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TRADUZIONI DI LATINO: FEDRO, POSTILLA SULLA CONTRASTIVA, TACITO, SENECA, AGOSTINO (in fieri)

FEDRO Lupus et Agnus Ad rivum 1  eundem 2  lupus et agnus venerant 3 , siti compulsi 4 . Superior 5  stabat 6  lupus, longeque 7  infe...

martedì 26 luglio 2016

UN'IGNOBILE FARSA - BOZZA PER TEATRO IPPONATTEO

UN’IGNOBILE FARSA
Esame di Stato 20**-20**
*  Commissione – Liceo Scientifico Statale *** di ***
Presidente
Osvaldo Poseidone
Commissari Interni
Gianna Trista 
Ortalda Vampa 
Gioacchino Cordo 
Commissari Esterni
Claudia Cantalamessa 
Piero Ratti
Elisa Ponsa 
NOTA PER INTENDERE IL TESTO
Non sono loro i protagonisti dell’ignobile farsa. Non sono abbastanza ignobili per esserlo. In compenso sono ampiamente farseschi. Ignobile è invece il contesto: nel senso etimologico del termine, ovviamente. Si tratta infatti di costituzionale inettitudine a lasciare  libera espressione alla nobiltà, per esempio, del pensiero. Protagonista dunque è il contesto.

I commissari interni, nel caso della  * Commissione, che certo non può essere considerato da manuale, ma potrebbe ben configurarsi come un’anomalia del sistema, sono tutti ostili alla classe da esaminare. Le ragioni sono varie, ma può essere interessante, per godere della farsa fino in fondo, conoscerle. Prima però, la presentazione.
Giannina Trista:
è un’insegnante di mezza età che conosce bene la fisica e pratica anche la matematica. Fronte bassa e sguardo bieco, risata stridula e raccapricciante, invidie malcelate per  questa e quella (si badi al femminile dei dimostrativi), reincarna donna Prassede (ma come, anche i personaggi della letteratura coinvolti nella metempsicosi...), dirige 2 o 3 monasteri (classette ben ordinate, le chiama lei) e non tollera il libero pensiero. Sua affermazione particolarmente in grado di rappresentarla: “con la matematica non bisogna farsi domande, alcune cose bisogna solo studiarle, e poi si capiranno”. E poi.
Ortalda Vampa:
nuova recluta, insegnante del futuro. Inetta nella comunicazione con gli studenti, soprattutto quelli maggiori di 16 anni,  ai quali attribuisce capacità di intendimento limitate, probabilmente affini  a quelle che ha sempre posseduto lei (mai stata brillante). Ampiamente descritta dallo sguardo da gallina, che alcuni le riconoscono al primo incontro, senza farsi irretire da un colore dell’iride che la natura, incauta o cieca nelle sue assegnazioni, le ha regalato. Ha due lavori, che gestisce con sorprendente superficialità, per una che dovrebbe, vista la situazione, essere animata dal fuoco sacro dell’insegnamento.
Gioacchino Cordo:
senile intellettuale, predisposto all’infatuazione compulsiva per colleghe (il materiale femminile maggiormente a disposizione) che paiano, o siano, particolarmente giovani e sprovvedute. Lo sguardo lubrico non riesce a celarsi più di tanto, come pure una violenta avversione per gli studenti, in particolare per quelli che mettano in discussione il magistero delle suddette colleghe, che in soprassalti di mascolinità (pur sempre senile) lui è disposto a difendere cavallerescamente fino all’ultimo sangue (per non citare altri liquidi organici maggiormente implicati nella faccenda).
Osvaldo Poseidone:
niente a che vedere col grande dio marino, del quale usurpa incautamente il nome. Linguacciuto sessantenne, convinto d’essere molto intelligente (della qual cosa, si sa, conviene diffidare), ritiene suo dovere rimettere le cose a posto. E si limitasse a quelle di casa sua non ci sarebbe nulla di male, peccato che ami farlo a spese di altri e in situazione di massima visibilità. Suggerisce qualche spettatore che il suo cognome inviti a una rima facile e volgare: chissà che non torni utile all’espressione del libero pensiero.
Claudia Cantalamessa: 
puntigliosa e pedante, incapace di praticare l’elasticità mentale, o di lasciare esprimere il pensiero, (e dagliela con sto pensiero) ritiene di essere un’ottima insegnante e di doverlo  dimostrare continuamente. Le sue domande tipiche sono ispirate al più usurato nozionismo, ma lei le propone con il piglio di una studiosa delle arti belle, infarcendole di espressioni formulari alle quali non si può che rispondere con altrettante formule. Verso i colleghi di disciplina  nutre un notevole disprezzo, che l’ignobile farsa le permette di manifestare alla massima potenza.
Piero Ratti e Elisa Ponsa sono innocui. Probabilmente provvisti di buon senso e di volontà di praticarlo. Non meritano di essere approfonditi, nell’ignobile farsa, dato che praticamente sono dei collaborazionisti. Fiancheggiatori. Quelli che non si oppongono ma fanno onestamente la loro parte. Non si sa che nome assegnare in questi casi. Diciamo che non fanno né ridere né piangere,  kofon prosopon, dice il drammaturgo greco, personaggi muti,  come non esistessero, ma ci vogliono anche loro, fanno numero.
Le ragioni dell’ostilità
La classe è definita problematica. Leggi: formata da personalità l’una differente dall’altra. Che caso strano, che caso anomalo: Quintiliano, nel I secolo d. C., scriveva a proposito del fatto che gli alunni, in quanto ovviamente l’uno diverso dall’altro, dovessero essere trattati in quanto tali, aiutati a sviluppare ciascuno le proprie diverse potenzialità  e qualità. Bando all’uniformità, scriveva l’illuminato antenato, attenzione a non appiattire le coscienze, dato che questa operazione è sempre foriera di risultati devastanti (VINCE TRUMP, grida una voce fuori scena, VOTIAMO SALVINI, dice un’altra voce fuori scena; LA BUONA SCUOLA TRIONFA...no, non è una voce fuori scena, ma decisamente un’interferenza nociva). Quintiliano era un illuminato pedagogo, insegnano i manuali. Non scolarizzati, tuonano alcuni colleghi. Colpa di qualcuno, sicuramente. E gli sguardi accigliati trovano un capro espiatorio. Ma questo non importa, ora.

