Vorrei tanto che una persona mi capisse, e che questa persona fosse lei. Non c'è una ragione precisa per questa elezione, per questa volontà, per questo desiderio poiché, come può accadere con elezioni, volontà e desideri, a nutrirli è un coacervo di sentimenti difficilmente districabili, non di rado opposti come l'odio e l'amore, anche se in declinazioni più blande.
Perché certo non si può parlare, per un rapporto come il nostro, di sentimenti così forti, eppure è anche possibile che in qualche momento lei (o io) abbiamo avuto la percezione di un'affinità profonda, magari passeggera, ma comunque profonda.
Allora questa confessione, paragonabile a quella di un detenuto in attesa di sentenza che abbia in cuore una clamorosa evasione, io vorrei proprio depositarla nel suo animo. La scrivo, la chiudo in una bottiglia e la lancio in mare. Chissà che su una sponda più o meno lontana, non sia proprio lei a passare distrattamente una mattina di primavera (la stagione che non preferisco, ma che riesce a infiltrarmi in ogni anfratto del corpo un sentore di felicità), vederla e leggerne il contenuto difficoltosamente compitato da uno spirito molto afflitto.
Sì, il mio spirito è afflitto. Oscurato, persino disperato. Me ne accorgo, per via di contrasto, quando mi capita per una frazione di secondo di sentirmi bene. E' una tale esplosione di luce, una tale frastornante sensazione, un tale carezzevole stato d'animo che immediatamente scaturisce in me il sentimento del suo contrario. Così, senza soluzione di continuità ritorno all'oscuro malessere, alla sconfinata disperazione, che riesco persino a figurarmi fisicamente. Si tratta di un pertugio maleodorante, appiccicoso e umido, che ingenera ogni tanto (è la sua massima perversione) un senso di "nido", di "casa", che attrae e respinge al tempo stesso. Voler rimanere lì e volerne uscire sono impulsi compresenti e reciprocamente nullificanti, come un moto ondoso non particolarmente intenso ma costante, ipnotico, che costringe lo sguardo a rimanere fisso su un punto, inchioda il corpo in un'attesa infinita, paralizza, alla fine, e annulla qualsiasi altra voglia.
No, non verrò mai a cercarla, se questa è la sua preoccupazione. Oppure no, magari lei vorrebbe essere cercata, vorrebbe che io, ancora una volta, confidassi in lei che un giorno mi ha guardato come se volesse affidarmi chissà che missione importante. Ma io non la cercherò. Solo, dato che desidero essere compreso proprio da lei, scrivo questo messaggio in bottiglia e attendo che il destino faccia il resto.
Gli esseri umani mi disgustano. Il problema di questa affermazione, di più, di questo sentimento radicato e inconcludente (è una nausea che sento solo io e non produce visibili conati), è che si ritorce subito contro di me. Al genere appartengo, e non posso cambiarlo come si può cambiare sesso. Un cambiamento implicherebbe una decisione suicida, alla quale non voglio risolvermi, almeno per ora.
Ora, mia cara (mi permetta questa familiarità, in fondo probabilmente il mio disgusto ha un'unica eccezione, lei appunto) vorrei portarla per mano a conoscere in profondità la natura di questo mio sentimento. Non è un'esperienza piacevole, l'avverto, ma intanto non può sottrarsi e poi, probabilmente, non ne sarà nemmeno toccata, vista la sua natura luminosa e serena (almeno in superficie e per quello che mi è stato dato conoscerla).
Sì, il mio spirito è afflitto. Oscurato, persino disperato. Me ne accorgo, per via di contrasto, quando mi capita per una frazione di secondo di sentirmi bene. E' una tale esplosione di luce, una tale frastornante sensazione, un tale carezzevole stato d'animo che immediatamente scaturisce in me il sentimento del suo contrario. Così, senza soluzione di continuità ritorno all'oscuro malessere, alla sconfinata disperazione, che riesco persino a figurarmi fisicamente. Si tratta di un pertugio maleodorante, appiccicoso e umido, che ingenera ogni tanto (è la sua massima perversione) un senso di "nido", di "casa", che attrae e respinge al tempo stesso. Voler rimanere lì e volerne uscire sono impulsi compresenti e reciprocamente nullificanti, come un moto ondoso non particolarmente intenso ma costante, ipnotico, che costringe lo sguardo a rimanere fisso su un punto, inchioda il corpo in un'attesa infinita, paralizza, alla fine, e annulla qualsiasi altra voglia.
No, non verrò mai a cercarla, se questa è la sua preoccupazione. Oppure no, magari lei vorrebbe essere cercata, vorrebbe che io, ancora una volta, confidassi in lei che un giorno mi ha guardato come se volesse affidarmi chissà che missione importante. Ma io non la cercherò. Solo, dato che desidero essere compreso proprio da lei, scrivo questo messaggio in bottiglia e attendo che il destino faccia il resto.
Gli esseri umani mi disgustano. Il problema di questa affermazione, di più, di questo sentimento radicato e inconcludente (è una nausea che sento solo io e non produce visibili conati), è che si ritorce subito contro di me. Al genere appartengo, e non posso cambiarlo come si può cambiare sesso. Un cambiamento implicherebbe una decisione suicida, alla quale non voglio risolvermi, almeno per ora.
Ora, mia cara (mi permetta questa familiarità, in fondo probabilmente il mio disgusto ha un'unica eccezione, lei appunto) vorrei portarla per mano a conoscere in profondità la natura di questo mio sentimento. Non è un'esperienza piacevole, l'avverto, ma intanto non può sottrarsi e poi, probabilmente, non ne sarà nemmeno toccata, vista la sua natura luminosa e serena (almeno in superficie e per quello che mi è stato dato conoscerla).
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