a così fida
cittadinanza, a così dolce ostello, 132

Maria mi diè, chiamata in alte grida;
e ne l’antico vostro Batisteo
insieme fui cristiano e Cacciaguida. 135

Moronto fu mio frate ed Eliseo;
mia donna venne a me di val di Pado,
e quindi il sopranome tuo si feo. 138

Poi seguitai lo ’mperador Currado;
ed el mi cinse de la sua milizia,
tanto per bene ovrar li venni in grado. 141

Dietro li andai incontro a la nequizia
di quella legge il cui popolo usurpa,
per colpa d’i pastor, vostra giustizia. 144

Quivi fu’ io da quella gente turpa
disviluppato dal mondo fallace,
lo cui amor molt’ anime deturpa; 147

e venni dal martiro a questa pace».

La volontà di fare il bene, in cui si manifesta rettamente l'amore, così come la cupidigia si manifesta nella volontà malvagia,
fece stare in silenzio quella dolce lira tranquillizzando le sante corde che la mano divina allenta e tira.

Come potrebbero essere sorde alle preghiere ben orientate quelle anime che, per indurmi a domandare, tacquero concordemente?

È giusto che soffra per sempre colui che si priva in eterno dell'amore di Dio a favore di beni transitori.

Come lo sguardo sicuro è distratto da un fuoco che all'improvviso passa in nel cielo tranquillo e puro
e pare una stella che si sposti, salvo che nel punto in cui essa si accende per brevissimo tempo, non sparisce nessun astro

così, dal braccio destro della croce fino alla parte inferiore, si mosse un elemento di quella costellazione;

e la gemma non si separò dal suo nastro, ma risalì il braccio della croce come fuoco dietro all'alabastro.

Analogamente si mostrò pia l'anima di Anchise appena vide il figlio Enea nei Campi Elisi, se la nostra maggiore Musa (Virgilio) merita fiducia.

«O mio discendente, o abbondante grazia divina, a chi come a te fu aperta due volte la porta del Cielo?»

Parlò così la luce, e io mi rivolsi dapprima a lui e poi alla mia donna e fui stupefatto dell'una e dell'altra visione;

perché gli occhi di Beatrice ardevano di un sorriso tale, che pensai di sfiorare coi miei occhi il fondo della mia gioia e del paradiso.

Poi, piacevole a vedersi e a udirsi, lo spirito aggiunse a quanto aveva detto altre cose, tanto profonde che non riuscii a capirle;

e non volle celarmene il significato, io non ci arrivai perché il concetto espresso andava ben oltre al limite dell'intelletto umano.

E quando l'arco del suo ardore di carità si fu sfogato fino rendere comprensibili le sue parole

la prima cosa che intesi fu: «Benedetto sia tu, uno e trino, che sei tanto cortese verso il mio discendente!»

Poi continuò: «Tu, o figlio, hai finalmente esaudito in questa luce in cui io ti parlo il gradito e lontano desiderio

che avevo tratto leggendo dal gran volume  dove ogni cosa è immutabile, grazie a colei che ti ha dato le ali per questo alto volo.

 Tu credi che il tuo pensiero venga a me da quello divino, così come dall'uno, se lo si conosce, derivano il cinque e il sei;

e dunque non mi chiedi chi sono e perché sembri più felice a te che rispetto a chiunque altro in questa beata schiera.

Tu pensi il vero; perché le anime più e meno beate  guardano nello specchio in cui, prima ancora che pensi, si riflette il pensiero;

ma perché il sacro amore che io provo sempre grazie alla continua contemplazione e che mi accende di dolce desiderio si adempia perfettamente,
la tua voce sicura, lieta e balda esprima la tua volontà, faccia risuonare il desiderio al quale la mia risposta è già decretata!»

Io mi rivolsi a Beatrice e lei capì prima che parlassi, e mi sorrise con un cenno che fece crescere le ali al mio desiderio.

Poi cominciai a dire: «Il sentimento e l'intelletto, non appena Dio vi apparve, si fecero per voi dello stesso peso,
poiché il sole che vi illuminò e scaldò è uguale nel suo sapere e nel suo amore, al punto che ogni altra uguaglianza è imperfetta.


