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TRADUZIONI DI LATINO: FEDRO, POSTILLA SULLA CONTRASTIVA, TACITO, SENECA, AGOSTINO (in fieri)

FEDRO Lupus et Agnus Ad rivum 1  eundem 2  lupus et agnus venerant 3 , siti compulsi 4 . Superior 5  stabat 6  lupus, longeque 7  infe...

sabato 27 settembre 2014

MATERIALE SU CATULLO DELL'ANNO SCORSO

CATULLO
Dedica a Cornelio Nepote (carme 1)
A chi donare il mio nuovo, graziosissimo libretto
levigato da poco con la scabra pomice?
A te, Cornelio: infatti tu eri solito
assegnare un qualche valore alle mie sciocchezzuole,
già al tempo in cui, unico fra gli Italici, osasti
ripercorrere in tre libri, eruditi ed elaborati, la storia universale.
Quindi ecco a te, quale ne sia il valore, questo po’ di libretto:
che esso, o vergine musa, divenga eterno, superando il limite della mia generazione.
Qualche osservazione
Si notino alcuni termini utilizzati da Catullo: il novum riferito alla raccolta di Carmi, per cominciare, mette in primo piano un’esigenza particolarmente sentita dalla corrente poetica alla quale egli appartiene come esponente di spicco. Non a caso, infatti, Cicerone conierà la denominazione di “neòteroi” (poetae novi), con evidenti intenti dispregiativi (in quanto egli era un tradizionalista, dal punto di vista letterario): Catullo e i poeti di questa corrente si sentono “moderni”, diversi dai poeti latini tradizionali e rivendicano (a parole e a fatti) tale loro caratteristica. Consideriamo poi l’espressione expolitum modo arida pomice (si tratta del labor limae, l’operazione di rendere il testo formalmente ineccepibile): con essa il poeta fa riferimento a un’altra caratteristica rivendicata dai poetae novi come assolutamente peculiare del loro modo di far poesia: l’eleganza dello stile, ricercato e prezioso, mai corrivo, nutrito di modelli raffinati come quelli offerti dai poeti alessandrini (ellenistici) del III secolo o, ancor prima, dai grandi lirici greci (Saffo e Alceo in primis). Ovviamente alla medesima caratteristica fa riferimento il termine eruditis, dotti, riferito all’opera storica di Cornelio Nepote, amico di Catullo e coinvolto in questa nuova esperienza letteraria. Nugas è un altro termine chiave per iniziare a definire la poetica catulliana: va inteso, nel suo significato “cose di poco conto” come espressione di una finta modestia, di là dalla quale si cela una profonda consapevolezza dell’originalità del proprio prodotto artistico: il poeta vuole contrapporre polemicamente le proprie “sciocchezzuole” alle altisonanti opere della tradizione, i grandi poemi epici innanzi tutto, quasi certo che da esse potrà venirgli una fama perenne, che superi il limite della sua generazione…
Un invito a cena (carme 13)
Con l’aiuto degli dei, mio Fabullo, entro pochi
giorni farai una buona cena a casa mia,
se porterai cibo gustoso e abbondante,
nonché una bella fanciulla,
vino, sale e tutta la tua allegria.
Se porterai ciò, ripeto, bello mio,
cenerai bene: questo perché
la borsa del tuo amico Catullo è piena…di ragnatele.
Però, in cambio, riceverai il mio sincero affetto
e quanto vi è di più elegante e raffinato:
ti darò un unguento che Venere e Amore
hanno donato alla mia bella.
E quando l’odorerai, caro Fabullo, implorerai gli dei
che ti rendano “tutto naso”!
Qualche osservazione
Tra le Nugae si trovano diversi componimenti scherzosi (questo, in particolare, contiene una sorta di fulmen in clausula, ovvero di battuta finale), che trasmettono un’immagine vivace della vita mondana di Roma, nonché della rete di relazioni affettive di Catullo. Fabullo, in effetti, compare in diverse poesie, evocato sempre con grande affetto, a testimonianza dell’importanza che l’amicitia (patto fondato sulla fides) riveste per il poeta.
L’amicizia tradita (carme 73)
Smetti di credere che l’affetto meriti qualcosa
o che qualcuno possa esserne reso riconoscente.
L’ingratitudine è universale, aver fatto del bene non vale niente,
anzi, peggio, dà fastidio e nuoce persino,
come a me, che nessuno odia più crudelmente e accanitamente
di colui che fino a ieri mi ritenne suo solo, unico amico.

