Sii come il promontorio, contro
cui si infrangono incessantemente i flutti: resta immobile, e intorno ad esso
si placa il ribollire delle acque. «Me sventurato, mi è capitato questo».
Niente affatto! Semmai: «Me fortunato, perché anche se mi è capitato questo
resisto senza provar dolore, senza farmi spezzare dal presente e senza temere
il futuro». Infatti una cosa simile sarebbe potuta accadere a tutti, ma non
tutti avrebbero saputo resistere senza cedere al dolore. Allora perché vedere
in quello una sfortuna anziché in questo una fortuna? Insomma, chiami sfortuna
per un uomo ciò che non è un insuccesso della natura umana? E ti pare un
insuccesso della natura umana ciò che non va contro il volere di tale natura? E
allora? Hai appreso qual è il suo volere: sarà forse quel che ti è capitato a
impedirti di essere giusto, magnanimo, temperante, assennato, non precipitoso,
sincero, riservato, libero, dotato di tutte le altre qualità che, quando sono
insieme presenti, consentono alla natura dell'uomo di possedere ciò che le è
proprio? Ricorda poi, ad ogni evento che ti induca a soffrire, di far uso del
seguente principio: «questo fatto non è una sfortuna, mentre è una fortuna
sopportarlo nobilmente».
All'alba, quando ti svegli di
malavoglia, tieni sottomano questo pensiero: «Mi sveglio per svolgere il mio
compito di uomo; e ancora protesto per avviarmi a fare quello per cui sono nato
e per cui sono stato introdotto nel cosmo? O forse sono stato fatto per restare
a letto a scaldarmi sotto le coperte?». «Questo, però, è più piacevole». Sei
nato, allora, per godere? Il che, insomma, non significa forse: per essere
passivo? O, invece, sei nato per essere attivo? Non vedi che le piante, i
passeri, le formiche, i ragni, le api svolgono il proprio compito, collaborando
per la loro parte alla vita dell'universo? E tu, allora, non vuoi fare ciò che
è proprio dell'uomo, non corri verso ciò che è secondo la tua natura? «Ma è
necessario anche riposarsi». È necessario, lo dico anch'io: la natura, però, ha
posto una misura anche per questo, ne ha posto una anche per il mangiare e il
bere; e tu, ciò non ostante, vai al di là della misura, al di là di quel che è
sufficiente? Non lo fai più, però, quando si tratta di agire: allora ti tieni
«nei limiti del possibile»! Non ami te stesso: perché in tal caso ameresti
anche la tua natura e la sua volontà. Altri, che amano il proprio lavoro, vi
consumano ogni energia, saltando il bagno, saltando i pasti: tu onori la tua
natura meno di quanto il cesellatore onori il cesello o il danzatore la danza o
l'avaro il denaro o il vanaglorioso la sua misera gloria? Eppure costoro,
quando si appassionano, sono disposti a non mangiare e a non dormire pur di
veder crescere l'opera in cui sono impegnati: a te invece le azioni ispirate al
bene della comunità sembrano di minor valore, meno degne di attenzione? 2 Come
è facile respingere e cancellare ogni rappresentazione molesta o impropria, e
trovarsi sùbito in una calma assoluta. 3 Ritieniti degno di ogni parola e
azione che siano conformi a natura; e non cedere al pensiero che ne possano
conseguire le critiche o le chiacchiere di alcuni, ma, se è bene che una cosa
sia fatta o detta, non giudicartene indegno. Quelli, infatti, hanno un proprio principio
dirigente e seguono un proprio impulso: tu non tenerne conto, ma raggiungi la
meta per la via dritta, seguendo la tua natura personale e quella comune: una
sola, per entrambe, è la strada.
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