Ma sentimento e intelletto nei mortali hanno mezzi ben diversi, per la ragione che vi è nota ;


perciò io, che sono mortale, sento la nostra differenza, dunque ringrazio col cuore per questa festa accogliente.

Ti supplico, splendente topazio che adorni questo gioiello, rivelami il tuo nome».

Egli iniziò a rispondermi facendomi: «O mio discendente, in cui mi compiaccio anche solo aspettando, sono un antenato della tua famiglia».

Poi proseguì: «Colui dal quale deriva il tuo cognome e che gira da più di cent'anni nella I Cornice del Purgatorio,
fu mio figlio e tuo bisnonno: dovresti alleviare le sue sofferenze accorciando il suo viaggio con la preghiera.

Firenze era ancora racchiusa nell'antica cinta muraria, da dove sentono le campane per le preghiere canoniche, sobria e morigerata.

Le donne non portavano catenelle, corone, gonne ricamate né cinture che fossero più appariscenti delle persone.
Il padre non si spaventava vedendo al figlia neonata, in quanto l'età delle nozze e l'entità della dote non erano sproporzionate come ora.
Non c'erano case disabitate; Sardanapalo non aveva ancora mostrato cosa si può fare in camera da letto.

Monte Mario a Roma non era ancora superato dal vostro monte Uccellatoio, il quale sarà superato sia nel crescere sia nella rapida decadenza.
Io vidi Bellincione Berti indossare una cintura di cuoio e d'osso, e sua moglie allontanarsi dallo specchio senza il viso imbellettato;

e vidi i membri della famiglia Nerli e dei Vecchietti accontentarsi di vesti in pelle, e le loro donne lavorare al telaio.

Oh fortunate! Ciascuna era certa di morire in patria, e nessuna era tradita dal marito scappato in Francia.

L'una vegliava attentamente sulla culla e, consolando il bambino, gli parlava come si fa ai più piccoli che molto diverte i genitori

l'altra, lavorando al telaio, raccontava alla sua famiglia le leggende dei Troiani, di Fiesole e di Roma.

Allora una Cianghella, un Lapo salterello avrebbe suscitato meraviglia, esattamente come ora farebbero Cincinnato e Cornelia.

Mia madre mi diede alla luce in un clima di riposo, immersi in una buona comunità e in una così confortevole casa,

 invocando con grida Maria durante il parto; e nel vostro antico Battistero di S. Giovanni fui battezzato Cacciaguida.

Moronto ed Eliseo furono miei fratelli; mia moglie venne dalla Valpadana, e da lei ebbe origine il tuo cognome.

Poi seguii l'imperatore Corrado; che mi accettò tra le sue fila, a tal punto gli piacqui con il mio operare.

Lo seguii in Terra Santa, contro la malvagità di quella religione  il cui popolo usurpa quei luoghi, a causa della trascuratezza dei pontefici.

Lì per mano di quella gente maledetta abbandonai questo mondo fallace, il cui amore svia molte anime; e son giunto qui da quel martirio».




Paradiso, XVII NOVELLI PERNER FERRERO CL. BOTTERO
CANTO XVII
CANTO XVII - PARAFRASI
Qual venne a Climenè, per accertarsi
di ciò ch’avëa incontro a sé udito,
quei ch’ancor fa li padri ai figli scarsi; 
3

tal era io, e tal era sentito
e da Beatrice e da la santa lampa
che pria per me avea mutato sito. 
6

Per che mia donna «Manda fuor la vampa
del tuo disio», mi disse, «sì ch’ella esca
segnata bene de la interna stampa: 
9

non perché nostra conoscenza cresca
per tuo parlare, ma perché t’ausi
a dir la sete, sì che l’uom ti mesca». 
12

«O cara piota mia che sì t’insusi,
che, come veggion le terrene menti
non capere in trïangol due ottusi, 
15


così vedi
 le cose contingenti

anzi che sieno in sé, mirando il punto
a cui tutti li tempi son presenti; 
18

mentre ch’io era a 
Virgilio congiunto
su per lo monte che l’anime cura
e discendendo nel mondo defunto, 
21

dette mi fuor di mia vita futura
parole gravi, avvegna ch’io mi senta
ben tetragono ai colpi di ventura; 
24

per che la voglia mia saria contenta
d’intender qual fortuna mi s’appressa:
ché saetta previsa vien più lenta». 
27

