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FEDRO Lupus et Agnus Ad rivum 1 eundem 2 lupus et agnus venerant 3 , siti compulsi 4 . Superior 5 stabat 6 lupus, longeque 7 infe...
venerdì 9 maggio 2014
Appunti lezione: riassunto e analisi del dramma La vita è sogno di Calderon de la Barca
RIASSUNTO E ANALISI DE
LA VITA È SOGNO DI CALDERON DE LA BARCA
Siamo fatti anche noi della materia di cui son fatti i sogni; e nello spazio e nel tempo d’un sogno è racchiusa la nostra breve vita. W. Shakespeare, La tempesta, atto IV, a parlare è Prospero; il dramma è stato scritto nel 1610-1611.
Risale al 1635 l’opera più celebre del drammaturgo spagnolo Calderòn de la Barca (Madrid 1600- 1681), La vita è sogno, una commedia filosofica divenuta oggetto di numerose interpretazioni soprattutto a partire dalla fine dell’Ottocento. La giustificazione di tale interesse si può ricondurre alla fondamentale ambiguità di un’opera che, rappresentando un esempio fra i più illustri della corrente barocca, oscilla fra la semplicità delle fiabe e la complessità della costruzione simbolica. Vediamo in primo luogo di ricostruire l’ossatura della narrazione, seguendo la partizione in atti del testo.
Atto I: Rosaura, vestita da uomo, giunge insieme a Clarino a una fortezza sperduta in mezzo ai monti: dall’interno si ode un rumore di catene, che fa supporre la presenza di un prigioniero. In effetti si sente una voce che esprime tormento e Rosaura e Clarino prendono in considerazione l’idea di allontanarsi dal cupo edificio. Rosaura intravede una figura, un uomo vestito da animale, incatenato e solo. La porta della dimora si spalanca e appare Sigismondo, appunto incatenato e vestito di pelli, che si definisce infelice e sventurato e chiede la ragione della sua condizione disperata, la colpa commessa, rispondendosi da solo che nascere è di per sé un delitto. Prosegue poi il monologo dicendo che tuttavia la sua condizione è particolarmente sventurata perché è privato della libertà che pare invece concessa in partenza a tutti i viventi, animali compresi. Rosaura è colta da profonda compassione e Sigismondo si accorge della sua presenza: la afferra e si dichiara pronto a ucciderla, ma viene fermato dalle parole di lei, che chiede di essere salvata. Sigismondo desidera sapere chi sia, e Rosaura si appresta a presentarsi come persona che poco prima di vedere lui si riteneva la più sfortunata del mondo, quando giunge Clotaldo accompagnato da soldati, tutti a viso coperto. Il nuovo arrivato ordina a Clarino e Rosaura di consegnarsi, perché hanno violato un segreto del re. Sigismondo però si schiera a loro difesa, dichiarando che si ucciderà se sarà loro torto un capello. Clotaldo ricorda a Sigismondo che il suo destino è quello di stare in catene, perché il cielo lo volle morto prima della nascita, e gli domanda perché insorga. Sempre furente, Sigismondo esprime propositi bellicosi e Clotaldo ribadisce che proprio per tenerne a freno la furia, forse, lo si fa tanto soffrire. Rosaura e Clarino vengono esortati a consegnare le armi e la prima dà la spada a Clotaldo dicendo che con lei è venuta in Polonia per vendicare un’offesa. Nel prenderla Clotaldo ha un trasalimento e chiede chi gliel’abbia data. Venuto a sapere che l’ha avuta da una donna di cui Rosaura deve tacere il nome, cerca di apprendere altro e Rosaura gli dice che questa donna le ha detto che troverà in Polonia un uomo che, vista la spada, le darà assistenza e protezione. Clotaldo ha riconosciuto nella spada quella ch’egli diede a Violante, dicendole che chi l’avesse cinta avrebbe avuto in lui un difensore dall’affetto di figlio e di padre al contempo; riconosce quindi in Rosaura (travestita da uomo) il figlio avuto da Violante e cade un un angoscioso dilemma, giacché in base agli ordini del sovrano che tiene prigioniero