Qualche osservazione
Non ci sono nomi, in questo componimento, ma il sentimento espresso dal poeta suona vero e intenso: una delusione inconsolabile, incisa nella carne, incancellabile. L’importanza dell’amicizia, del bene velle, è tale che quando accade di esserne delusi il mondo interno si oscura, tutto perde significato: il poeta universalizza la sua delusione e sente che nulla può ritornare come prima.

Sulla tomba del fratello (carme 101)
Trasportato attraverso molti popoli e molti mari
giungo, fratello, alle tue misere spoglie,
così da porgerti l’ultima offerta che si deve ai morti
e invano parlare alle tue mute ceneri:
ora che la sorte ti ha strappato a me,
povero fratello crudelmente sottrattomi.
Ora però accetta questa offerta che, secondo l’antico costume dei padri,
affido come triste dono per i riti funebri,
tutta intrisa del mio pianto fraterno;
addio per sempre, fratello.

Qualche osservazione
Si può considerare questo carme come un documento efficace della sensibilità pagana nei riguardi della morte: scarsa consolazione offrono i riti (che pure vengono compiuti fino in fondo) per un evento da cui i sentimenti sono sovrastati. La morte interrompe la comunicazione (le ceneri sono mute), strappa gli uni agli altri; la morte è crudele e impone di dirsi addio per sempre. Il poeta resta solo e piangente di fronte all’abisso fatale da cui non c’è ritorno.


Vivamus, mea Lesbia (5)
Godiamoci la vita, Lesbia mia, e vogliamoci bene,
non prendiamoci cura dei borbottii dei vecchi troppo austeri!
Il sole può tramontare e poi sorge:
ma noi, una volta che sia venuta meno la breve luminosa vita,
dobbiamo dormire un’unica, eterna notte.
Dammi mille baci, poi cento,
poi altri mille e ancora cento.
Quando ne avremo messe insieme molte migliaia,
le confonderemo, per non saperne il numero,
o perché nessun malvagio possa gettarci il malocchio,
qualora venga a conoscenza di un così gran numero di baci.

Qualche osservazione
Questo carme è “leggero” (come potrebbe far pensare la presenza al suo interno del tema dei mille basia) solo apparentemente: contiene il tema filosofico della breve durata della vita umana (contrapposta alla lunga durata concessa a un astro come il sole), che l’uomo può contrastare solo cercando di assegnare valore a ogni istante e riconoscendo fra gli impegni umani l’unico in grado di dare senso al breve tempo concessoci. Per Catullo tale impegno, ovviamente, è l’amore, in contrasto con l’etica del civis romanus, che ritiene attività fondamentale quella politica. In un’alternanza di chiaroscuri (vita e amore contrapposti ai rumores dei vecchi borbottoni, sole e luce contrapposti alla nox perpetua, la messe di baci opposta al malocchio mandato da quis malus) il componimento propone dunque un’anticonformista filosofia di vita: coltivare e preservare, quale unico bene, l’amore.

Lesbia e le altre (carme 86)
A detta di molti Quinzia è bella, per me è bianca, slanciata,
proporzionata. Presi uno a uno riconosco questi pregi,
ma nego che nell’insieme sia bella: infatti in quel corpo superbo
non c’è nessuna grazia, né un po’ di spirito.
Bella è Lesbia, che intanto è bellissima nell’insieme,
e poi ha tolto a tutte le altre ogni attrattiva.

