Cicerone,
De divinatione
I
LIBRO
· Vari generi di divinazione esistenti e tipi di domande alle quali l’arte in questione fornisce risposte (concernenti la vita pubblica come quella privata).
· Eventi legati alla pratica della divinazione (la fondazione di Roma da parte di Romolo); l’autorevolezza della divinazione proveniva più dall’impressione prodotta dall’avverarsi delle predizioni che da argomentazioni razionali.
· Tra i filosofi, escluso Senofane di Colofone (che credeva negli dei ma non nella divinazione) e Epicuro (tacciato dall’Autore di scrivere cose assurde, tra cui di negare dei e divinazione), tutti, sia pur con dei distinguo, approvarono la divinazione.
· Si prepara il dialogo che costituisce l’impalcatura dell’opera: Cicerone dichiara di voler esaminare i pro e in contro della questione, non aderendo immediatamente a una tesi
· Tesi del fratello Quinto: se la divinazione è veritiera, allora esistono gli dei (come vuole la dottrina stoica che Quinto professa), così come, se gli dei esistono, ci sono anche persone capaci di predire il futuro.
· Una possibilità è che i responsi siano guidati dal caso, così come sosteneva Carneade, filosofo scettico, ovviamente impegnato a confutare la validità della divinazione.
· Passa poi a trattare di sogni profetici o premonitori.
· Distinzione fra divinazione naturale e artificiale: la prima è furor, la seconda si serve della distinzione fra ingenium e ars.
· Le argomentazioni basilari di cui si serve Quinto per dimostrare la validità dell’arte divinatoria risalgono alla dottrina stoica sulla natura degli dei
· L’influenza del Fato, poi, è naturalmente indiscutibile, considerato che anche gli dei sono sottomessi ad esso: dunque la capacità divinatoria deve essere fatta risalire innanzi tutto alla divinità, poi al fato e quindi alla natura.
· Quinto, completando il suo discorso sulla divinazione, aggiunge di non dare alcun credito ai volgari indovini per guadagno e a svariati tipi di ciarlatani da strada, ma di credere fermamente che gli dei si occupino delle cose umane e che indichino agli uomini le vie da intraprendere.
II LIBRO
· Nell’incipit l’Autore ricorda come tutta la sua attività di saggistica filosofica sia stata finalizzata all’edificazione dei suoi concittadini e ricapitola quindi le opere di questo genere: Ortensio, Libri Academici, Tusculanae disputationes, De natura deorum, lo stesso De divinatione , il progettato De fato [a noi pervenuto solo in parte], il De Republica le Consolationes il Cato Maior de senectute.
· Si esprime contro la divinazione. Essa non può riguardare il mondo sensibile, poi non ha un campo assegnatole, e non può nemmeno averli tutti contemporaneamente.
· Esamina poi alcuni passaggi del discorso di Quinto: la divinazione si applica a eventi fortuiti, imprevedibili attraverso la pratica o il ragionamento e non collegati attraverso un nesso causale che una qualche pratica o tecnica riesca a concepire con anticipo.
· Tuttavia, dal momento che può accadere che un evento previsto in base al riconoscimento della catena di causa ed effetti non si verifichi, come si può prevedere qualcosa che non ha nessun sintomo?
· Su che cosa si fonda la correlazione fra le viscere di un animale e la nascita o la morte di un individuo?
· Il discorso porta inevitabilmente a parlare del caso, ovvero di quanto di più imponderabile e imprevedibile si possa concepire.
· Le indicazioni degli dei riguardanti le sventure vengono analogamente criticate da Cicerone: o sono accompagnate da indicazioni precise su come evitarle o, evidentemente, non servono a niente. Anche le predizioni poco chiare non hanno senso: se gli dei vogliono aiutarci, perché usano un linguaggio pressoché incomprensibile?
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