Ho capito,
all’improvviso, dopo anni di uso e abuso del termine con professorale noncuranza, il vero significato della parola clinàmen.
La folgorazione è
giunta ieri pomeriggio, dopo aver corretto 26 temi d’esame di Stato (24 il giorno prima) in afose, asfittiche, decadenti
aule di due licei artistici torinesi.
Con la testa piena di frasi fatte
sull’orrore tecnologico, sulla fluidità del confine-non confine rappresentato
dal mare Mediterraneo, sull’importanza delle penne, dei libri, degli insegnanti
per fondare la libertà di istruirsi, con il cuore stretto dalla pietà (sì,
quella con cui dice di voler combattere Dante agens all’inizio della Divina
commedia) per questi ragazzi che cercano di dire quello che noi abbiamo fatto credere loro sia giusto
dire, ho visto scaturire da una di queste menti vivaci
e potenzialmente libere un pensiero poetico, meraviglioso, struggente: una
farfalla, ritagliata e dipinta con delicati colori acquarello, entra fiduciosa
in una bottiglia, credendo che sia un varco per un altro mondo. Si dibatte un
po’, al suono di una musica eterea come lei, poi ne esce intatta e fiera, come
se nulla fosse accaduto. Fuori forse c’è il nulla, chissà, ma lei lo riempie con
i suoi colori e la sua vibrazione. La sua libertà di essere si manifesta così,
lietamente, armonicamente, empaticamente.
Il clinàmen permette alla farfalla di uscire dalla bottiglia e spiegare le sue ali al
sole. Approvino pure il ddl contro il quale mi sono vanamente battuta e per cui
mi sono scompostamente agitata. Servirà
a scuotere la bottiglia e a far uscire le farfalle che vi sono entrate: sulle loro ali c’è una polvere impalpabile che consente
di volare. La musica accompagna la danza dei movimenti e da tutto questo nascerà
pensiero libero e divergente.
cb
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