Ovidio,
Le metamorfosi
- Le
forme mutano in corpi nuovi, inizia
col dirci Ovidio al primo verso delle sue Metamorfosi, facendo subito capire un suo intendimento: quello
di svolgere poeticamente un principio originario, nonché renderlo
animatore della sua poesia.
- Dal
Caos iniziale il cielo si separò dalla terra e questa dall’acqua; l’architetto del mondo, un dio non
meglio identificato (“quisquis fuit
ille deorum”, v. I, 32), fece in modo che dalla promiscuità degli
elementi sortisse un ordine determinato, un’armonia forse non prestabilita
ma destinata a durare.
- L’uomo,
di seme divino, è l’essere eletto, a immagine degli dei (“in effigiem deorum”, v. I, 83):
sembra avere un ruolo centrale nell’economia dell’universo ma, nel
complesso delle metamorfosi, appare più spesso la vittima di un’egemonia indiscutibile del divino sull’umano.
- Anche
la successione delle età è trionfo
di metamorfosi degli elementi (dall’oro, all’argento, al bronzo e al
ferro); poi si giunge infine a uno stato di guerra permanente di tutti contro tutti
(“non hospes ab hospite tutus , /non
socer a genero, fratre, quoque gratia rara est. /Imminet exitio vir
coniugis, illa mariti; /lurida terribiles miscent aconita novercae;
/filius ante diem patrios inquirit in annos”: la Terra è insanguinata
dai delitti degli uomini e l’Ultima degli dei, la vergine Astrea, la
lascia al suo destino): di qui il fatto che l’uomo, si meriti un castigo (Giove ne ha la prova col nefando Licaone) ossia il diluvio.
- Una
volta ridata vita all’umano genere (attraverso Deucalione e Pirra, unici
sopravvissuti, chiamati a ripopolare la Terra), inizia un turbinoso
avvicendamento di storie, che s’avviluppano una sull’altra quasi a mimare
uno splendido intrico vegetale.
- Dafne,
splendida ninfa figlia di Peneo (divinità fluviale), concupita invano
(quanto alla volontà di cedergli) dal sublime Febo (Apollo – sole). Subisce
la prima metamorfosi, da “umano” a
vegetale: si muta in albero, ma nemmeno così riesce a sfuggire al dio, che
la ama comunque, l’abbraccia, la bacia, e la rende “sua pianta”.
- All’incirca
la stessa logica persecutoria, ma una diversa funzione della metamorfosi,
domina nella successiva vicenda di Io, figlia di Inaco, un’altra ninfa
generata da divinità fluviale.
- La
metamorfosi di Io è particolarmente
significativa per documentare il tipo di sofferenza che l’evento comporta:
dell’anima, in quanto il soggetto trasformato mantiene la coscienza umana
e patisce la prigionia di un corpo.
- Il
tipo della metamorfosi “consolatoria”
è concessa alle sorelle del figlio del Sole (e della ninfa Clìmene) incenerito
dal fulmine di Zeus: esse, le Eliadi, vengono trasformate in piante, da
cui stilla (surrogato di lacrime) un’ambra utilizzata come ornamento dalle
donne; anche l’amico di Fetonte, Cicno, riceve una simile “grazia”, venendo trasformato nel
volatile evocato dal suo nome.
- Dopo
la drammatica fine di Fetonte (la cui condanna, per l’hybris di cui si è
macchiato, è un irreversibile incenerimento da parte di Giove), il Sole
cade preda di una specie di depressione: constata la ripetitività della
sua esistenza fino a quel momento, l’assenza di riconoscimenti per il suo
impegno (“Satis ab aevi sors mea
principiis fuit irrequieta, pigetque actorum sine fine mihi, sine
honore laborum”, II, 385-387) e
minaccia di non ritornare più a illuminare la terra
- Quella
di Mirra (X libro) è una metamorfosi di tipo particolare (Mirra sta
sfuggendo al padre, che la insegue per ucciderla dopo aver scoperto di
quale orrore si sia ripetutamente macchiato unendosi con quella che
credeva una vergine sconosciuta): la fanciulla sta per partorire e chiede
agli dei, per il misfatto commesso, di essere trasformata in qualcosa che
la escluda sia dai viventi sia dai trapassati, perché non profani nessuno
dei due regni: insomma non vuol vivere né morire ma, appunto, essere
trasformata. Gli dei l’ascoltano e lei diviene un albero, ma continua a
piangere e quelle lacrime sono la mirra, che appunto da lei prende il nome
(poi l’albero partorisce anche, e si tratta di Adone, del quale, per un
errore di Cupido, si innamora Venere. Il giovane, inutilmente messo in
guardia da lei, va a caccia di cinghiali e da uno di loro viene ucciso;
poco prima che muoia, Venere disperata fa in modo che dal suo sangue nasca
un fiore, dello stesso colore, il rosso anemone). La metamorfosi di Mirra
è pertanto di genere misto, dal momento che rappresenta una consolazione
per la protagonista (che l’ha chiesta) ma pure è un’autopunizione, giacché
Mirra domanda di essere trasformata per smettere di appartenere al
consesso umano, del quale non si sente più degna né da viva né da morta.
- Aracne,
che osa sfidare Pallade Atena, e in più mette alla berlina proprio i
misfatti delle divinità (gli inganni perpetrati a danno degli uomini, da
quello di Europa ingannata dal miraggio d’un toro a quello di Leda
posseduta da un cigno, a quella di Alcmena ingannata sempre da Giove nelle
vesti del marito Anfitrione in una sequenza vertiginosa che coinvolge a
volte anche le sole divinità, sorta di vortice meta letterario, in cui le
metamorfosi citano sé stesse), viene certo punita quando la si trasforma
in orrido ragno, eppure riceve anche un dono, ove si consideri che la
tessitura diverrà la sua eterna attività, magistralmente compiuta.
- Qual
è un senso complessivo? Forse risisiede, tornando all’inizio, nella
poesia, nel calco del verso. Dopo 15 libri il poeta compie l’opera con
l’apoteosi di Giulio Cesare e un omaggio alla Romanità. Però non dimentica se stesso e quale ultima
parola del poema scrive VIVAM. La poesia, quindi, garantisce l’eternità
dell’ultima metamorfosi: quando la parola si fa vita, quando diventa a sua volta creatrice di
immagini che, per quanto tali, sono vere nella memoria e per le emozioni
che suscitano, allora appunto si è realizzato quanto lo spirito poetico si
augurava, quello che chiedeva come coronamento della propria esistenza.
Vivrò, esclama vittorioso, nei secoli dei secoli, e il corpo nuovo in cui
mi sono mutato sono le mie Metamorfosi.
Nessun commento:
Posta un commento