Così diss’ io a quella luce stessa
che pria m’avea parlato; e come volle
Beatrice, fu la mia voglia confessa. 
30

Né per ambage, in che la gente folle
già s’inviscava pria che fosse anciso
l’Agnel di Dio che le peccata tolle, 
33

ma per chiare parole e con preciso
latin rispuose quello amor paterno,
chiuso e parvente del suo proprio riso: 
36

«La contingenza, che fuor del quaderno
de la vostra matera non si stende,
tutta è dipinta nel cospetto etterno; 
39

necessità però quindi non prende
se non come dal viso in che si specchia
nave che per torrente giù discende. 
42

Da indi, sì come viene ad orecchia
dolce armonia da organo, mi viene
a vista il tempo che ti s’apparecchia. 
45

Qual si partio Ipolito d’Atene
per la spietata e perfida noverca,
tal di Fiorenza partir ti convene. 
48

Questo si vuole e questo già si cerca,
e tosto verrà fatto a chi ciò pensa
là dove Cristo tutto dì si merca. 
51

La colpa seguirà la parte offensa
in grido, come suol; ma la vendetta
fia testimonio al ver che la dispensa. 
54

Tu lascerai ogne cosa diletta
più caramente; e questo è quello strale
che l’arco de lo essilio pria saetta. 
57

Tu proverai sì come sa di sale
lo pane altrui, e come è duro calle
lo scendere e 'l salir per l'altrui scale.
 
60

E quel che più ti graverà le spalle,
sarà la compagnia malvagia e scempia
con la qual tu cadrai in questa valle; 
63

che tutta ingrata, tutta matta ed empia
si farà contr’ a te; ma, poco appresso,
ella, non tu, n’avrà rossa la tempia. 
66

Di sua bestialitate il suo processo
farà la prova; sì ch’a te fia bello
averti fatta parte per te stesso. 
69

Lo primo tuo refugio e ’l primo ostello
sarà la cortesia del gran Lombardo
che ’n su la scala porta il santo uccello; 
72

ch’in te avrà sì benigno riguardo,
che del fare e del chieder, tra voi due,
fia primo quel che tra li altri è più tardo. 
75

Con lui vedrai colui che ’mpresso fue,
nascendo, sì da questa stella forte,
che notabili fier l’opere sue. 
78

Non se ne son le genti ancora accorte
per la novella età, ché pur nove anni
son queste rote intorno di lui torte; 
81

ma pria che ’l Guasco l’alto Arrigo inganni,
parran faville de la sua virtute
in non curar d’argento né d’affanni. 
84

Le sue magnificenze conosciute
saranno ancora, sì che ’ suoi nemici
non ne potran tener le lingue mute. 
87

A lui t’aspetta e a’ suoi benefici;
per lui fia trasmutata molta gente,
cambiando condizion ricchi e mendici; 
90

e portera’ne scritto ne la mente
di lui, e nol dirai»; e disse cose
incredibili a quei che fier presente. 
93

Poi giunse: «Figlio, queste son le chiose
di quel che ti fu detto; ecco le ’nsidie
che dietro a pochi giri son nascose. 
96

Non vo’ però ch’a’ tuoi vicini invidie,
poscia che s’infutura la tua vita
vie più là che ’l punir di lor perfidie». 
99

Poi che, tacendo, si mostrò spedita
l’anima santa di metter la trama
in quella tela ch’io le porsi ordita, 
102

io cominciai, come colui che brama,
dubitando, consiglio da persona
che vede e vuol dirittamente e ama: 
105

«Ben veggio, padre mio, sì come sprona
lo tempo verso me, per colpo darmi
tal, ch’è più grave a chi più s’abbandona; 
108

per che di provedenza è buon ch’io m’armi,
sì che, se loco m’è tolto più caro,
io non perdessi li altri per miei carmi. 
111

Giù per lo mondo sanza fine amaro,
e per lo monte del cui bel cacume
li occhi de la mia donna mi levaro, 
114

e poscia per lo ciel, di lume in lume,
ho io appreso quel che s’io ridico,
a molti fia sapor di forte agrume; 
117

e s’io al vero son timido amico,
temo di perder viver tra coloro
che questo tempo chiameranno antico». 
120

