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Il Principe, ovvero De principatibus¸ suddiviso in XXVI
capitoli, fu scritto di getto fra il
luglio e il dicembre del 1515 e pubblicato postumo: Machiavelli assume la
forma-Stato come oggetto di analisi empirica e scientifica.
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Capitoli dal I all’XI:
tipologia del principato e tipo di
governo che il principe deve di volta in volta seguire per garantirsi un
dominio sicuro in situazioni costituzionalmente differenti.
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Ricorso a procedimenti disgiuntivi: due sono le forme di una
costituzione statale “o repubbliche o principati”; questi poi possono essere
“ereditari o nuovi”; quindi “o nuovi totalmente o nuovi aggiunti a vecchi
possedimenti”; e ancora possono essere
“o abituati alla servitù o alla libertà” e essere acquistati “o con le armi
d’altri o con le proprie” e infine “o per mezzo della fortuna o per mezzo della
virtù” (non esamina tutta la casistica, ma passa subito ai principati ereditari
e poi al principato nuovo, che gli interessa di più). Il capitolo VII è quello dominato dalla figura del duca Valentino,
Cesare Borgia, figlio di papa Alessandro VI (disamina della sua vicenda, fino
alla conclusione negativa per lui). Nel capitolo VIII esamina casi di sovrani che hanno ottenuto il comando con
crudeltà e scelleratezze (come Agatocle, tiranno di Siracusa), nel capitolo IX, quanti pervengono al principato col favore dei cittadini.
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Dal XII al XXIV
capitolo vengono trattate questioni interne alla vita dello stato e poi le
caratteristiche che si richiedono a un principe nuovo. Tra le questioni interne
spicca quella delle milizie.
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Dal XV al XIX, ricalcando la struttura degli specula, ne
stravolge gli intenti etici. Terminata la codificazione politica, che prosegue
nei capitoli XX – XXIII entrando in dettagli organizzativi dello stato, nel
XXIV esamina le cause per cui i principi d’Italia hanno perduto i loro stati: è
avvenuto per improvvisazione, per mancanza di cognizione, da parte dei
regnanti, dei fondamenti dello stato.
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Infine i capitoli XXV e XXVI trattano rispettivamente il tema
della fortuna, che è l’antagonista costante della virtù umana e con essa lotta
perennemente, e, nella Exhortatio
conclusiva, il tema della liberazione dell’Italia dagli stranieri, che
Machiavelli vorrebbe affidare ai Medici. Si tratta, più che di una proposta
politica, di un appello alla rigenerazione morale di alta tensione emotiva.
LA SCIENZA DELLA POLITICA
La
scienza della politica è quindi scienza della realtà, che M. osserva con
attenzione: la realtà dei sovrani assoluti di Francia, Spagna e Inghilterra,
quella dei principi rinascimentali, dei papi e pure quella dei borghesi dediti
agli affari, affini ai sovrani e ai principi per quanto riguarda la regola che
hanno di perseguire l’utile agendo in modo razionale (se non ricorrono alla
scienza degli affari si rovinano).
Nessuno
dei soggetti sopra citati si ispira a precetti di natura astratta: i sovrani
delle monarchie nazionali come Ferdinando d’Aragona, i Tudor o i re di Francia offrono lezioni di
realismo dimostrando che il nuovo stato moderno si regge sull’unità del
comando, sulla forza dell’autorità, su eserciti proprî.
Guardando
alla realtà dell’agire politico è ovvio che Machiavelli separi la politica
dalla morale, che rappresenta una normativa esterna. La politica è razionalità
rispetto all’unico scopo dell’utile politico ed è perciò autonoma rispetto a
qualsiasi regola che possa alterarne la coerenza. Machiavelli cerca di cogliere
l’uomo nelle costanti del suo agire , convinto com’è che la natura umana
rimanga fissa nel tempo e che la storia non sia che un’applicazione infinita di quelle costanti.
Le
costanti: 1) la natura dell’uomo è aperta, anche nel senso ch’egli può essere
razionale o irrazionale ed è rimasta la stessa nei secoli; 2) la realtà
oggettiva consiste principalmente nelle interrelazioni umane, che si svolgono
secondo leggi che bisogna cercare di conoscere (il buon politico le conosce e
sa piegarle ai propri scopi) per poi utilizzarle ai propri fini. Si tratta di
un invito alla razionalità, ma una razionalità autonoma ovvero inerente
all’azione politica.
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