UN’IGNOBILE FARSA
Esame di Stato 20**-20**
* Commissione – Liceo Scientifico Statale *** di ***
Presidente
Osvaldo Poseidone
Commissari Interni
Gianna Trista
Ortalda Vampa
Gioacchino Cordo
Commissari Esterni
Claudia Cantalamessa
Piero Ratti
Elisa Ponsa
Elisa Ponsa
NOTA PER INTENDERE IL
TESTO
Non sono loro i
protagonisti dell’ignobile farsa. Non sono abbastanza ignobili per esserlo. In
compenso sono ampiamente farseschi. Ignobile è invece il contesto: nel senso
etimologico del termine, ovviamente. Si tratta infatti di costituzionale
inettitudine a lasciare libera
espressione alla nobiltà, per esempio, del pensiero. Protagonista dunque è il
contesto.
I commissari interni, nel caso
della * Commissione, che certo non può essere considerato da manuale, ma potrebbe
ben configurarsi come un’anomalia del
sistema, sono tutti ostili alla classe da esaminare. Le ragioni sono varie,
ma può essere interessante, per godere della farsa fino in fondo, conoscerle. Prima
però, la presentazione.
Giannina Trista:
è un’insegnante di mezza età che
conosce bene la fisica e pratica anche la matematica. Fronte bassa e sguardo
bieco, risata stridula e raccapricciante, invidie malcelate per questa e quella (si badi al femminile dei
dimostrativi), reincarna donna Prassede (ma come, anche i personaggi della
letteratura coinvolti nella metempsicosi...), dirige 2 o 3 monasteri (classette ben ordinate, le chiama lei)
e non tollera il libero pensiero. Sua affermazione particolarmente in grado di
rappresentarla: “con la matematica non
bisogna farsi domande, alcune cose bisogna solo studiarle, e poi si capiranno”.
E poi.
Ortalda Vampa:
nuova recluta, insegnante del
futuro. Inetta nella comunicazione con gli studenti, soprattutto quelli
maggiori di 16 anni, ai quali
attribuisce capacità di intendimento limitate, probabilmente affini a quelle che ha sempre posseduto lei (mai
stata brillante). Ampiamente descritta dallo sguardo da gallina, che alcuni le
riconoscono al primo incontro, senza farsi irretire da un colore dell’iride che
la natura, incauta o cieca nelle sue assegnazioni, le ha regalato. Ha due
lavori, che gestisce con sorprendente superficialità, per una che dovrebbe,
vista la situazione, essere animata dal fuoco
sacro dell’insegnamento.
Gioacchino Cordo:
senile intellettuale, predisposto
all’infatuazione compulsiva per colleghe (il materiale femminile maggiormente a
disposizione) che paiano, o siano, particolarmente giovani e sprovvedute. Lo
sguardo lubrico non riesce a celarsi più di tanto, come pure una violenta
avversione per gli studenti, in particolare per quelli che mettano in
discussione il magistero delle suddette colleghe, che in soprassalti di
mascolinità (pur sempre senile) lui è disposto a difendere cavallerescamente
fino all’ultimo sangue (per non citare altri liquidi organici maggiormente
implicati nella faccenda).
Osvaldo Poseidone:
niente a che vedere col grande
dio marino, del quale usurpa incautamente il nome. Linguacciuto sessantenne,
convinto d’essere molto intelligente (della qual cosa, si sa, conviene
diffidare), ritiene suo dovere rimettere le cose a posto. E si limitasse a
quelle di casa sua non ci sarebbe nulla di male, peccato che ami farlo a spese
di altri e in situazione di massima visibilità. Suggerisce qualche spettatore
che il suo cognome inviti a una rima facile e volgare: chissà che non torni utile
all’espressione del libero pensiero.
Claudia Cantalamessa:
puntigliosa e pedante, incapace
di praticare l’elasticità mentale, o di lasciare esprimere il pensiero, (e dagliela con sto pensiero) ritiene
di essere un’ottima insegnante e di doverlo
dimostrare continuamente. Le sue domande tipiche sono ispirate al più
usurato nozionismo, ma lei le propone con il piglio di una studiosa delle arti
belle, infarcendole di espressioni formulari alle quali non si può che
rispondere con altrettante formule. Verso i colleghi di disciplina nutre un notevole disprezzo, che l’ignobile
farsa le permette di manifestare alla massima potenza.
Piero Ratti e Elisa Ponsa sono
innocui. Probabilmente provvisti di buon senso e di volontà di praticarlo. Non
meritano di essere approfonditi, nell’ignobile farsa, dato che praticamente
sono dei collaborazionisti. Fiancheggiatori. Quelli che non si oppongono ma
fanno onestamente la loro parte. Non si sa che nome assegnare in questi casi.
Diciamo che non fanno né ridere né piangere, kofon prosopon, dice il drammaturgo greco,
personaggi muti, come non esistessero,
ma ci vogliono anche loro, fanno numero.
Le ragioni
dell’ostilità
La classe è definita problematica. Leggi: formata da
personalità l’una differente dall’altra.
