Il prigioniero
Sono vecchio e solo, rinchiuso nel
grigiore della vecchiaia, nell'asfissia
e nell'inerzia, e guardo la vita attraverso la finestra, da lontano.
Ho vissuto una giovinezza troppo
breve, che troppo presto è sfuggita alla mia presa, portata via, come un aquilone da venti improvvisi e
ingovernabili.
Ora mi trovo qui, imprigionato tra
queste sbarre. La solitudine che mi hanno imposto ormai è diventata parte di
me, il mio stile di vita. Piano piano ho allontanato da me tutte le altre cose,
ho perso la capacità di provare emozioni positive, ho perso la capacità di
conviverci. Mi rimangono l'odio, la rabbia e soprattutto l'invidia. Invidio i
bambini, quello stato di grazia gratuita, quegli eterni sorrisi sui visi tondi,
quell'orribile suono di risate. Invidio chi vive e ama incondizionatamente,
invidio chi sa ridere e piangere, invidio chi sa tramutare uno sbadiglio in un
sorriso, invidio le persone a cui brillano gli occhi, a cui batte forte il
cuore, chi rischia tutto per inseguire un sogno. I sogni...Nella mia
insoddisfazione cieca, i sogni non sono altro che strappi alla realtà sorretti da fantasie
senza fondamenta, illusioni che portano nel buio più totale, nell'amarezza più
assoluta.
Evito i contatti con gli altri,
non m'interesso di ciò che accade
attorno a me e non rispondo quando mi pongono una domanda. Non voglio aiutare
nessuno, e non voglio dimostrare niente.
Tutte le giornate sono uguali,
scandite dalla sensazione di oppressione di chi è stato privato della libertà.
Talvolta il bruciante senso di ingiustizia arde dentro me come un fuoco che
tutto brucia, talvolta mi abbandono semplicemente alla mia frustrazione.
Non c'è più nulla che mi aggrada,
a pensarci bene; non una carezza, non una compagnia. Ognuno si perde nella
propria confusione mentale, e corre di qua e di là, e io rimango qui, a languire
nella delusione della mia esistenza.
Sono manchevole di qualcosa di
sconosciuto, o dimenticato. La mia anima
è avvizzita, i miei occhi ciechi, incapaci di godere di qualsiasi bellezza. E
il cuore è sordo.
Dov'è la felicità, dov'è la
libertà, dov'è il paradiso? Forse ci hanno preso in giro, tutti quanti, e la
vita non è altro che una gabbia, un vicolo cieco. Non trovo la forza di
rispondere alle mie domande.
Sono un vigliacco che non riesce
neanche a trovare il coraggio di afferrare la vita e trarla in salvo. Sono così
atrocemente codardo che non riesco a porre fine a tutto. Molte volte ci ho
pensato; basterebbe aprire la porta e fuggire, lasciarmi cadere nel vuoto... ma
la verità è che ho paura. Ho paura di venire calpestato, ho paura di qualcosa
che non conosco, che non ho mai conosciuto, e che non sono ancora pronto ad
accettare.
Ho perduto tutto, o forse non ho
mai avuto la forza di possedere realmente qualcosa, e sono andato avanti
nascondendomi in un angolo, senza farmi sentire, senza lottare per la vita.
Ora sono vecchio, la vicinanza
alla fine mi ha fatto rinnegare qualsiasi splendore, mi ha svuotato di
qualsiasi fuoco o anima che si voglia dire. La consapevolezza di non aver
goduto appieno della mia vita mi uccide lentamente. Mi sono spento, smarrito
nel pessimismo e nella solitudine, senza nulla per cui essere. Ora mi rimangono
solo il rimpianto per la giovinezza e la felicità perdute, e l'attesa snervante
della morte.
Vado avanti
con la mia piatta routine, guardando ogni giorno passare davanti alla mia
gabbia quelle creature spropositatamente grandi, che mi hanno imprigionato per
il solo scopo di ammirare il mio bel manto di piume colorate.
Carola Valente
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