Una rappresentazione della fortuna antecedente all’Orlando Furioso si trova nel VII canto dell’Inferno dantesco. Lì essa è dipinta come un’intelligenza angelica, che amministra i beni terreni, assegnandoli agli uomini in base a un disegno che a loro non è dato conoscere. Di qui il vituperio di cui è fatta oggetto, nonché l’ambigua rappresentazione che anche il Poeta le dedica, dipingendola inizialmente come creatura rapace, dotata di artigli. Tuttavia, a risultare dominante, è poi l’immagine conclusiva, della Fortuna che “volve sua spera e beata si gode”, racchiusa in una sua dimensione armonica alla quale sono totalmente estranee le querimonie umane. La fortuna secondo Dante, quindi, appartiene alla dimensione provvidenziale, non è identificabile con il mero caso, che procede senza criterio e comunque in assenza di un disegno riconoscibile a qualcuno, come Dio. Con Ariosto, in piena età rinascimentale, ci troviamo di fronte a una concezione del caso al quale viene restituita tutta la sua originaria laicità: si tratta di una forza che agisce continuamente nella vita degli esseri umani, ora con un imperio che induce ad attribuirle la lettera maiuscola, contrassegno d’una personificazione, ora in maniera per così dire più leggera, perfino in grado di far sorridere chi ne guardi l’operato dall’esterno. Avviene così che nella X ottava, essa sia evocata per rappresentare la situazione che viene a crearsi nella prima giornata di scontro in campo aperto fra l’esercito cristiano e saraceno dopo il rientro di Orlando con Angelica. La situazione volge nettamente a sfavore dei cristiani, ed è la Fortuna, personificata, a essere chiamata in causa per questo. Nell’ottava XXIII, il ruolo della dea bendata è ridotto al caso che può favorire o l’uno o l’altro dei due cavalieri, Ferraù e Rinaldo, intenti a inseguire Angelica e determinati a prendere due sentieri differenti. Analogamente provvisto di un significato neutro è il ricorso al termine nell’ottava XXVII, mentre nella XLIV essa assume il connotato di sorte avversa e nella XLVIII di buona. Infine, nel discorso di Sacripante intenzionato a violentare Angelica, la fortuna viene citata come occasione che Orlando non seppe cogliere, con riferimento all’opportunità di possedere la fanciulla.
Ariosto riesce insomma a rappresentare, declinando così il termine fortuna e servendosene ripetutamente proprio nel canto in cui massimamente gli uomini sembrano essere preda di una forza esterna e poco padroni di sé, la varietà dei casi umani, l’impossibilità di seguire percorsi all’interno dei quali tutto riesca a essere prevedibile, se non certo, e quindi la costante esposizione a insidie e colpi di scena che peraltro, a livello narrativo, rappresenta la ricchezza del poema e la fonte prima del movimento costante che lo caratterizza.
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