Sigismondo, egli dovrebbe uccidere chiunque violi il segreto della prigionia medesima. Fedeltà e amore combattono nel suo petto. Intanto a corte Astolfo corteggia Stella, sua cugina, entrambi eredi del regno di Basilio, padre di Sigismondo e ormai anziano re di Polonia, prossimo a essere succeduto. Astolfo è figlio della sorella minore di Basilio e Stella di quella maggiore, sicché a lei spetta la successione, ma Astolfo è innamorato di lei. Stella gli domanda ragione di un ritratto femminile appeso al suo petto, che non si spiega dal momento che Astolfo si dichiara appunto innamorato di lei. Astolfo si appresta al racconto, quando entra il re Basilio, che tiene un lungo discorso ai diletti nipoti. Dopo aver rammentato la sua fama di dotto e conoscitore della matematica e dell’astrologia, dipinge il quadro della sua infelicità: dalla moglie Clorilene ha avuto un figlio, che già prima della nascita ha iniziato a inviare segni funesti. La madre sognava spesso che un mostro le dilaniasse le viscere e la uccidesse, e il giorno del parto fu costellato di sinistri presagi, tra cui un’eclissi di sole durante la quale nacque Sigismondo e la madre morì. Il padre, scrutando le stelle ne lesse quindi il destino, che sarebbe stato quello di divenire un crudelissimo sovrano, che avrebbe diviso il regno e riempito di vizi e delitti, fino al punto di calpestare il suo stesso padre. Fu così che Basilio decise di diffondere la notizia che l’infante fosse nato morto e di far costruire una torre fra le montagne cui vietare l’accesso a tutti e imprigionare per sempre Sigismondo, accompagnato da un solo uomo, Clotaldo, incaricato di istruirlo nelle scienze e educarlo alla fede cristiana. Basilio prosegue poi dicendo che: in primo luogo ama i suoi sudditi così da non volerli sottoporre a un tiranno; secondariamente che sottraendo un figlio al diritto di discendenza viene meno alla legge umana e divina e si trasforma egli stesso in tiranno; in terzo luogo, che forse è stato un errore prestare fede a previsioni astrologiche, dal momento che è pur possibile che un’indole umana riesca a prevalere su quando decretato dal fato per via di influssi. Espone quindi il suo progetto: l’indomani farà sedere Sigismondo, ignaro di essere suo figlio, sul trono regale, col potere di re. Se Sigismondo mostrerà di essere un buon sovrano, smentendo i vaticini, resterà loro re; se invece si mostrerà crudele verrà riportato nella prigione, ma questa volta Basilio si sarà comportato, facendolo imprigionare, non da tiranno ma da re giusto e protettivo verso i suoi sudditi. In quest’ultimo caso comunque lui, Basilio, abdicherà lasciando il potere ai due nipoti, che si sposeranno e comanderanno insieme. Conclude il discorso dichiarando di voler essere, nel prendere questa decisione, al contempo re, padre, dotto e schiavo dello Stato. Astolfo e tutti i presenti si dicono contenti della decisione e acclamano Basilio. Sopraggiungono Clotaldo, Rosaura e Clarino, a chiedere udienza al re. Clotaldo rivela al re che il segreto di Sigismondo prigioniero è stato violato, ma il re non se ne rammarica, vista la decisione appena presa, e libera i due prigionieri di Clotaldo. Quest’ultimo, senza rivelare nulla a Rosaura, le restituisce la spada, e tra i due inizia un dialogo nel corso del quale la giovane allude al suo nemico, che sarebbe un potente di cui non vuole rivelare il nome, malgrado le insistenze di Clotaldo, finché cede, dicendo che si tratta di Astolfo, duca di Moscovia. Clotaldo non crede alle sue orecchie e esorta Rosaura a dire di più, ma ella si limite a dire di aver ricevuto un affronto grave, considerando che lei non è quella che appare e che Astolfo e prossimo a sposarsi con Stella. SI allontana quindi in fretta, vanamente inseguita da Clotaldo, che piomba in uno stato di incertezza e dolore.
