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TRADUZIONI DI LATINO: FEDRO, POSTILLA SULLA CONTRASTIVA, TACITO, SENECA, AGOSTINO (in fieri)

FEDRO Lupus et Agnus Ad rivum 1  eundem 2  lupus et agnus venerant 3 , siti compulsi 4 . Superior 5  stabat 6  lupus, longeque 7  infe...

martedì 13 gennaio 2015

PROPERZIO


·        La tempestosa vicenda d’amore con una donna che Properzio chiama Cynthia (in realtà Ostia) occupa la maggior parte dei suoi  quattro libri di elegie. La relazione sembra sia durata per cinque anni, ma non sappiamo se tale lasso di tempo includa anche il periodo di separazione: forse gli anni furono dal 29 al 23; a un certo punto il poeta accenna a un nuovo legame con una donna che forse diventerà sua moglie e a Cynthia non si fa più cenno.
·        Nel I libro sfilano alcuni degli amici del poeta, un giovane ricco votato alla carriera politica e altri poeti. Dopo una relazione breve ma felice con una donna di nome Licinna, Properzio conosce Cynthia: parla del suo sguardo fiammeggiante, dei capelli fulvi, delle lunghe dita, della figura affascinante. Era colta, amava la musica, componeva versi.
·        I carmi del libro I gli diedero la celebrità e gli spalancarono le porte del palazzo di Mecenate e della corte.
·        L’amore è per Properzio una forza trascendente che conferisce un nuovo significato all’esistenza, nonché a tutti i valori comunemente accettati: nobiltà, potere, ricchezza.
·        L’irrazionale potenza dell’amore travolge i valori del mos, così come impone una nuova gerarchia all’interno della casa e della famiglia tradizionale.
·         Liber I, Monòbiblos,  dal carme I, primi versi
Cynthia prima suis miserum me cepit ocellis,
contactum nullis ante cupidinibus.
Tum mihi constantis deiecit lumina fastus
et caput impositis pressit Amor pedibus,
donec me docuit castas odisse puellas
improbus, et nullo vivere consilio.

Cinzia fu la prima, coi suoi occhi, a sedurmi,  sventurato,
ignaro di alcuna passione.
Allora Amore cancellò  il permanente disprezzo dai miei occhi,
e calpestò il mio capo fino a che,
sciagurato [attribuito ad Amore], mi indusse a  odiare ogni donna virtuosa
e  a vivere dissennatamente.
·         Dal carme II, primi versi
Quid iuvat ornato procedere, vita, capillo
et tenuis Coa veste movere sinus,
aut quid Orontea crinis perfundere murra,
teque peregrinis vendere muneribus
naturaeque decus mercato perdere cultu,
nec sinere in propriis membra nitere bonis?
A che ti giova, vita mia, venire avanti coi capelli adorni,
muovere le tenui pieghe del tessuto di Coo,
profondere la mirra siriana sulle chiome,
 venderti alle merci straniere,
 i naturali tuoi doni dissipare in un trucco acquistato,
e impedire che splenda la tua vera bellezza?

·         Dal Carme XII
               
Mi neque amare aliam neque ab hac desistere fas est:
Cynthia prima fuit, Cynthia finis erit.
Ma io da lei non posso staccarmi, né amare un’altra:
alla fine e all’inizio di me c’è Cinzia.    

Carme VII
[…] Nam citius paterer caput hoc discedere collo
quam possem nuptae perdere more faces,
aut ego transirem tua limina clausa maritus,
respiciens udis prodita luminibus.
Vorrei prima staccarmi la testa dal corpo
che perdere, obbedendo a una moglie, il mio amore,
o passare, maritato con un'altra, innanzi alla tua porta chiusa,
da me tradita, guardandola con occhi madidi di pianto.
[Per Cinzia il poeta rinuncia al matrimonio, alla famiglia, a una progenie (nullus de nostro sanguine miles erit, non si avranno soldati dal mio sangue) e conclude:
Tu mihi sola placet: placeam tibi, Cynthia, solus:                          A me piaci solo tu, Cinzia : che possa piacerti io solo :
hic erit et patrio nomine pluris amor.                                  questo amore avrà più valore che l’amore paterno.]
Carme 13 b
Il poeta detta le proprie disposizioni per il suo funerale: desidera esequie semplici, che vengano portati sulla tomba i suoi “tres libelli”, suo dono principale a Persefone, e che Cinzia segua il feretro straziandosi il petto, invocando il nome del poeta; quando poi il suo corpo sarà stato cremato, chiede che sulla tomba che contiene l’urna siano scolpiti i versi:
“...qui nunc iacet horrida pulvis                                             “colui che qui giace, orrida polvere,
unius hic quondam servus amoris erat”                             fu un tempo schiavo d’un solo amore”.
Si compiace poi di immaginare Cinzia, ormai canuta, ancora fedele alla sua memoria, intenta a recarsi a rendere onore al sepolcro dell’amato Properzio: fas est praeteritos semper amare viros, è un dovere religioso amare sempre i defunti. Conclude la fantasia funebre, immaginando che Cinzia vanamente tenti un dialogo con “il cenere muto” [Catullo, Foscolo]: in questa elegia, almeno nella parte finale, la morte separa i due amanti (la concezione è materialista, epicurea):
Sed frustra mutos revocabis, Cynthia, Manis:                  Ma l’ombra muta invano chiamerai, Cinzia: come
nam mea quid poterunt ossa minuta loqui?                     potranno le mie ossa frantumate parlarti?

LIBER IV, carme VII
Sunt aliquid Manes: letum non omnia finit,
luridaque evictos effugit umbra rogos.
Esistono i Mani : la morte non è fine di tutto,
un’ombra livida sfugge  ai roghi, vittoriosa.
[Cinzia, appena morta, appare in sogno al poeta, preda del dolore e del compianto; ella è vestita come nel giorno delle esequie, ma reca vari segni del passaggio nell’aldilà: la veste appare bruciata sul fianco, le labbra consumate dall’acqua del Lete; la donna rimprovera aspramente l’amato, definito “perfido” perché in grado di addormentarsi quando il lutto è tanto recente; passa quindi a rievocare una serie di momenti felici dell’amore (gli incontri furtivi in vie malfamate, gli amplessi a cielo aperto) e li accosta a “tradimenti della memoria” perpetrati dal poeta: egli non è venuto a piangere abbastanza sulla tomba di Cinzia, non ha asperso abbastanza il rogo di unguenti ed altro ancora. Infine dichiara di essere stata sempre fedele a Properzio e gli chiede alcune, definitive, prove del suo amore assoluto per lei:
Et quoscumque meo fecisti nomine versus,       E tu, qualunque verso scrivesti nel mio nome,
ure mihi: laudes desine habere meas.                  brucialo: non serbare lodi di me.
Il poeta deve curarsi della tomba di Cinzia, dare ascolto ai sogni che “provengono dalle porte dei Campi Elisi” (sono, secondo la tradizione che accoglie anche Virgilio, i sogni veritieri) e soprattutto disporsi a diventare, dopo la morte, “tutto di Cinzia”:
Nunc te possideant aliae: mox sola tenebo:
mecum eris, et mixtis ossibus ossa teram”.
Haec postquam querula mecum sub lite peregit,
inter complexus excidit umbra meos.
Ora t’abbiano le altre, ma presto t’avrò io sola.
E dopo aver pronunciato, con dolente corruccio, queste parole,
nel mio abbraccio l’ombra scomparve.




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