La luce in che rideva il mio tesoro
ch’io trovai lì, si fé prima corusca,
quale a raggio di sole specchio d’oro; 
123

indi rispuose: «Coscïenza fusca
o de la propria o de l’altrui vergogna
pur sentirà la tua parola brusca. 
126

Ma nondimen, rimossa ogne menzogna,
tutta tua visïon fa manifesta;
e lascia pur grattar dov’ è la rogna. 
129

Ché se la voce tua sarà molesta
nel primo gusto, vital nodrimento
lascerà poi, quando sarà digesta. 
132

Questo tuo grido farà come vento,
che le più alte cime più percuote;
e ciò non fa d’onor poco argomento. 
135

Però ti son mostrate in queste rote,
nel monte e ne la valle dolorosa
pur l’anime che son di fama note, 
138

che l’animo di quel ch’ode, non posa
né ferma fede per essempro ch’aia
la sua radice incognita e ascosa, 
141

né per altro argomento che non paia».
Con i medesimi sentimenti con cui Fetonte venne dalla madre Climene  per verificare ciò che aveva sentito dire contro di sé, lui che   ancora oggi rende  i padri prudenti nell'acconsentire troppo facilmente ai figli, mi sentivo io,  e se ne accorse sia Beatrice sia quell'anima santa che per parlare con me aveva lasciato il suo posto presso la croce luminosa.

Dunque la mia donna si pronunciò: “ Libera l'ardore del desiderio, così che questo si possa esprimere attraverso le giuste parole che rendano ad esso giustizia: non perché per comprenderlo meglio abbiamo bisogno delle tue parole , ma affinché tu ti possa abituare ad esporre le tue richieste, così che gli altri possano esaudirle.”

“O cara radice mia che ti elevi così in alto che, come le semplici menti umane possono comprendere che due angoli ottusi non possono essere contenuti in un triangolo, con la stessa chiarezza tu vedi  gli avvenimenti prossimi ad accadere, guardando quel punto, Dio, in cui coesistono tutte le epoche;  mentre io, con Virgilio, scalavo il monte del Purgatorio, ove le anime si purificano, o discendevo nell'Inferno della pena eterna, mi sono state riferite parole gravi circa la mia vita futura, nonostante io mi senta di poter sopportare i duri colpi della sfortuna;





  perciò la mia volontà sarebbe appagata se mi fosse concesso di conoscere il mio destino: perché il male atteso colpisce meno duramente”.

Mi rivolsi così a quell'anima luminosa che prima mi aveva parlato; e come voleva Beatrice, confessai apertamente il mio desiderio

Non con il linguaggio ambiguo degli oracoli, nel quale le menti comuni s'invischiavano già prima che avvenisse il sacrificio dell'Agnello di Dio che toglie i peccati dal mondo, ma con parole chiare ed un discorso mirato mi rispose quell'amorevole padre, rinchiuso in quella luce attraverso la quale si poteva intravedere il suo sorriso:

“ Il corso degli avvenimenti prossimi a venire, che è proprio della vostra dimensione materiale, è presente tutta nella mente di Dio;

però non acquisisce carattere di necessità, così come non dipende dagli occhi che lo osservano, il movimento di una nave che scende lungo il torrente.
 Da lì, dalla mente di Dio, così come giunge ad un orecchio la dolce melodia emessa da un organo, allo stesso modo si presentano al mio sguardo gli avvenimenti che ti attendono.
Così come Ippolito fu costretto a partire da Atene a causa della spietata e perfida matrigna, allo stesso modo dovrai allontanarti da Atene. Questo è ciò che si vuole e questo già cercano di fare, e questo presto verrà fatto dai tuoi nemici, che tramano là, dove si fa mercato delle cose di Cristo (la curia di Roma).

La colpa, come di solito accade, verrà addossata alla parte offesa tramite la fama, ma la prossima punizione divina renderà evidente la verità, dispensata giustamente da Dio.

Tu abbandonerai ciò che più ami; e questa è la prima pena dell'esilio.


Tu proverai come è salato il pane altrui, e come è arduo salire e scendere le scale altrui.