All’inizio dell’Atto II Clotaldo racconta quello che è accaduto nella torre: Sigismondo è stato addormentato con una pozione, subito dopo aver discorso con Clotaldo sulla regale maestà delle aquile, tema scelto da quest’ultimo per ispirarlo nell’operare il giorno seguente. Quindi è stato trasportato nella stanza di Basilio e posto a dormire nel suo letto, in attesa del risveglio. Quando avverrà, Sigismondo verrà trattato da tutti come se fosse, e fosse sempre stato, il sovrano. Clotaldo chiede infine quale fine abbia Basilio nell’aver così disposto. Il re risponde di voler per così dire mettere alla prova la durezza del cielo, di voler verificare se le sue condanne siano definitive e se invece l’uomo con la sua intelligenza non possa mutarne i decreti. Se Sigismondo si comporterà con mitezza resterà re, se invece darà prove di indole malvagia tornerà in catene. Spiega infine la ragione del ricorso al sonnifero: se Sigismondo sapesse di essere il figlio di Basilio ridotto in catene per vaticini del cielo, nel caso in cui dovesse ritornare alla prigione senza ricorrere nuovamente all’artificio della pozione, cadrebbe in un tormento insopportabile e inconsolabile. Per questo motivo Basilio vuol fare in modo che, nel caso in cui debba essere rimesso in cattività, creda di aver sognato. Viene qui introdotto per la prima volta il motivo del sogno. (p. 75)[Al mondo si vive soltanto in sogno, v. 164)]. Clotaldo esprime scetticismo, ma ormai Sigismondo si è svegliato e si sta avvicinando, e Basilio si allontana perché il figlio incontri solo il precettore. Gli dà il permesso di dirgli la verità. Prima di incontrarsi con Sigismondo Clotaldo si imbatte in Clarino, che gli rivela che Rosaura ha abbandonato il travestimento da uomo e si è presentata come nipote di Clotaldo, venendo subito ammessa al seguito di Stella di cui è diventata dama di corte. Mentre ancora discorrono arriva, attonito, Sigismondo circondato da servi che terminano di abbigliarlo: sa bene di essere sveglio, e non si capacita di quanto sta accadendo. I segni di rispetto che riceve da Clotaldo (che nella torre lo maltratta) lo frastornano ancor più. Clotaldo prende a svelargli tutto: egli è erede del re di Polonia, che lo ha tenuto prigioniero per tutti quegli anni in ragione di funesti presagi, ma ora vuole appurare se la sua forza e la sua intelligenza sconfiggeranno i decreti celesti. Annuncia una prossima visita del re Basilio, ma Sigismondo reagisce subito con ira, che rivolge per cominciare contro Clotaldo, preparandosi a ucciderlo di sua mano per la condotta tenuta con lui. Con l’aiuto dei servi Clotaldo fugge, e Clarino con una battuta, presentandosi come il più grande tessitore di intrighi e ficcanaso che vi sia al mondo, si conquista il benvolere di Sigismondo. Entra Astolfo e viene trattato da Sigismondo con estrema alterigia,mentre successivamente Stella viene corteggiata in modo da offendere nuovamente Astolfo, finché addirittura Sigismondo butta dalla finestra il servo che, fin dall’inizio della sua entrata a corte, cercava di consigliarlo assennatamente, spiegandogli alcune regole di corte. A quel punto entra Basilio, che domanda cosa stia acadendo e, venuto a sapere che Sigismondo ha appena ucciso un uomo, si rammarica e gli nega l’abbraccio ch’era venuto a porgergli. Sigismondo risponde duramente, ricordando al re come abbia avuto il coraggio di condannarlo preventivamente a una durissima prigionia, negandogli il suo amore fin dalla nascita. Il dialogo prosegue con Sigismondo che gli rinfaccia di essere sempre stato il suo tiranno e nega di dovergli una riconoscenza che deve invece alla natura, che lo ha reso suo figlio e quindi discendente di re. Nei riguardi di suo padre non deve avere alcuna riconoscenza, giacché anzi egli è i debito della vita libera che gli ha sottratto fino a quel momento. Basilio, profondamente offeso, lo avverte di ridursi a più miti consigli, perché forse, credendo di vivere, sta sognando (v. 544). Sigismondo, però, è molto sicuro di sé. Avviene l’incontro fra Rosaura e Sigismono: la prima riconosce in lui con certezza il prigioniero in catene visto alla fortezza, mentre il secondo è più incerto, ovviamente, nel riconoscimento. Tra i due nasce un dialogo molto vivace e presto Sigismondo la offende e si prepara a recarle oltraggio anche più grave quando