Il
senso del confronto con traduzioni e del “giudizio” espresso su di esse: attiva
il senso critico e le capacità riflessive, produce una crescita autenticamente
culturale, così come accade quando, per cercare di avere una panoramica
soddisfacente su un fatto si procede a una comparazione fra i vari trattamenti
da parte delle fonti di informazione. Scriveva a questo proposito Umberto Eco nel
1976 un articolo intitolato Sentire due
campane, che fa al caso nostro e perciò ne cito un passaggio: “Perché un
paese sia veramente civile, non basta che tutti leggano il giornale: occorre
che tutti leggano almeno due giornali. I messaggi devono essere sottoposti a una sorta di interrogatorio incrociato.
Ovvero a un controllo intertestuale. Ed è una cosa a cui occorre abituare i
ragazzi fina dalla scuola…Bisogna abituarsi fin da piccoli a confondersi le
idee, pe avere le idee chiare.”
SI
TRATTA DI SERVIRSI DELLE TRADUZIONI PER GIUNGERE ALLA PROPRIA, SENZA FARSI
CONDIZIONARE, MA PREDISPONENDOSI APPUNTO A EDUCARSI ALL’INTERTESTUALITÀ E AL
CONFRONTO. PER ESSERE “VALUTATE” LE TRADUZIONI DEVONO ESSERE LETTE CONFERENDO
LORO ESPRESSIVITÀ.
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La
differenza più significativa fra le tre traduzioni proposte riguarda il modo
in cui si pongano rispettivamente nei confronti d’un testo, la satira I, 1 di
Orazio, poetico, metricamente organizzato in esametri. Il
traduttore ottocentesco ha in maniera evidente, con una ricerca ritmica e con
la creazione di versi, per quanto non rimati, tentato di tradurre poesia in
poesia. Non ha ritenuto ostacolante, a questo proposito il divario basilare tra
metrica latina e metrica italiana, risalente all’essere la prima di tipo
quantitativo, la seconda accentuativo. Analogamente evidente che il terzo
traduttore è animato, nella sua traduzione, dall’intento di emulare (nella
classica concezione del termine) l’autore in modo da risultare “più sintetico”.
DA AGGIORNARE
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