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TRADUZIONI DI LATINO: FEDRO, POSTILLA SULLA CONTRASTIVA, TACITO, SENECA, AGOSTINO (in fieri)

FEDRO Lupus et Agnus Ad rivum 1  eundem 2  lupus et agnus venerant 3 , siti compulsi 4 . Superior 5  stabat 6  lupus, longeque 7  infe...

lunedì 20 ottobre 2014

III CANTO PURGATORIO

·         Cacciata delle anime colombe da parte di Catone,  tema della sollecitudine (verso 3 che riproduce,in una variatio rispetto all’”ire a farsi belle” e allo “scoglio”, II, 75, II, 122, l’atto di liberarsi dal peccato).
·         Dante vive un momento di debolezza psicologica: sente il bisogno di stringersi a Virgilio.
·          Dal canto suo Virgilio è assai turbato: la sua “dignitosa coscienza, e netta” prova vergogna per non essere stato all’altezza del compito di guida (Virgilio cammina troppo in fretta, l’andatura scomposta diminuisce la dignità degli atti)
·         Il viator vive un momento di grande paura: teme di essere stato abbandonaton da Virgilio.
·         Tema del corpo lasciato sulla terra e dell’incorporeità dell’anima.
·         Spiegazione relativa al quia, ovvero, nel latino scolastico, la proposizione oggettiva, che corrisponde all’esistenza, ma non all’essenza di Dio.
·         Se  all’uomo fosse stata data la conoscenza assoluta, non ci sarebbe stato bisogno che nascesse Cristo da Maria.
·         Riferimento melanconico  ai suoi compagni di limbo, ad Aristotele e Platone, qui evocati come esseri umani che hanno sommamente desiderato di raggiungere la verità, e sono ora puniti con la sua mancanza per sempre.
·         Considerazioni sull’asprezza del cammino verso il monte: paragone con la Liguria, da  Lerice a Turbìa, ovvero Lerici, ai margini del golfo di La Spezia, e Turbia, borgo del territorio di Nizza.
·         Mentre i viaggiatori si chiedono come fare a proseguire, essendo sprovvisti di ali, vedono in lontananza giungere delle anime, lente e unite: similitudine fra  anime e  pecorelle (79 e sgg).
·         Una delle anime inizia a parlare, chiedendo di essere riconosciuta dal viator: è un uomo biondo, bello e d’aspetto gentile, v. 107, ma ha una grave ferita in volto, che gli recide uno dei sopraccigli.
·         Il viator deve subito ammettere di non riconoscere l’anima, che allora si presenta come Manfredi, nipote dell’imperatrice Costanza [nonché figlio di Federico II, che non viene citato perché è all’inferno, mentre Costanza in Paradiso, canto III] e chiede subito di essere ricordato sulla terra alla figlia Costanza perché preghi per lui.
·         Costanza è madre di Giacomo d’Aragona e Federigo di Sicilia. A Manfredi interessa che venga detta la verità su di lui sulla terra, dal momento che la chiesa lo aveva scomunicato e che questo avrebbe comportato di necessità la dannazione (Benevento, 1266, sconfitto da Carlo d’Angiò).
·         Manfredi evoca l’istante della sua morte: ha reso l’anima, piangendo a Dio.
·         I versi 121 e 122 contengono l’espressione di due estremi: da una parte l’orrore dei peccati che Manfredi sa di aver commesso [orribil furo li peccati miei], dall’altra l’immensità della bontà divina, provvista di braccia così grandi da poter accogliere chiunque si rivolga a lei.
·         Se  Dio è un grande generoso, ben meschino appare l’atto di Bartolomeo Pignatelli, arcivescovo di Cosenza, inviato da papa Clemente IV presso Carlo d’Angiò per sostenerlo contro Manfredi.

·         Ora il suo corpo, che era stato seppellito come costume militare sotto un cumulo di pietre messe dai soldati (129), è stato dissepolto per abbandonarlo alle intemperie fuori dal regno di Sicilia, oltre il Garigliano, il Verde del v. 131,  con una sorta di cerimonia funebre rovesciata, a lume spento (132

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