Qualche osservazione
Anche questo carme è solo apparentemente leggero: Catullo riflette sul concetto di bello, che risulta essere frutto d’una commistione di elementi fisici e spirituali. La bellezza di Lesbia è certo incontestabilmente “fisica”, nel senso che in lei sono presenti i requisiti della bellezza “universalmente intesa” (proporzioni armoniche del corpo e del volto), ma viene valorizzata dal suo spirito e dalla grazia (che, nel componimento, risultano mancare a Quinzia).

Ille mi par esse deo videtur (carme 51)
Simile a un dio mi pare,
o addirittura, se non suona blasfemo, superiore agli dei
chi, standoti vicino, ti guarda continuamente,
ti ascolta mentre ridi dolcemente, mentre a me,
poveretto, viene meno la capacità di sentire: ogni volta
che ti guardo, Lesbia, non mi rimane un filo di voce,
mi si intorpidisce la lingua, un sottile fuoco mi scorre nelle ossa,
le orecchie mi ronzano internamente, gli occhi sono
coperti di tenebre.
È l’ozio a farti male, Catullo:
nell’ozio ti esalti e ecciti troppo.
L’ozio ha mandato in rovina in passato
re e prospere città.

Qualche osservazione
Esempio di “imitazione” alla maniera antica: il modello saffico è tenuto presente e variato, raffinato lusus letterario, così che idealmente lo spirito dei due poeti di fonde. Siamo di fronte alla “fenomenologia d’amore” nelle sue originarie espressioni: tutti i sensi vengono prevaricati, sostituiti da un’unica invadente percezione, quella della creatura amata più d’ogni altra. A ciò s’aggiunge la considerazione finale sull’otium, nella quale lo spirito romano di Catullo fa una sua fugace, ironica apparizione: se l’otium è una rovina, che amabile rovina…






Il passerotto di Lesbia (carmi 2-3)
O passero, delizia della mia fanciulla,
col quale è solita giocare, tenerlo in grembo,
porgere il dito all’assalto e
provocarne le beccate rabbiose,
quando alla donna dei miei sogni
piace intrattenersi dolcemente
e trovare sollievo al proprio dolore
(almeno credo); affinché allora si plachi l’affanno doloroso,
potessi io giocar con te come lei
e alleviare le sofferenze dell’animo!

Piangete Divinità dell’Amore,
e tutti voi spiriti più gentili.
È morto il passero della mia bella,
il passero delizia della mia fanciulla,
che lei amava più dei suoi occhi:
era dolcissimo e riconosceva lei
come una bimba riconosce la mamma,
né si allontanava dal suo grembo,
ma saltellando or qua or là
cinguettava per lei sola.
E lui ora se ne va per quell’oscuro cammino
da cui dicono nessuno torni.
Maledette voi, tenebre dell’Orco,
che divorate tutte le cose belle:
mi avete sottratto un passerotto così bello.
O sventura, povero passerotto!
Adesso, per colpa tua, gli occhietti
della mia bella per il gran piangere si son fatti rossi.
Qualche osservazione
Carme II. Convenzionale e originale allo stesso tempo: l’argomento infatti è topico nella produzione epigrammatica ellenistica, ma Catullo introduce una forte nota personale. Essa consiste nell’insinuazione (leggera e seria) che Lesbia provi una sofferenza d’amore ben inferiore a quella che travaglia il cuore del poeta: mentre a lei basta, per distrarsi, giocare col suo passerotto, per Catullo ben altro ci vorrebbe…
Carme III. Meno originale del precedente, giacché sviluppa in modo esclusivo il topos del compianto per una creatura amata (la forma greca dell’epicedio, proposta in modo vagamente scherzoso, visto il soggetto), ferma restando un’ulteriore connotazione ironica personale, che pare evidente soprattutto nel finale (in cui il Poeta si rammarica per l’arrossamento degli occhi di Lesbia, cagionato dalla morte del passerotto).

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