E ciò che ti darà più fastidio sarà la compagnia malvagia e stolta dei fuoriusciti fiorentini;


infatti essa diventerà ingrata, stolta e ingiusta verso di te; ma, poco dopo, saranno loro e non tu ad avere le tempie bagnate di sangue.

Quello che accadrà dimostrerà la loro follia; cosicché non ti dispiacerà essertene separato.


Il tuo primo rifugio e il tuo primo ostello sarà la generosa accoglienza dei signori di Verona [Bartolomeo della Scala] che sulla scala del suo stemma porta il sacro uccello; egli sarà così benevolo nei tuoi confronti, che tra voi due accadrà prima ciò che tra gli altrui accade dopo, il favore prima della richiesta.

Insieme a lui conoscerai quello che, alla nascita, fu influenzato a tal punto da questo pianeta che le sue imprese saranno straordinarie.

Le persone non se ne sono ancora accorte per la tua giovane età; ma prima che il Guasco  inganni l'alto Arrigo, egli mostrerà scintille del suo valore nella noncuranza di denaro e affanni.



Le sue gesta saranno conosciute da tutti, al punto che i suoi diffamatori non potranno nasconderle.



Affidati a lui e ai suoi benefici; grazie a lui molta gente cambierà condizione, sia mendicanti sia ricchi;

e porterai  nella memoria queste cose sul suo conto, che non dovrai riferire»; e disse cose che saranno incredibili anche per chi le vedrà di persona.

Poi aggiunse: «Figlio, questo è il significato di ciò che ti fu detto; ecco ciò che ti attende tra pochi anni.

Non voglio però che tu serbi rancore ai tuoi concittadini, poiché la tua vita è destinata a superare il tempo della punizione che attende i loro peccati» .

Dopo che, tacendo, l'anima santa mostrò di aver completato la trama in quella tela di cui le porsi i fili,

cominciai, come colui che ha un dubbio e desidera un consiglio da una persona che vede, vuole e ama in modo retto.

 «Vedo bene, padre mio, che il tempo mi incalza, per infliggermi una ferita, che è tanto più dolorosa quanto più uno sia impreparato ad essa;

dunque è necessario che io sia previdente, così che, se sarò allontanato dal luogo che mi è caro,  non perda ogni possibile rifugio a causa dei miei versi.

Attraverso l'Inferno sede di sofferenze eterne, il Purgatorio, dalla cui bella cima gli occhi della mia donna mi sollevarono,

e in seguito in Paradiso, di Cielo in Cielo, ho appreso cose che, se riferite,  saranno scomode a molti. D'altra parte, tacendo per prudenza, non diffonderò la verità, temo di abbreviare la mia fama presso i posteri».



Il lume in cui splendeva l'anima preziosa del mio avo, dapprima si fece luminosa, come uno specchio d'oro colpito dal sole; poi rispose:

Ogni coscienza sporca per misfatti propri o di parenti sarà certamente amareggiata dalle tue parole veritiere.

Tuttavia, messa da arte ogni menzogna, racconta tutto ciò che hai visto, e lascia pure che chi ha colpa ne paghi le conseguenze.

Infatti la tua voce, se all'inizio sarà spiacevole, poi quando sarà assimilata lascerà un nutrimento vitale.

Le tue parole saranno come un vento che colpisce di più le cime più alte, e ciò non  costituisce un piccolo motivo di gloria.

Perciò in questi Cieli, in Purgatorio e nella dolorosa valle dell'Inferno ti si sono mostrate solo anime famose, perché chi ascolta non può trarre profitto


da esempi sconosciuti, né presta fede a una dimostrazione che non sia evidente».


PARADISO XXXIII, RONDANO, BARAVAGLIO, PERNER
XXXIII CANTO
«Vergine Madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d'etterno consiglio, 3


tu se’ colei che l’umana natura
nobilitasti sì, che ’l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.
 6

Nel ventre tuo si raccese l’amore,
per lo cui caldo ne l’etterna pace
così è germinato questo fiore. 
9

Qui se’ a noi meridïana face
di caritate, e giuso, intra ’ mortali,
se’ di speranza fontana vivace. 
12

Donna, se’ tanto grande e tanto vali,
che qual vuol grazia e a te non ricorre,
sua disïanza vuol volar sanz’ ali. 
15

