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TRADUZIONI DI LATINO: FEDRO, POSTILLA SULLA CONTRASTIVA, TACITO, SENECA, AGOSTINO (in fieri)

FEDRO Lupus et Agnus Ad rivum 1  eundem 2  lupus et agnus venerant 3 , siti compulsi 4 . Superior 5  stabat 6  lupus, longeque 7  infe...

martedì 16 giugno 2015

LE COSE NON CAMBIANO, RITORNANO



A proposito del maccartismo si legge sul dizionario Treccani on line la voce che qui riporto: "Atteggiamento politico che ebbe diffusione negli Stati Uniti d’America negli anni intorno al 1950, caratterizzato da un’esasperata contrapposizione nei confronti di persone, gruppi e comportamenti ritenuti sovversivi; fu così chiamato dal nome del senatore J. R. McCarthy (1908-1957), che diresse una commissione per la repressione delle attività antiamericane operando attacchi personali (per mezzo di accuse pubbliche in genere non provate) nei confronti di funzionarî governativi, uomini di spettacolo e di cultura, ecc. da lui considerati comunisti e, in quanto tali, responsabili di minare i fondamenti politici e ideologici della società americana. Il termine è rimasto in uso nella polemica politica soprattutto per indicare un clima di sospetto generalizzato (caccia alle streghe) determinato da un anticomunismo ottuso e, alla lunga, controproducente."
Invece di cambiare, "le cose ritornano". L'articolo che segue testimonierebbe questo. Lo affido come al solito alla vostra intelligenza.
cb

"Il Manifesto", 15 giugno 2015 - Artisti israeliani in rivolta: "è maccartismo"
Michele Giorgio (giornalista, vive a Gerusalemme)
Erano in cen­ti­naia dome­nica a Giaffa, riu­niti per dire no al «mac­car­ti­smo». Alcuni sono per­so­naggi noti, gli altri no. Tutti arti­sti comun­que, decisi a pro­te­stare con forza con­tro la minac­cia del mini­stero della Cul­tura di revo­care il soste­gno, ossia cen­su­rare, le pro­du­zioni cul­tu­rali che, secondo la mini­stra Miri Regev, «dele­git­ti­mano» Israele.
È la rea­liz­za­zione con­creta della linea, ampia­mente pre­vi­sta dopo la for­ma­zione del nuovo governo Neta­nyahu, di attacco a coloro che all’interno del Paese danno spa­zio alle voci dis­si­denti e poli­ti­ca­mente sco­mode nell’arte e nella cul­tura. Ma nes­suno si aspet­tava che arri­vasse tanto pre­sto la sfida di Regev e anche del suo col­lega all’istruzione Naf­tali Ben­nett, lea­der del par­tito ultra­na­zio­na­li­sta Casa ebraica.
La mini­stra della cul­tura qual­che giorno fa ha scritto sulla sua pagina Face­book che «il con­fine deve essere chiaro. «Non intendo soste­nere le pro­du­zioni cul­tu­rali che dele­git­ti­mano Israele». Poco prima Regev aveva minac­ciato di tagliare i fondi a un tea­tro, gestito da un regi­sta arabo, per­ché non vuole por­tare le sue pro­du­zioni anche nelle colo­nie ebrai­che nei Ter­ri­tori pale­sti­nesi occu­pati. A far salire la ten­sione ha con­tri­buito la recente deci­sione del mini­stro Ben­nett di revo­care i finan­zia­menti asse­gnati a una rap­pre­sen­ta­zione per le scuole del tea­tro al Midan di Haifa, ispi­rata alla vicenda di un dete­nuto arabo, Walid Daka, che ha ucciso nel 1984 un sol­dato israe­liano, Moshe Tamam.
Dome­nica, in un’atmosfera incan­de­scente, la mini­stra Regev era al cen­tro delle accuse degli arti­sti a Giaffa. Il più duro è stato l’attore di tea­tro Oded Kot­tler che, qual­che ora prima aveva sca­te­nato un puti­fe­rio para­go­nando a un gregge di bestie gli elet­tori del Likud, il par­tito del primo mini­stro e della stessa Regev.
Molto applau­dito l’intervento di Michael Gure­vitch, il diret­tore arti­stico del tea­tro Khan di Geru­sa­lemme – dove un paio d’anni fa fu rap­pre­sen­tato in ebraico Il mio nome è Rachel Cor­rie, diretto da Ari Remez, con l’attrice israe­liana Sivane Kretch­ner nei panni dell’attivista ame­ri­cana tra­volta e uccisa nel 2003 da un bull­do­zer mili­tare israe­liano a Rafah – che è stato accolto con un lungo applauso quando ha pro­po­sto uno scio­pero di tutte le isti­tu­zioni cul­tu­rali. «Non ci può essere alcun dia­logo con Regev fin­ché cer­cherà di influen­zare le opere d’arte. Per­ché non può deter­mi­nare lei ciò che dan­neg­gia o meno sicu­rezza e imma­gine dello Stato», ha detto Gure­vitch. Gli arti­sti rin­no­vano l’appello a sot­to­scri­vere la peti­zione online con­tro le «misure anti­de­mo­cra­ti­che adot­tate da espo­nenti del governo per uomini di cul­tura le cui opere e opi­nioni non sono con­formi con quelle ministeriali».
Regev ha negato l’accusa di «mac­car­ti­smo». Da parte sua il mini­stro Ben­nett ha smen­tito l’intenzione di voler inter­fe­rire nella pro­du­zione cul­tu­rale ma ha difeso la deci­sione di impe­dire uno spet­ta­colo tea­trale che «mostra sim­pa­tia per un assassino».
Ben-Dror Yemini colum­nist del quo­ti­diano Yediot Ahro­not, che nei giorni scorsi aveva dura­mente attac­cato il movi­mento Bds che chiede il boi­cot­tag­gio di Israele, da un lato ha rico­no­sciuto che la libertà di espres­sione e di pro­vo­ca­zione sono «il cuore e l’anima della demo­cra­zia» ma dall’altro ha appog­giato pie­na­mente i tagli. «Certi arti­sti vogliono pro­cla­mare che Israele è cri­mi­nale, lascia­teli fare. Vogliono fare del tea­tro ispi­rato a un assas­sino, fateli fare…ma non si capi­sce per­chè i cit­ta­dini israe­liani dovreb­bero finan­ziare la deni­gra­zione dello Stato», ha scritto.
Per Bashar Mur­kus, autore e regi­sta dello spet­ta­colo tea­trale bloc­cato, la mossa del mini­stro Ben­nett con­fer­me­rebbe le forti con­trad­di­zioni «di uno Stato che si defi­ni­sce demo­cra­tico». Nello spet­ta­colo, ha detto Mur­kus, «cerco solo di ren­dere evi­dente l’aspetto umano del pri­gio­niero… Nes­suno lo tratta come un essere umano e sul palco è bello e impor­tante guar­dare e ascol­tare la pro­fon­dità umana». Il mini­stro dell’Istruzione invece non trova in alcun modo scon­ve­niente che al pros­simo Jeru­sa­lem Film Festi­val (in parte finan­ziato dallo Stato) ci sarà un docu film su Yigal Amir, in cui l’assassino del primo mini­stro Yitz­hak Rabin nel 1995, è rap­pre­sen­tato con un volto molto umano. In que­sto caso la libertà di espres­sione è pie­na­mente garantita.

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