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Nasce ad Amiternum, in Sabina, oggi vicino all’Aquila, nell’86 da famiglia facoltosa, ma senza
antenati magistrati: è un homo novus.
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Della sua giovinezza e educazione non
sappiamo nulla: prime scarne
informazioni riguardano gli anni 52-45 a.C (campagna accanita contro l’uccisore
del tribuno Clodio, ovvero Milone, che era invece difeso da Cicerone).
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Tribuno nel 52, forse seguace di Cesare, nel 50 espulso dal
senato per motivi morali; aiutato da Cesare,
ottiene l’incarico di governatore della nuova provincia africana, poi è accusato
di aver accumulato enormi ricchezze col suo governo corrotto. Si ritira nel 45 dalla vita politica e
si dedica, nell’otium, alla storiografia. Muore nella sua lussuosa residenza
fra il Quirinale e il Pincio nel 35 o nel 34.
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Le
sue opere storiche sono tre: due monografie (De
coniuratione Catilinae e De bello
Iugurthino) e una di impostazione più ampia, le Historiae, incompiute e lacunose: ricostruivano dal 78 al 67, dalla morte di Silla alla guerra di Pompeo
contro i pirati, ma sono rimasti solo frammenti, ossia parte del Proemio,
quattro discorsi e due lettere.
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Focus Polibio: a Roma come ostaggio di Lucio Emilio Paolo dopo la
battaglia di Pidna del 168, in quanto alto esponente della lega Achea; con lui deportato
anche Panezio (stoico) e entrambi animatori
del circolo scipionico. Nelle sue Storie (particolarmente libro VI), scritte in
greco, propone la prima analisi sistematica della costituzione romana. Integra
Aristotele e Platone con la teoria dell’anaciclosi, secondo cui i tre regimi fondamentali
tendono a succedersi in ogni stato in una serie discendente, dal migliore al
peggiore, per poi dar luogo a un nuovo ciclo. Polibio ritiene che il modello
astratto di perfezione politica ipotizzato da Aristotele si sia realizzato nella res
publica romana, per via della magistratura consolato, del senato e del tribunato.
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Nei proemi delle due monografie
Sallustio si sofferma su valore e fini dell’attività umana.
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In tutte le opere (compresi i frammenti delle Historiae) mostra di essere
particolarmente interessato al tema della decadenza di Roma.
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L’assunto di base dello storico è che i
sanguinosi scontri, le atrocità efferate ai tempi della congiura di Catilina
non siano spiegabili unicamente facendo riferimento alla corruzione o alla
depravazione del singolo Catilina, ma debbano essere ricondotti a motivazioni
più complessive.
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Finché onore e patriottismo guidavano la
condotta dei cittadini, lo Stato prosperava; ai suoi tempi invece la Repubblica
è caduta preda della corruzione, in particolare di ambizione, avidità e lusso
sfrenato (ambitio, avaritia, luxus)
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Un’importante
categoria storiografica introdotta da Sallustio per spiegare la decadenza è quella
del metus
hostilis.
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Sallustio in un frammento delle
Historiae ammette però che in verità già all’inizio della repubblica esistevano
molti e gravi dissensi interni, che egli imputa all’imperfezione della natura
umana.
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Nella rappresentazione senz’alcun dubbio
moralistica della scena romana, Sallustio è senza esitazioni ostile alla
maggioranza degli optimates che
descrive come arroganti, venali, inetti. Tutto il sistema politico gli appare
ormai marcio, giacché gli uomini lottano per
la propria ambizione e non per il bene comune.
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Alcuni singoli sono ancora depositari di
valori, ma ormai ciò prescinde dalla loro nascita o collocazione politica, sicché
non è possibile rintracciare una presa di posizione a favore dei populares in
contrapposizione agli optimates da parte di Sallustio.
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Nella Giugurtina Sallustio rievoca
una guerra protrattasi per anni tra avversari
dotati di forse impari: i potentissimi
Romani e il re di un piccolo stato africano.
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Anche in questo caso la corruzione regna
sovrana e il biasimo dell’autore si distribuisce equamente e liberamente
insieme alla lode in una logica super
partes.
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Quanto a Giugurta, Sallustio non gli
lesina inizialmente la sua ammirazione: energico e indomabile, caratteristici
segni di virtus originaria, fu
soggetto tuttavia a un processo di corruzione, per via
del contatto con i nobiles e gli homines
novi romani.
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Con le Historiae Sallustio ritorna alla forma annalistica comune per gli
storici dei primi secoli.
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Lo stile di Sallustio è un esempio di inconcinnitas ovvero di rifiuto della
simmetria (la concinnitas
ciceroniana), dell’equilibrio e della proporzionalità fra le parti di un
discorso. Inoltre è uno stile arcaizzante che veicola forse anche una posizione ideologica: il passato della res publica è una fonte attiva di valori
positivi, di boni mores, che sarebbe
vantaggioso e vitale (ma forse antistorico) recuperare.
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