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TRADUZIONI DI LATINO: FEDRO, POSTILLA SULLA CONTRASTIVA, TACITO, SENECA, AGOSTINO (in fieri)

FEDRO Lupus et Agnus Ad rivum 1  eundem 2  lupus et agnus venerant 3 , siti compulsi 4 . Superior 5  stabat 6  lupus, longeque 7  infe...

venerdì 31 gennaio 2014

Correzione del compito in classe di letteratura latina

1) La scelta in direzione bilinguistica operata dalla cultura romana e la diffusa pratica della “traduzione artistica” sono espressione di libertà di pensiero e di autonomia critica. Scrivi una quindicina di righe su questo argomento. (3 punti) A differenza dei Greci, che nutrivano un senso di superiorità nei confronti degli altri popoli la cui espressione più significativa è il ricorso al termine “barbari” per contrassegnarli, i Romani non solo studiarono e appresero il greco, ma tradussero nella propria lingua un numero elevato di opere artistiche e filosofiche prodotte dal popolo “conquistato”. Assimilarono, quindi, in primo luogo, le conquiste del pensiero, i prodotti estetici della civiltà greca, ma avviarono anche precocemente un processo di emulazione che, a livello di traduzione, si esprime sotto specie di realizzazione di opere in una certa misura (variabile a seconda dei casi) autonome rispetto all’originale. Si va dal caso di traduzioni assolutamente fedeli (il carme 66 di Catullo che rappresenta una traduzione letterale della Chioma di Berenice di Callimaco) a vere variazioni su tema, come risultano essere ad esempio anche molte commedie di Plauto, sorta di adattamenti, rielaborazioni o riscritture di uno o più modelli di autori greci. L’autonomia critica e la libertà di pensiero si esprimono quindi prioritariamente già nella traduzione, che dev’essere “libera” in quanto è indispensabile consenta a chi trasferisce un pensiero da un sistema linguistico a un altro di riprodurre il significato con la massima efficacia comunicativa possibile. 2) Dopo aver spiegato di che cosa sia espressione il teatro comico di Aristofane, introduci il tema della ribellione come motivo dominante delle sue commedie, riferendolo poi in particolare alle Nuvole, di cui devi fornire un’idea (intreccio) e un’interpretazione complessiva. (quindicina di righe, 3 ½) Il teatro aristofanesco è espressione di un immaginario collettivo che affonda le sue radici nei rituali delle feste agricole, ma, in ragione della sua collocazione storico-geografica (Atene a cavallo tra V e IV secolo a.C.) , è anche uno specchio, comicamente deformato, della società del tempo. Al centro dell’interesse di Aristofane è il tema della ribellione. In molte sue commedie si può riconoscere una sorta di schematismo, all’interno del quale un uomo, scaltro, spregiudicato, moralmente ambiguo, si ribella allo stato di degradazione in cui versa la vita cittadina e escogita un piano fantastico di rinnovamento della polis, servendosi di un passaggio (in un mondo utopico, nell’Olimpo, nell’Ade). Nel caso delle Nuvole, commedia presentata alle Grandi Dionisie del 423, però, ci troviamo di fronte a una variazione su questo tema: il protagonista è il vecchio contadino Strepsiade, assediato dai debiti per colpa della passione ippica del figlio Fidippide e interessato a che costui apprenda da Socrate e dai sofisti la tecnica per sostenere tesi ingiuste. Dopo un vano tentativo di apprendimento da parte del vecchio, finalmente Fidippide apprende la tecnica, ma se ne avvale, oltre che per liberarsi dai creditori, anche per giustificarsi di aver picchiato il padre. Strepsiade, furioso, da fuoco alla casa di Socrate e a tutti i sofisti. In questa commedia il tema della ribellione si declina in maniera particolarmente originale: Aristofane identifica in Socrate il rappresentante della modernità, della quale la democrazia ateniese diffida (il vero Socrate, in effetti, sarà condannato solo qualche decennio più tardi), ma nello stesso tempo rende l’eroe che fa del filosofo una sorta di capro espiatorio un personaggio particolarmente gretto e meschino. 3) Contestualizza brevemente e commenta la scena dell’incontro, nel I atto, fra Sosia e Mecurio//Sosia, con particolare riguardo ai termini imago, simulacrum, ai verbi immutatus sum, oblitus fui e alla battuta finale che crea un’atmosfera opposta a quella con cui si conclude un romanzo moderno, ispirato al tema del doppio, come il Sosia di Dostoevskij. (15 righe, 3 ½) Anfitrione è appena ritornato dalla guerra vittoriosamente condotta contro i Teleboi e invia a palazzo, dalla spiaggia dov’è sbarcato con i suoi uomini, il servo Sosia a annunciare il suo ritorno alla moglie Alcmena. In precedenza, però, Giove si è presentato sotto le fattezze di Anfitrione per poter giacere con sua moglie e, lasciato Mercurio con le fattezze di Sosia davanti a palazzo per fare la guardia, sta lungamente intrattenendosi con lei, In questa circostanza, quindi, avviene l’incontro fra i due Sosia. Con i termini imago e simulacrum Sosia esprime l’ipotesi di trovarsi di fronte a un fantasma di se stesso, credenza appartenente alla cultura romana, e di essere quindi morto, mentre con il verbo, tecnico della magia, immutatus sum, viene introdotto il sospetto di poter essere stato vittima di una trasformazione magica, che ha reso il suo corpo in balìa di qualcuno e intento quindi a vivere un’esistenza diversa dalla sua, mentre lui medesimo si sarebbe dimenticato (oblitus fui) di se stesso rimasto da qualche parte. Si tratta di un’immaginazione vertiginosa, nella quale ci si perde, finché la scena poi si chiude su una battuta che riconduce alla dimensione comica: Sosia, che ha appena constatato di star compiendo un’esperienza da vivo che mai gli sarà concessa da morto (avere un funerale gentilizio in cui le imagines degli antenati siano indossate da attori), si augura almeno di trarne un frutto: che il suo padrone non lo riconosca e lui possa diventare, da schiavo, un liberto.

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