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giovedì 2 novembre 2017

LE VENTI GIORNATE DI TORINO

Il romanzo di Giorgio De Maria, appena riedito da Frassinelli dopo quarant'anni di oblìo, è uno straordinario caso di vero horror italiano. Il genere non è tanto praticato, dalle nostre parti, e soprattutto in quel di Torino (la Sabaudia, come categoria dello spirito, sembra non addirsi alle atmosfere lovecraftiane), al punto che sorprende piacevolmente scoprire questo gioiello riemerso dalle nebbie del tempo grazie a un'impresa congiunta partita d'oltreoceano (il gruppo statunitense Norton  che ha pubblicato nel 2017 Le venti giornate). Come si sottolinea da più parti, ivi compresa la Postfazione a cura di Giovanni Arduino, uno degli aspetti più interessanti della trama è rappresentato dalla straordinaria anticipazione dell'orrore  che sobbolle nel mondo dei social. Nella Torino evocata da De Maria, per una ventina di giorni, oggetto di indagine da parte del narratore e protagonista, accadono fatti del tutto fuori dall'ordinario: la popolazione è indotta, da un ridotto numero di giovanotti di bell'aspetto e dal fare accattivante, a liberarsi di tutte le proprie fantasie, desideri segreti e quant'altro si nasconde nei recessi dell'animo di chiunque, scrivendo diari che vengono poi raccolti e catalogati in una Biblioteca sita nella Piccola Casa della Divina Provvidenza, meglio nota come Cottolengo. In questo stesso luogo la cittadinanza inizia ad affollarsi per leggere avidamente le confessioni di chiunque altro, nutrendo la certezza di essere a propria volta oggetto di morbosa lettura. Si innesca insomma un processo senza fine di accanito  voyeruismo, gravido di svariate conseguenze, che l'Autore abilmente intreccia con altri sconvolgenti fenomeni collaterali. 

"Tutto poteva avere accesso alla Bibliotea: prodotti gracili o innaturalmente rigonfi [...] Capolavori capitati per caso [...] manoscritti le cui prime cento pagine non rivelavano alcuna anomalia, e poi a poco a poco franavano verso abissi di follia senza fondo [...]. Altri invece concepiti con puro spirito di cattiveria [...] La casistica era infinita; aveva la varietà e nello stesso tempo la miseria delle cose che non riescono a trovare un'armonia col Creato, ma che pure esistono e deve pur esserci qualcuno che le osservi, se non altro per riconoscere che è stato un suo simile ad averle concepite [...]. Il frequentatore tipico della Biblioteca era un individuo timido, desideroso di approfondire al massimo la propria solitudine e di farla pesare al massimo sugli altri.  

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