interviene Clotaldo: Sigismondo è pronto a ucciderlo, ma entra Astolfo e si interpone, sicché lui e Sigismondo si mettono a combattere. Arriva Basilio e i due interrompono il combattimento, Sigismondo si allontana minacciando anche il padre, che tra sé decide di rimandarlo nella torre. Rimangono a discorrere Stella e Astolfo, e la prima rinfaccia nuovamente allo spasimante di avere al collo un medaglione che ritrae un’altra donna. Astolfo si allontana per prenderlo e consegnarglielo a riprova della sua assoluta fedeltà a lei sola. Giunge intanto Rosaura, alla quale Stella dà l’incarico di attendere il ritorno di Astolfo e di prendere dalle sue mani il famoso ritratto. Rosaura è in ambasce, non sa cosa fare, se svelarsi ad Astolfo o meno. Quando questi ritorna col ritratto, riconosce subito Rosaura, la quale però nega di essere costei. Astolfo allora le dice di portare pure a Stella se stessa, perché il ritratto che lei attende è appunto in carne e ossa presente in lei. Rosaura cerca però di strappare ad Astolfo il ritratto che ha in mano. Stella sopraggiunge mentre avviene la contesa e Rosaura le dice che Astolfo le ha preso di mano un ritratto che la ritrae e non vuol restituirglielo, così Stella interviene, guarda il ritratto in questione e ordina ad Astolfo di darlo alla legittima proprietaria. Avuto quello che voleva Rosaura si allontana e Stella resta per avere quello promessole da Astolfo, che ora è ovviamente impossibilitato a mantenere. Stella si allontana indignata e Astolfo si rammarica per sé e per Rosaura. Intanto Sigismondo è stato riportato nella torre, dove si ritrova nell’esatta condizione iniziale, incatenato e rivestito di pelli, steso al suolo ancora addormentato. Anche Clarino, che sa troppe cose, viene chiuso in prigione. Basilio fa visita alla torre mentre il figlio dorme e insieme a Clotaldo ascolta i mormorii di Sigismondo nel sonno: minaccia di morte il padre e Clotaldo, quindi si sveglia e inizia a pensare di aver sognato. Accanto a sé trova il solo Clotaldo, il quale chiede che gli venga narrato il sogno. Sigismondo racconta di essere stato riverito come re di Polonia, di aver ritenuto Clotaldo un traditore, di aver voluto vendicarsi di tutti e di aver amato solo una donnam che ancora porta nel suo cuore. Il re ascolta non visto e si allontana commosso. Rimasto solo Sigismondo pensa che vivere sia sognare e che l’uomo che vive sogna fino al risveglio (vv. 1170 e sgg. : “sogna il re il suo trono, e vive nell’inganno…”p. 143).
ATTO III: Clarino, prigioniero nella torre, si rammarica del suo destino triste, quando sopraggiungono soldati che aprono la porta della prigione e lo salutano come sovrano legittimo. Clarino commenta che forse in quel regno è uso comune prendere ogni giorno uno qualunque e farlo re e comunque sta al gioco, mentre gli altri lo salutano come Sigismondo. Ovviamente questi, sentendosi chiamato per nome, si rivela ai soldati, che spiegano di essere venuti a liberarlo, per evitare che a governarli sia Astolfo, duca di Moscovia e quindi straniero. Il soldato dice che sono rappresentanti del popolo, il quale dunque sta dalla sua parte e vuole essere guidato da lui. Sigismondo però ha imparato dalla recente esperienza (dal suo sogno) e non vuole cedere alle nuove lusinghe, ormai sa che la vita è sogno (v. 156, p. 155)Cambia però idea e decide di “stare al sogno”, di mettersi al comando dell’esercito e di sfidare il padre, tra le acclamazioni del popolo. All’apparizione di Clotaldo, che s’aspetta di essere ucciso da lui, Sigismondo lo abbraccia, ma Clotaldo gli dice subito che intende restare fedele a Basilio: per un istante Sigismondo sembra farsi prendere dal furore, ma rammenta la volta precedente e si trattiene, consentendo a Clotaldo di raggiungere il sovrano e combattere per lui. Astolfo si prepara a meritarsi il regno combattendo per Basilio, e tutti si dispongono a combattere, compresi Basilio e Stella. Avviene anche un dialogo fra Rosaura e Clotaldo, nel corso del quale la prima cerca di persuaderlo a farsi suo paladino e aiutarla a uccidere Astolfo, ma Clotaldo non si risolve perché Astolfo lo ha salvato dalla furia di Sigismondo. Sigismondo procede a capo dell’esercito quando Rosalba gli si presenta in mantello e armata di spada e gli racconta la sua vita: la madre venne sedotta da un uomo proveniente