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Alfieri
è uno di quegli scrittori della cui vita vale la pena interessarsi come
dell’opera per almeno due ragioni (storia, critica).
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Alfieri
vive in pieno illuminismo, eppure anticipa atteggiamenti e sensibilità che
saranno proprie del periodo successivo, il romanticismo.
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Nato ad
Asti nel 1749, da una nobile famiglia savoiarda, venne “ingabbiato” all’età di
nove anni nella Regia Accademia di Torino (sua autobiografia, La vita scritta da esso). Quanto all’origine nobile, ebbe a dire che l’esser nato nobile
gli era servito per poter poi “senza taccia d’invidioso e di vile, dispregiare
la nobiltà per se sola”; nel 1778, peraltro, rinunciò ai beni di famiglia con
una donazione a favore della sorella Giulia.
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Spirito
cosmopolita, amante dei viaggi come delle letture, ebbe modo di contrapporre
all’ambiente assolutistico e retrivo sperimentato in Sabaudia l’esperienza viva
e diretta, ad esempio, della libera vita inglese.
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Ansia
di conoscenza, desiderio di provare emozioni forti, di sperimentare avventure
passionali, di verificare concretamente quello che fin dagli anni dell’odiosa
accademia si precisò come il suo odio antitirannico, che assunse poi la forma
di una precisa teorizzazione (passione per la libertà).
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Politica,
poetica e poesia appaiono sorrette da un nucleo profondo in cui la lotta per la
libertà politica, e quella per l’affermazione di uno scrittore libero e
autentico trovano comune radice.
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Alfieri
ha dunque proposto una nozione di letterato libero, uomo del dissenso e della
contestazione, uomo per così dire “intero”, senza possibile distinzione fra
opera e creatore.
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La produzione
tragica ben rientra in questa concezione: il poeta rappresenta quella che ben
si denomina la “crisi tragica”, ovvero la rappresentazione del limite contro
cui, religiosamente, lotta l’eroe alfieriano, che non è solo quello della
tirannide del potere politico (per quanto diverse tragedie abbiano proprio
questa ispirazione) ma è lo stesso ordine delle cose, la natura e la divinità,
anch’esse a ben vedere più tiranniche che paterne o provvidenziali. La tragedia
alfieriana è dunque principalmente urto fra ideale e reale, fra volontà
rinnovatrice e limite di un ordine politico, culturale, esistenziale.
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