La tua benignità non pur soccorre
a chi domanda, ma molte fïate
liberamente al dimandar precorre. 
18

In te misericordia, in te pietate,
in te magnificenza, in te s’aduna
quantunque in creatura è di bontate. 
21

Or questi, che da l’infima lacuna
de l’universo infin qui ha vedute
le vite spiritali ad una ad una, 
24

supplica a te, per grazia, di virtute
tanto, che possa con li occhi levarsi
più alto verso l’ultima salute. 
27

E io, che mai per mio veder non arsi
più ch’i’ fo per lo suo, tutti miei prieghi
ti porgo, e priego che non sieno scarsi, 
30

perché tu ogne nube li disleghi
di sua mortalità co’ prieghi tuoi,
sì che ’l sommo piacer li si dispieghi. 
33

Ancor ti priego, regina, che puoi
ciò che tu vuoli, che conservi sani,
dopo tanto veder, li affetti suoi. 
36

Vinca tua guardia i movimenti umani:
vedi Beatrice con quanti beati
per li miei prieghi ti chiudon le mani!». 
39

Li occhi da Dio diletti e venerati,
fissi ne l’orator, ne dimostraro
quanto i devoti prieghi le son grati; 
42

indi a l’etterno lume s’addrizzaro,
nel qual non si dee creder che s’invii
per creatura l’occhio tanto chiaro. 
45

E io ch’al fine di tutt’ i disii
appropinquava, sì com’ io dovea,
l’ardor del desiderio in me finii. 
48

Bernardo m’accennava, e sorridea,
perch’ io guardassi suso; ma io era
già per me stesso tal qual ei volea: 
51

ché la mia vista, venendo sincera,
e più e più intrava per lo raggio
de l’alta luce che da sé è vera. 
54

Da quinci innanzi il mio veder fu maggio
che ’l parlar mostra, ch’a tal vista cede,
e cede la memoria a tanto oltraggio. 
57

Qual è colüi che sognando vede,
che dopo ’l sogno la passione impressa
rimane, e l’altro a la mente non riede, 
60

cotal son io, ché quasi tutta cessa
mia visïone, e ancor mi distilla
nel core il dolce che nacque da essa. 
63

Così la neve al sol si disigilla;
così al vento ne le foglie levi
si perdea la sentenza di Sibilla. 
66

O somma luce che tanto ti levi
da’ concetti mortali, a la mia mente
ripresta un poco di quel che parevi, 
69

e fa la lingua mia tanto possente,
ch’una favilla sol de la tua gloria
possa lasciare a la futura gente; 
72

ché, per tornare alquanto a mia memoria
e per sonare un poco in questi versi,
più si conceperà di tua vittoria. 
75

Io credo, per l’acume ch’io soffersi
del vivo raggio, ch’i’ sarei smarrito,
se li occhi miei da lui fossero aversi. 
78

E’ mi ricorda ch’io fui più ardito
per questo a sostener, tanto ch’i’ giunsi
l’aspetto mio col valore infinito. 
81

Oh abbondante grazia ond’ io presunsi
ficcar lo viso per la luce etterna,
tanto che la veduta vi consunsi! 
84

Nel suo profondo vidi che s’interna,
legato con amore in un volume,
ciò che per l’universo si squaderna: 
87

sustanze e accidenti e lor costume
quasi conflati insieme, per tal modo
che ciò ch’i’ dico è un semplice lume. 
90

La forma universal di questo nodo
credo ch’i’ vidi, perché più di largo,
dicendo questo, mi sento ch’i’ godo. 
93

Un punto solo m’è maggior letargo
che venticinque secoli a la ’mpresa
che fé Nettuno ammirar l’ombra d’Argo. 
96

Così la mente mia, tutta sospesa,
mirava fissa, immobile e attenta,
e sempre di mirar faceasi accesa. 
99

A quella luce cotal si diventa,
che volgersi da lei per altro aspetto
è impossibil che mai si consenta; 
102

però che ’l ben, ch’è del volere obietto,
tutto s’accoglie in lei, e fuor di quella
è defettivo ciò ch’è lì perfetto. 
105

Omai sarà più corta mia favella,
pur a quel ch’io ricordo, che d’un fante
che bagni ancor la lingua a la mammella. 
108

