Molto vicino al cuore. Là dove nascono i sentimenti, certo, lo dicono tutti. Ma per me non è così. Vicino, dentro al mio cuore ci sono il gelo, la paura, la repulsione, la rabbia. Quello che nessuno ha mai capito di me (no, neanche lei, neanche Lei) è che in quel posto silenzioso e silenziato che è il mio cuore io non so che cosa sia nato e cresciuto da quando la terra ha iniziato a essere il mio spazio vitale (o mortale, non so). Dio, dio che non so dove ti sia nascosto, come Giobbe pensa quando bestemmia contro di lui (o forse lo onora, lo prega, lo ama come non mai), che caos c'è dentro di me se non so nemmeno capire quando sto parlando di lei come di una nemica o come dell'unica persona al mondo che sia riuscita ad ascoltarmi una volta.
Una sola, in verità, e non posso dimenticarla. Soprattutto ora che so che di lei non esistono sulla terra che invisibili particelle disperse nel vento - no, non sono venuto al suo funerale, ma so che ha deciso di essere cremata -, ecco gli scherzi del cervello, anche quello di uno che ci gioca a palla tutti i giorni in tutti i modi possibili: memoria perfetta, nessun particolare perduto negli abissi che il tempo scava.
Il mese era aprile. Lo so con certezza. Un aprile stentato, d'una primavera tardiva, con alberi in fiore, aria gelida, fiumi in piena, montagne innevate. Un incontro per caso, quel caso burlone che prende iniziative al nostro posto, tesse tele, aggira e raggira, si diverte con il nostro destino (che c'entra il caso col destino, vecchio bastardo anche troppo e indebitamente onorato), ci tratta da idioti quali siamo, ci bistratta consenzienti, piccoli depravati, masochisti malinconici. Di colpo è stato come se non ci fossimo mai perduti di vista. Come in una canzone stantìa, come in un biglietto d'amore d'altri tempi. Mi è sembrato naturale raccontarle tutto di me. Della mia vita come avrei voluto fosse e com'era diventata mio malgrado. Di quello che non avevo provato a fare anche se i suoi occhi, ripetutamente, me l'avevano suggerito. Di quello che avevo fatto con la sua comprensione, per la sua comprensione e senza il suo consenso. Mi è parso, parlandole, di parlare finalmente anche a me. Mi è parso, parlandole, che una volta tanto il mio cuore provasse qualcosa di vero. Mi amavo d'amore vero, mentre le parlavo. L'amavo di amore vero mentre mi pensavo. L'amavo parlandole, e parlando mi ascoltavo.
Il mese era aprile. Lo so con certezza. Un aprile stentato, d'una primavera tardiva, con alberi in fiore, aria gelida, fiumi in piena, montagne innevate. Un incontro per caso, quel caso burlone che prende iniziative al nostro posto, tesse tele, aggira e raggira, si diverte con il nostro destino (che c'entra il caso col destino, vecchio bastardo anche troppo e indebitamente onorato), ci tratta da idioti quali siamo, ci bistratta consenzienti, piccoli depravati, masochisti malinconici. Di colpo è stato come se non ci fossimo mai perduti di vista. Come in una canzone stantìa, come in un biglietto d'amore d'altri tempi. Mi è sembrato naturale raccontarle tutto di me. Della mia vita come avrei voluto fosse e com'era diventata mio malgrado. Di quello che non avevo provato a fare anche se i suoi occhi, ripetutamente, me l'avevano suggerito. Di quello che avevo fatto con la sua comprensione, per la sua comprensione e senza il suo consenso. Mi è parso, parlandole, di parlare finalmente anche a me. Mi è parso, parlandole, che una volta tanto il mio cuore provasse qualcosa di vero. Mi amavo d'amore vero, mentre le parlavo. L'amavo di amore vero mentre mi pensavo. L'amavo parlandole, e parlando mi ascoltavo.
Nessun commento:
Posta un commento