Che caso strano, che caso anomalo: Quintiliano, nel I secolo d. C., scriveva a
proposito del fatto che gli alunni, in quanto ovviamente l’uno diverso dall’altro, dovessero essere trattati in
quanto tali, aiutati a sviluppare ciascuno le proprie diverse potenzialità e qualità. Bando all’uniformità, scriveva
l’illuminato antenato, attenzione a non appiattire le coscienze, dato che
questa operazione è sempre foriera di risultati devastanti (VINCE TRUMP, grida
una voce fuori scena, VOTIAMO SALVINI, dice un’altra voce fuori scena; LA BUONA
SCUOLA TRIONFA...no, non è una voce fuori scena, ma decisamente un’interferenza
nociva). Quintiliano era un illuminato pedagogo, insegnano i manuali. Non scolarizzati, tuonano alcuni colleghi.
Colpa di qualcuno, sicuramente. E gli sguardi accigliati trovano un capro
espiatorio. Ma questo non importa, ora.
Passiamo al contesto ignobile. Un’aula
sudata (già accaduto di scriverlo) in
cui la messinscena prevede il ferro di cavallo: gli insegnanti, membri interni e membri esterni collocati in questa posizione propiziatoria, che
permette di rivolgere domande a una seggiolina che si muove. Ed ecco il
candidato. Bocca prosciugata, abbigliamento studiato per l’occasione, unico soggetto serio e degno di considerazione nel contesto farsesco (oh sì, il narratore parteggia per lui e per
lei, il candidato candidata, candido nell’anima, non ancora stuprato dalla
farsa iniziatica, albus, Leuconoe, quanta sapienza ancestrale... basta, queste
voci fuori scena sono davvero importune). Il candidato (semplifico: tutto al maschile, va bene così, paritario quant’altro mai,
non potrai costringermi al ridicolo asterisco) si è impegnato
particolarmente in quella che gli è sembrata, da cinque anni a questa parte, la
prima libera scelta operata dal suo pensiero pensante. O che ridere: pensiero
pensante. Pleonasmo? No, non con i tempi che corrono nella scuola. Il pensiero
non vi regna sovrano e, quando c’è, non pensa, ma ripete. Blablabla privati del senso profondo, che
piacciono però tanto a chi si appaga dell’ecolalia (ma sentite cosa sta dicendo, professori? Che siete appagati dall’ecolalia:
suvvia, difendetevi dall’accusa infamante, scrivete versi ipponattei, imitate
Alcmane...non vi lasciate infamare così).
Riprendiamo: il candidato inizia
con l’esposizione del suo argomento.
La tesina. Ha messo dell’impegno nel prepararla, ha profuso tempo e energie.
Ora spera solo di essere ascoltato e capito.
Niente da fare. Nell’aula sudata
l’attenzione non dura a lungo. L’argomento proposto non è trito e ritrito, come
può accadere, ma è davvero una prova di ragionamento personale. Che presunzione, il candido candidato: ha provato a
pensare a qualcosa senza essere ecolalico. I membri esterni si affannano a
sfogliare pagine del libro di testo alla ricerca di domande attinenti. Il candidato si è occupato di ars combinatoria applicata in
particolare alla letteratura, e fa riferimento, con cognizione di causa, all’Oulipo,
a Calvino e a Queneau.
Ecco, nell’ordine, le domande attinenti scovate dai professionisti dell’insegnamento:
Ecco, nell’ordine, le domande attinenti scovate dai professionisti dell’insegnamento:
1) Italiano:
parole in libertà.
2) Latino:
il suicidio.
3) Arte:
il puntinismo
4) Storia:
il nazismo
5) Filosofia:
Kierkegaard
Alla prima domanda così
sapientemente formulata, il membro esterno di italiano, non abilitato all’insegnamento
del latino, pronto a dimostrare che il/lo/la/i/gli/le collega di italiano e
latino non ha insegnato niente ai (restati candidi) candidati, ne fa seguire
una seconda:
“Parliamo di D’Annunzio.”
(sollievo del candidato: autore noto, spiegato dall’insegnante incompetente con
un taglio chiaramente esplicitato nel programma: non compare l’indicazione “vita”,
ma piuttosto le parole chiave estetismo, panismo, superomismo; l’insegnante incompetente di cui
sopra ha presentato l’autore attraverso alcuni testi, che sono stati resi
oggetto di analisi). “Qual è il rapporto del poeta con le masse?” Il candidato,
un nove di italiano (del quale quindi occorre dimostrare l’assoluta
inconsistenza, questa l’ottica del membro esterno), memore delle indicazioni
ricevute dall’incompetente che si è occupata della sua formazione per cinque
anni, inizia a parlare. Niente appaga l’esaminatrice, che attende solo una
specifica espressione: grigio diluvio
democratico, a suo dire sintesi pregnante e insostituibile dell’insofferenza
dannunziana per le masse. Non le importa d’altro, e il suo giudizio sul nove d’italiano
è implacabile. Voto inaudito, lei sì avrebbe saputo come insegnare l’italiano,
lei sì avrebbe ficcato in quelle testoline candide il segno della verità, lei
sì che, leisiche, oh sì...
POSTILLA FINALE
Può finire anche così. Di sicuro è finita così. La cultura greca ha
creato, tra le altre cose, il genere dell’invettiva. I versi ipponattei, per
esempio, sono violente espressioni di disgusto nei riguardi di nemici
personali. Si tratta di un’arte nobile e catartica, che penso si possa
praticare con grande soddisfazione e senza recare soverchi danni. Qualcuno, a
partire dal soggetto medesimo che scrive, può trovare elementi di
rispecchiamento. Qualcun altro può risentirsi. Altri ancora possono patire l’esagerazione.
In ogni caso, l’ispiratrice è la realtà che, non dimentichiamolo, è sempre in
gara con l’immaginazione in un confronto che resta impari.
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