dalla Polonia che, dopo averle promesso che sarebbe ritornato e l’avrebbe sposata, la lasciò incinta di lei e con una spada. A lei, poi, accadde la stessa cosa che alla madre, ma da parte di un uomo che ella ben conosce, ovvero Astolfo, di cui è intenzionata a vendicarsi nel senso di impedire le nozze con Stella e costringerlo a sposare lei. Sigismondo, ascoltando il racconto, dubita dei suoi sensi, perché Rosaura gli ha riferito circostanze che lui crede di aver sognato, sicché prima pare intenzionato a non lasciarsi sfuggire l’attimo (v. 765, p. 191) e a godere della bellezza di Rosaura, poi si ravvede e pensa che non sia bene sacrificare in nome di una gloria umana una gloria divina e decide di pensare all’onore di Rosaura prima che al suo; tuttavia non dice a Rosaura che poche ermetiche parole, che la lasciano in una condizione di dubbio doloroso. Si reincontrano Clarino e Rosaura, e il primo sta per rivelare che Clotaldo è il padre della fanciulla, quando giungono correndo, sconfitti, Astolfo Basilio e Clotaldo, mentre Clarino cade al suolo ferito da uno sparo, morendo poco dopo. Tutti esortano Basilio a fuggire, ma egli decide di affrontare il suo destino. Giungono anche Sigismondo, Stella e Rosaura e Basilio va incontro al figlio per fare, dice a Clotaldo, l’ultima prova. Invita quindi Sigismondo a fare di lui quel che meglio creda. Sigismondo dice per prima cosa che il cielo non inganna né mente mai, mentre inganna chi, come suo padre, cerca di penetrare le decisioni del cielo perseguendo un suo fine. Così, costringendolo a una vita da bruto, Basilio ha reso la sua natura quale i decreti del cielo avevano vaticinato. Il padre si è comportato come uno che, messo in guardia dalla morte per una spada, se la punti al petto. Quindi, con un inatteso cambiamento di tono, si offre al giudizio di Basilio, il quale riconosce la sua grandezza, mentre il popolo lo acclama. Sigismondo quindi ordina ad Astolfo di sposare Rosaura, e costui ha qualche esitazione dovuta alla nascita oscura di lei, ma a quel punto Clotaldo rivela di esserne il padre. Dopo aver così promosso le nozze di Rosaura, Sigismondo porge la mano a Stella e, al soldato venuto a liberarlo dalla torre, che gli domanda cosa darà in premio a lui che ha fatto tanto, commina la condanna della torre a vita in quanto traditore del re. Tutti ammirano la saggezza del nuovo re, mentre questi conclude dicendo che non c’è da meravigliarsi, giacché ad ammaestrarlo è stato un sogno, dal quale ancora teme di destarsi ritrovandosi in un’oscura prigione…
INTERPRETAZIONE (mia)
Basilio è un padre e un re al quale si può imputare il difetto di essere troppo previdente, al punto da sembrare perfino arrogante. Stabiliamo in primo luogo quali siano le forze in campo. Da una parte ci sono le stelle, che nel loro linguaggio decifrabile da pochi dicono di un principe che diventerà tiranno e si farà oppressore del proprio stesso padre; dalla stessa parte sembra esserci anche il re Basilio, che dei dettati (o presunti tali) celesti si fa interprete e, qui è il punto cruciale della questione, esecutore. Il fatto è che le stelle non hanno bisogno di esecutori: ed è proprio in questo a consistere l’arroganza di Basilio, che non a caso manifesta una sorta di resipiscenza allorché di fronte ai nipoti asserisce di aver rischiato di essere un tiranno nei riguardi di suo figlio. Ma veniamo all’altra parte: quella in cui si trova un uomo che, come tutti gli esseri al mondo, ha un destino, il quale necessita sicuramente di una vita da vivere per potersi esprimere. L’arroganza di Basilio consiste a ben vedere principalmente nell’atto di sottrarre alla vita il proprio figlio, così da impedirgli di interpretare, se così si può dire, il proprio destino. Novello Laio, padre fondatamente preoccupato dai responsi celesti sul proprio figlio, Basilio presume di poter guidare il corso degli eventi, di sostituire Dio in modo, per forza, imperfetto. Nel dire questo cerco di intuire soprattutto il pensiero dell’autore che, non dimentichiamo, era uomo di chiesa e interessato alla riflessione sui grandi temi della religione e della filosofia. L’imperfezione dell’agire di Basilio si manifesta nel suo procedere a un imprigionamento, che impedisce, com’egli stesso a un certo punto comprende, l’espressione fondamentale del libero arbitrio. Grazie