Non perché più ch’un semplice sembiante
fosse nel vivo lume ch’io mirava,
che tal è sempre qual s’era davante; 
111

ma per la vista che s’avvalorava
in me guardando, una sola parvenza,
mutandom’ io, a me si travagliava. 
114

Ne la profonda e chiara sussistenza
de l’alto lume parvermi tre giri
di tre colori e d’una contenenza; 
117

e l’un da l’altro come iri da iri
parea reflesso, e ’l terzo parea foco
che quinci e quindi igualmente si spiri. 
120

Oh quanto è corto il dire e come fioco
al mio concetto! e questo, a quel ch’i’ vidi,
è tanto, che non basta a dicer ’poco’. 
123

O luce etterna che sola in te sidi,
sola t’intendi, e da te intelletta
e intendente te ami e arridi! 
126

Quella circulazion che sì concetta
pareva in te come lume reflesso,
da li occhi miei alquanto circunspetta, 
129

dentro da sé, del suo colore stesso,
mi parve pinta de la nostra effige:
per che ’l mio viso in lei tutto era messo. 
132

Qual è ’l geomètra che tutto s’affige
per misurar lo cerchio, e non ritrova,
pensando, quel principio ond’ elli indige, 
135

tal era io a quella vista nova:
veder voleva come si convenne
l’imago al cerchio e come vi s’indova; 
138

ma non eran da ciò le proprie penne:
se non che la mia mente fu percossa
da un fulgore in che sua voglia venne. 
141

A l’alta fantasia qui mancò possa;
ma già volgeva il mio disio e ’l velle,
sì come rota ch’igualmente è mossa, 
144

l’amor che move il sole e l’altre stelle.
VERSIONE IN PROSA
“O Maria, tu che sei al contempo madre e figlia di tuo figlio, tu che sei la più umile e la più nobile delle creature, meta prefissata della decisione divina,
tu sei quella che ha nobilitato la natura umana al punto da far sì che Dio non disdegnasse l’incarnazione.
Nel tuo concepimento si è racchiuso l’amore, dal quale è nata la rosa dei beati qui in paradiso.


In cielo sei per noi beati una fiaccola di carità  e in terrra, fra i mortali, fonte di speranza.

Signora, sei tanto grande e provvista di valore che chi desidera una grazia e non ricorre a te vuole che il suo desiderio voli sen’ali.

La tua carità va in aiuto non solo di chi domanda, ma molte volte ancor prima che sia stata fatta l richiesta.
In te è la misericordia, in te è la pietà, in te la magnificenza, in te si assomma tutta quanta la bontà che c’è nel creato.

Ora costui, che ha visto tutte le condizioni delle anime, dalla regione più bassa dell’universo fino a questo cielo, ti nvoca come dono di grazia, per ottenere da te tanta forza da poter alzare lo sguardo ancora più in alto fino a Dio, somma beatitudine.

E io, che non desiderato di vedere Dio più ardentemente di quanto desidero che egli lo veda, ti rivolgo tutte le mie preghiere, e prego che non siano insufficienti, affinché tu lo liberi da ogni offuscamento terreno con  le tue preghiere, così che gli si manifesti Dio, sublime gioia.
Ti prego infine, o Signora, che puoi ottenere tutto ciò che vuoi, che tu mantenga puri i suoi sentimenti , dopo la visione tanto grande di Dio.

La tua custodia tenga a freno le sue passioni terrene: guarda come Beatrice e tutti i beati si uniscono a mani giunte alla mia preghiera.

Gli occhi della Vergine, amati e venerati da Dio stesso, fissi in San Bernardo, ci dimostrarono quanto le siano gradite le preghiere che giungono da anime devote;
quindi si rivolsero a Dio, nel quale non si deve credere che occhi di nessun’altra creatura possano sprofondarsi tanto a fondo.

E io, che mi avvicinavo al termine ultimo dei miei desideri, così come doveva essere, sentii giungere al culmine l’ardore del mio desiderio.

Bernardo mi invitava a guardare verso l’altro e sorrideva; ma io già di per me ero nella disposizione di fare quello che voleva lui:
infatti la mia vista, diventando più pura, penetrava maggiormente nel raggio di luce divina che è vera nella sua essenza.