Passiamo al contesto ignobile. Un’aula sudata (già accaduto di scriverlo) in cui la messinscena prevede il ferro di cavallo: gli insegnanti, membri interni e membri esterni collocati in questa posizione propiziatoria, che permette di rivolgere domande a una seggiolina che si muove. Ed ecco il candidato. Bocca prosciugata, abbigliamento studiato per l’occasione, unico soggetto serio e degno di considerazione nel contesto farsesco (oh sì, il narratore parteggia per lui e per lei, il candidato candidata, candido nell’anima, non ancora stuprato dalla farsa iniziatica, albus, Leuconoe, quanta sapienza ancestrale... basta, queste voci fuori scena sono davvero importune). Il candidato (semplifico: tutto al maschile, va bene così, paritario quant’altro mai, non potrai costringermi al ridicolo asterisco) si è impegnato particolarmente in quella che gli è sembrata, da cinque anni a questa parte, la prima libera scelta operata dal suo pensiero pensante. O che ridere: pensiero pensante. Pleonasmo? No, non con i tempi che corrono nella scuola. Il pensiero non vi regna sovrano e, quando c’è, non pensa, ma ripete.  Blablabla privati del senso profondo, che piacciono però tanto a chi si appaga dell’ecolalia (ma sentite cosa sta dicendo, professori? Che siete appagati dall’ecolalia: suvvia, difendetevi dall’accusa infamante, scrivete versi ipponattei, imitate Alcmane...non vi lasciate infamare così).
Riprendiamo: il candidato inizia con l’esposizione del suo argomento. La tesina. Ha messo dell’impegno nel prepararla, ha profuso tempo e energie. Ora spera solo di essere ascoltato e capito.
Niente da fare. Nell’aula sudata l’attenzione non dura a lungo. L’argomento proposto non è trito e ritrito, come può accadere, ma è davvero una prova di ragionamento personale. Che presunzione, il candido candidato: ha provato a pensare a qualcosa senza essere ecolalico. I membri esterni si affannano a sfogliare pagine del libro di testo alla ricerca di domande attinenti.  Il candidato si è occupato di ars combinatoria applicata in particolare alla letteratura, e fa riferimento, con cognizione di causa, all’Oulipo, a Calvino e a Queneau.
Ecco, nell’ordine, le domande attinenti scovate dai  professionisti dell’insegnamento:
1)      Italiano: parole in libertà.
2)      Latino: il suicidio.
3)      Arte: il puntinismo
4)      Storia: il nazismo
5)      Filosofia: Kierkegaard
Alla prima domanda così sapientemente formulata, il membro esterno di italiano, non abilitato all’insegnamento del latino, pronto a dimostrare che il/lo/la/i/gli/le collega di italiano e latino non ha insegnato niente ai (restati candidi) candidati, ne fa seguire una seconda:
“Parliamo di D’Annunzio.” (sollievo del candidato: autore noto, spiegato dall’insegnante incompetente con un taglio chiaramente esplicitato nel programma: non compare l’indicazione “vita”, ma piuttosto le parole chiave estetismo, panismo,  superomismo; l’insegnante incompetente di cui sopra ha presentato l’autore attraverso alcuni testi, che sono stati resi oggetto di analisi). “Qual è il rapporto del poeta con le masse?” Il candidato, un nove di italiano (del quale quindi occorre dimostrare l’assoluta inconsistenza, questa l’ottica del membro esterno), memore delle indicazioni ricevute dall’incompetente che si è occupata della sua formazione per cinque anni, inizia a parlare. Niente appaga l’esaminatrice, che attende solo una specifica espressione: grigio diluvio democratico, a suo dire sintesi pregnante e insostituibile dell’insofferenza dannunziana per le masse. Non le importa d’altro, e il suo giudizio sul nove d’italiano è implacabile. Voto inaudito, lei sì avrebbe saputo come insegnare l’italiano, lei sì avrebbe ficcato in quelle testoline candide il segno della verità, lei sì che, leisiche, oh sì...

POSTILLA FINALE 
Può finire anche così. Di sicuro è finita così. La cultura greca ha creato, tra le altre cose, il genere dell’invettiva. I versi ipponattei, per esempio, sono violente espressioni di disgusto nei riguardi di nemici personali. Si tratta di un’arte nobile e catartica, che penso si possa praticare con grande soddisfazione e senza recare soverchi danni. Qualcuno, a partire dal soggetto medesimo che scrive, può trovare elementi di rispecchiamento. Qualcun altro può risentirsi. Altri ancora possono patire l’esagerazione. In ogni caso, l’ispiratrice è la realtà che, non dimentichiamolo, è sempre in gara con l’immaginazione in un confronto che resta impari.








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