a questo l’uomo può svestirsi di ogni componente ferina (alla quale il testo ripetutamente allude ove descrive lo stato iniziale di Sigismondo e quello in cui viene ripiombato dopo la prima prova) e accedere alla condizione davvero umana, cioè quella che precede o coincide con l’accesso al divino (alla razionalità, alla giustizia, al bene). Il processo è lento, graduale e prevede ricadute, ma conduce inevitabilmente alla libera espressione dell’io, alla manifestazione di una volontà che è stato Dio (questo ritiene e manifesta l’autore) a concedere all’uomo. Il dotto Basilio, dunque, veste nell’opera i panni di un Dio imperfetto, che si deve non a caso prostrare ai piedi dell’uomo che alla fine manifesta la sua libera scelta, declinandola in svariati modi: prima sceglie di reprimere gli istinti bestiali (v. 225 verso Clotaldo; v. 774 verso Rosaura), poi di rinunciare alle proprie mire immediate per difendere un altro essere umano (sempre Rosaura, quando antepone la tutela del suo onore alla conquista della corona per sé, v. 800), poi di rinunciare alla vendetta affidandosi addirittura a quella di un altro su di sé (v. 1055 verso il padre), quindi di “trionfare su se stesso” (v. 1067) dando in sposa Rosaura (di cui si è innamorato) ad Astolfo com’ella vuole. Sigismondo può ben essere chiamato a rappresentare, in un’interpretazione che riesce forse a conciliare le istanze dell’autore con quelle del lettore moderno, l’uomo artefice del proprio destino, a dispetto, più che sotto l’influsso, delle stelle. Come dichiara il principe liberato nella parte conclusiva della commedia, vera saggezza non è opporsi al destino ma saperlo interpretare al momento opportuno, così da riuscire a dominarlo (vv. 1026 e sgg.).
Il tema della vita come sogno è una limpida metafora, sulla quale l’autore tesse un gioco di variazioni al quale ben si presta il testo teatrale, ora nella forma di monologhi pensosi ora di folgoranti battute. Da artificio utilizzato per mettere in piedi quello che potremmo definire un esperimento esistenziale, il sogno della vita si trasforma in un motivo conduttore delle riflessioni di Sigismondo, di quelle in particolare che lo conducono ad essere, tra i vari personaggi, il detentore della visione d’insieme più lucida: le glorie umane, dalle quali spira un’aura piacevole e leggiadra, sono quanto mai effimere, così pure i desideri, che appena realizzati svelano la loro intima inconsistenza (v. 139 e sgg. Atto III). Il bene trascorso, riflette Sigismondo, appare facilmente un sogno (v. 785). Ma c’è di più: tutto ciò a cui gli uomini sono soliti annettere importanza, i contrassegni del potere e dell’unicità sono in se stessi inconsistenti, giacché su tutto incombe il destino d’un risveglio che si chiama morte (vv. 1180-1181 atto II). Dunque la vita è frenesia, è illusione, ombra, finzione, la vita è sogno e i sogni sono sogni (vv. 1197-1200 atto II), sostanze eteree che possono però, è il caso di Sigismondo, mutarsi in provvidenziali maestri: il sogno insegna al prigioniero come possa essere libero da se stesso e dagli altri, esprimendo fino in fondo la sua umanità, e certo non è poco.
BREVE NOTA SULLA CONDANNA DEL SOLDATO
Lascia un po’ stupiti, almeno inizialmente, e perfino un poco turbati la decisione di imprigionare per sempre nella torre, novello Sigismondo, proprio il soldato liberatore che consente al principe di mostrare la propria valentìa di sovrano in erba. A ben vedere, però, l’episodio ha la forza di una parabola e come queste arriva a turbarci e meravigliarci. Consideriamo la logica di cui si fa portatore Sigismondo nell’ultima scena: è una logica altruistica, che pospone se stesso agli interessi di tutti gli altri. Egli prima si mette nelle mani di Basilio chiedendo di vendicarsi per aver lui realizzato ciò che il cielo prediceva, la sconfitta del padre canuto e la discordia del regno, poi rinuncia alla donna che ama. Come meschino appare, di fronte alla sua generosità, il soldato che chiede di essere ricompensato per averlo liberato. Tutta qui, forse, la ragione della punizione feroce, che ricorda anche a tutti come la cattività sia sempre in agguato, come sempre da qualche parte vi sia un prigioniero che magari un giorno verrà liberato da qualcuno che dovrà poi prendere il suo posto…
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