non riguarda il werther, ma si tratta di un interessante elzeviro su massenet
ELZEVIRO LA "MANON" TORNA ALLA SCALA
Il genio Massenet nevrotico gentiluomo
----------------------------------------------------------------- ELZEVIRO La "Manon" torna alla Scala Il genio Massenet nevrotico gentiluomo Non infrequente e' il caso di artisti fecondi, forse troppo, che nella produzione manifestano autentico talento; e che alcun tempo penetrano nella sfera del genio. Massenet e' un caso tipico, sul quale la critica straniera, piu' inglese che francese, da anni lentamente rivede le prospettive; in Italia disponiamo soltanto dell' utilissimo e recente volume di Maurizio Modugno e di sparsi saggi. La Manon di questo grande artista, grande gentiluomo, grande nevrotico, torna alla Scala dopo trent' anni in un trionfale allestimento, con cio' mostrando che per un siffatto teatro una "prima" d' un torrido - umido 12 luglio non necessariamente sia il desinit in piscem della stagione. E con quale mutato orecchio, mutato intelletto, la si riascolta. Chi oserebbe parlar piu' di "opera culinaria" e simili? Si resta sedotti da una raffinatezza di concezione musicale che a volte fa pensare agli esempi massimi; da una perversa precisione nello scandire i tempi teatrali, a Massenet ben vero sempre riconosciuta, che non si appartiene al campo della mera abilita' ; da un crescendo della vicenda, che davvero prende le mosse dal leggero e disincantato incanto delle settecentesche pagine di Prevost, un crescendo, dico, che si sarebbe tentati di attribuire al mestiere del drammaturgo musicale e invece diviene oscura, involontaria, angosciosa proiezione d' un' anima, quella di Massenet, ove il virile e il femmineo si bilanciano con raro fascino. Ma basti di cio' . Conviene rilevare come la passata stagione si fosse chiusa con l' interpretazione pucciniana, bruciantemente diversa, dello stesso capolavoro della narrativa. Caso forse unico, d' un vertice del romanzo che ne genera due nel teatro musicale. Un Direttore Artistico dotato d' intelligenza e dottrina coglierebbe l' occasione per un trittico inserendo nella prossima stagione il tardo e dimenticato altro capolavoro di Massenet Il ritratto di Manon, ove un maturo des Grieux si esprime con sensibilita' e commozione sulla scorsa vicenda e retroattivamente la trasforma. Attesa la sua eccellenza, commento particolareggiato meriterebbe l' allestimento sotto ogni riguardo. In primis va rilevato che la presente edizione non omette, com' e' usuale, il quadro cosiddetto della "Cour de la Reyne", raro straforo di prospettiva musicale: un Lully parodiato da Massenet con straordinaria eleganza. Senza di esso si perde il senso drammaturgico di quello successivo, nella sagrestia di San Sulpizio, ove il giovane ex cavaliere di Malta, superficiale e capriccioso, esordisce quale predicatore avendo voltato le spalle al mondo e abbracciato gli Ordini minori; e poi appassionatamente si ricongiunge alla traditrice recatasi a tentarlo ancora per analogo capriccio. Una piccola gemma e' la Romanza di des Grieux padre, interpretato con ammirevole nobilta' da Alain Vernhes. Costui torna tentando di distogliere il figlio da ulteriore follia: non chiedere il Cielo all' uomo piu' che aurea mediocrita' . L' accento tenero e quasi eroticamente protettivo turba chi abbia avuto in dono un simile Papa' . Chi scrive rivive un momento proprio. L' accenno ai due quadri porta a parlare di regia, bozzetti, figurini. I secondi, sobrii ed elegantissimi, sfumati tra bianco, grigio, creta, sono di Ezio Frigerio, e coraggiosamente ripropongono il fondale dipinto; i terzi vi s' attagliano; la prima manovra con abilita' una scena in continuo moto, con masse piroettanti e un alternarsi di pieno - vuoto (ex: Cour - San Sulpizio) difficili da rendersi espressione drammatica. Un alto risultato professionale e artistico. Al primo posto va segnalata la prestazione del maestro Gary Bertini. Egli vanta innanzitutto il primato di non dire le cretinaggini abituali a tanti suoi colleghi nelle interviste su quotidiani o nei libri - intervista; giorni or sono detto' sulla Manon una dichiarazione ch' e' una lezione. Non minor lezione fornisce sul podio. Peritissimo nell' accompagnamento, si' da alleggerirlo al possibile, e' infallibile nel regolare la complessa macchina; i suoi attacchi sono precisi come un orologio. Ostenta impagabile raffinatezza nei pastiches e nei luoghi ove l' orchestra si scinde in gruppetti cameristici, restituendo anche qui giustizia al genio strumentale di Massenet; e conduce l' opera secondo un disegno drammaturgico coerente ove a passo a passo al settecentesco distacco dal sentimento subentra un pathos ora feroce (il giuoco delle carte), ora alato (il Concertato che segue), ora profondo: l' ultima scena. Positivo e' che la medesima strategia in crescendo, interiore piu' ch' esterno, si applichi coerentemente ai protagonisti. L' esordio di Giuseppe Sabbatini non entusiasma: in particolare, per la poco chiara dizione e la tendenza a nasalizzare il suono. Dalla Romanza presso la "petite table" mostra le bellezze del suo piano; come si precipita verso la catastrofe, la dizione si dipana alcun tanto, gli acuti divengono luminosi; alla fine egli avvince e convince. Anche la piu' che brava Cristina Gallardo Domas riesce da soubrette virtuosissima (l' Aria della Cour) e insieme attrice consumata ("Je suis encore toute etourdie") a crescere progressivamente di statura drammatica senza che cio' porti a un' abusiva prospettiva eroica del personaggio; fino a una morte insieme straziante e coquette. Gino Quilico affronta a tutto tondo, con colore e intensita' baritonali, il ruolo del cugino - ruffiano della protagonista. Charles Burles e Frank Ferrari danno una lezione di recitazione francese in un' opera ove ogni parola andrebbe colta e ove i comprimarii rivestono responsabilita' altissime: il trio delle colleghe di Manon, Donatella Lombardi, Sophie Pondjiclis, Annamaria Popescu, almeno canta bene. di PAOLO ISOTTA
Isotta Paolo
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