Tutto è iniziato quando...ecco, già mi sento male. Eppure non dovrei più provare imbarazzi per come parlo e come scrivo. Alla fin fine non sono nemmeno sicuro che l'unica persona al mondo che vorrei mi ascoltasse lo farà davvero (esiste la reincarnazione? i morti tornano?). Invece mi ritrovo a bloccarmi a ogni punto, anzi, anche prima del punto. Ci vuole un coraggio. Ci vuole una fiducia. Tutte qualità che non mi appartengono. Sono un uomo solo, impotente, sfiduciato, amareggiato. Annoiato, soprattutto, di sé e degli altri, ma prima di tutto di sé.
Ma ora basta, provo a procedere almeno un po' con la mia storia. Come suona già significativa, la mia storia. Una storia che è mia e di nessun altro. Una storia vera, forse, anche se non sono troppo sicuro di ricordarla bene, così com'è stata.
Avevo appena terminato un ciclo di studi al quale non so che nome dare. Un insieme eterogeneo di discipline, la maggior parte delle quali poco interessanti per me. Un ambiente provinciale e asfittico, adulti noiosi, coetanei afflitti e senza spirito d'iniziativa. Covavo da anni il desiderio di uscire da quello che mi era sempre parso un buco nero, che avevo semplicemente avuto in sorte, come per un certo numero di faccende della vita (nascere, incontrarsi, morire).
Ecco, il buco nero. Un argomento interessante di cui parlare con lei. Che nel buco è pure stata, insieme a me, per un certo tempo, ma ha sempre negato che questa definizione potesse essere adatta a definire la condizione in cui entrambi ci trovavamo. Allora procedo con ordine e con stile, come a lei sarebbe piaciuto, come a lei piacerebbe. Descrivo il buco nero, così come mi è sembrato, così come l'ho vissuto e interiorizzato, anzi introiettato. Parola sublime, particolarmente adatta al buco nero. E non c'è bisogno di spiegare perché.
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