Da allora la mia vista fu migliore di quanto non
si possa dire con le  parole,  che non possono esprimere quella visione, e la memoria vacilla nel tentativo di ricordare un’esperienza così intensa.

Tale e quale a chi dopo aver sognato
si sveglia con l’impressione di aver fatto un sogno,senza tuttavia ricordarselo,

allo stesso modo a me è scomparso quasi del tutto il ricordo della visione dalla mia memoria, ma ancora è presente la dolce sensazione che provai.

Così la neve si scioglie al sole;
così  la sentenza di Sibilla, scritta sulle foglie leggere, si disperdeva nel vento.

O luce suprema, che sei tanto più elevata
dei concetti mortali, restituisci alla mia mente
un po’ di quel che mi mostrasti,

e fai il linguaggio umano sufficientemente efficace, così che io possa tramandare anche solo una scintilla della tua gloria alle genti future;

infatti, se potrò ricordare qualcosa
e riportarlo in questi versi,
sarà meglio compresa la tua grandezza.

Io credo che mi sarei smarrito a causa del fulgore che mi colpì,  se i miei occhi si fossero distolti dal vivo raggio della mente divina,

Mi ricordo  che per questo
fui più deciso a sostenere la vista, finché
congiunsi il mio sguardo con il valore infinito di Dio.

Oh eccelsa grazia, che mi diede il coraggio
di fissare lo sguardo nella luce eterna,
tanto che la vista fu spinta al limite!

Nelle profondità di essa vidi che è contenuto,
legato in un volume,
tutto ciò che è sparso nell'universo:
sostanze, accidenti e loro legami,
quasi uniti l'uno all'altro, per cui
ciò che dico è solo un accenno della verità.

La forma universale di tale nodo
che credo di aver visto allora, perché più
parlo di ciò e più sento crescere in me la gioia.

Un solo punto mi è ignoto, più che
i venticinque secoli dall'impresa degli Argonauti,
che fece scorgere a Nettuno la nave Argo.

Così i miei pensieri, totalmente sospesi,
miravano fissi, immobili e attenti,
e sempre impazienti di guardare.
Dinnanzi a quella luce si diventa tali
che è impossibile distogliere da essa la propria attenzione per osservare qualcos'altro;
perciò il bene, oggetto della volontà,
si raccoglie tutto nella luce, e al di fuori di essa
è imperfetto ciò che lì è perfetto.
Ormai le parole mi saranno insufficienti
a raccontare i miei ricordi, come quelle di un bambino che viene allattato ancora dalla madre.
Non perché nella luce divina che guardavo
ci fosse più di un solo aspetto, dato che Dio è immutabile;

ma la mia visione si arricchiva man mano,
e ciò che vedevo si trasformava di pari passo
con il mio mutamento interiore.

Nella chiara e profonda luce divina
mi parve di riconoscere tre cerchi
tutti della stessa misura ma di diverso colore,

un cerchio sembrava essere il riflesso di un secondo cerchio, il terzo sembrava come infuocato da una fiamma presente anche nei primi due.

Oh come mi è difficile ora esprimere ciò che ricordo! E pure ciò che ricordo
non è che minima parte di ciò che vidi.

O luce eterna che solo tu riesci a contemplarti,
a capirti, e a capire di esserti capita
tu che ami e ardi di carità,

il cerchio che sembrava essere un riflesso della luce dell’altro,dopo averlo osservato,

mi parve avere al suo interno una figura umana del suo medesimo colore: per questo motivo mi colpì tanto tale sua visione.
Così come un matematico esperto di geometria si sforza di trovare la misura della circonferenza e non ne viene a capo, riflettendo su quale possa essere l’elemento mancante,
 cosi ero io davanti a quella vista incredibile:
volevo comprendere come potesse la figura umana inscriversi perfettamente all’interno del cerchio; ma i miei strumenti non erano alla portata di simile impresa; nonostante ciò la mia mente fu folgorata da un sentimento e da un’intuizione che soddisfò la mia brama di sapere.

La mia immaginazione poi cedette:
ma ogni mio desiderio e pensiero fu immediatamente soddisfatto dall’amore divino, che muove il sole e le stelle cosi come una ruota in una maniera uniforme e costante.











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