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Vettori: 1474-1539, ambasciatore a Roma
per la repubblica fiorentina, autore di opere storiche e relazioni di viaggi
diplomatici, scrisse anche spregiudicati Pareri,
rivolti tra l’altro a Alessandro de Medici perché assumesse poteri assoluti;
anche lui partecipò meno alla vita politica dopo l’ascesa al potere di Cosimo
I, negli anni trenta del Cinquecento, che ridusse molto il potere degli
aristocratici
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Non è una lettera scritta per essere
pubblicata, come nessuna delle familiari di Machiavelli
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All’inizio i convenevoli: manierosamente
scherzosi (allusione alla lentezza con cui il Vettori aveva risposto a una sua
precedente).
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Sorta di massima esistenziale, ispirata
da un senso realistico (più che pessimistico) delle vicende umane: non conviene
lasciare i proprî comodi per quelli degli altri, al fine d’evitare di perder
essi e pure non ricevere alcuna riconoscenza dagli altri (riferimento alla
fortuna).
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Scenario diurno: Machiavelli uccellatore, un “badalucco” “dispettoso e strano” ovvero del tutto
estraneo al suo essere profondo.
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La messinscena del giorno prosegue, con
una nuova puntata nel bosco dove si uccella, e qui egli si porta amene letture:
Dante, Petrarca e “poeti minori” ossia dediti alla poesia elegiaca, Tibullo e
Ovidio.
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Osteria: piena immersione nella realtà del mondo, persone
diverse da lui, domande, conoscenza di gusti e opinioni completamente diversi
dai suoi.
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Al pomeriggio è di nuovo l’osteria il
palcoscenico delle imprese di Machiavelli, che s’ingaglioffa, si incanaglisce, per tutto il pomeriggio
giocando a dadi, a carte, discutendo e insultandosi con i suoi compagni di
gioco, ovvero rivoltandosi tra i pidocchi per tenere il cervello in esercizio e
compiacendosi (è questo un culmine della rappresentazione in tale prima parte)
di come la sorte lo calpesti per vedere se, raggiungendo appunto un culmine,
non si vergogni (la sorte) di quello che sta facendogli.
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Si avvicina la sera, Machiavelli ritorna
a casa, infangato, degradato, vissuto. Entra nel suo studio, si spoglia della “veste
cotidiana”, degli abiti del giorno (da intendersi in senso esteso,
naturalmente) e indossa abiti regali, degni di una corte.
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Tema del cibo che “solum è mio, e ch’io nacqui per lui”.
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Il colloquio che si intesse nella
solitudine dello studio è agli antipodi delle urla, del fango, della
disperazione che aleggiano nella prima parte della lettera.
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Si apre dunque il passaggio alla parte
finale della lettera: dato che, come scrive Dante, non c’è conoscenza profonda
senza fissazione nella memoria della medesima, Machiavelli mette per scritto le
sue acquisizioni, ossia redige il Principe.
CONCLUSIONE: posizione
di forzata e esasperante lontananza dal potere. Due sono i livelli di espressione
del proprio stato d’animo: l’uno tendenzialmente comico, l’altro
tendenzialmente tragico, entrambi profondamente veri.
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