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martedì 15 settembre 2015

Pensieri di Leopardi su infinito, indefinito e vago (anche sul Baldi)

La teoria del piacere, L’infinito        
Il sentimento della nullità di tutte le cose, la insufficienza di tutti i piaceri a riempirci l’animo, e la tendenza nostra verso un infinito che non comprendiamo, forse proviene da una cagione semplicissima, e più materiale che spirituale. L’anima umana (e così tutti gli esseri viventi) desidera sempre essenzialmente, e mira unicamente, benché sotto mille aspetti, al piacere, ossia alla felicità, che considerandola bene, è tutt’uno col piacere. Questo desiderio e questa tendenza non ha limiti, perch’è ingenita e congenita con l’esistenza, e perciò non può avere fine in questo o quel piacere che non può essere infinito, ma solamente termina con la vita. E non ha limiti 1. né per durata, 2. né per estensione [...] perché nessun piacere è immenso, ma la natura delle cose porta che tutto esista limitatamente e tutto abbia confini, e sia circoscritto. [...] Non ha limiti per durata perché non finisce se non con l’esistenza. [...] Non ha limiti per estensione perch’è sostanziale in noi, non come desiderio di uno o più piaceri, ma come desiderio del piacere. Ora una tal natura porta con sé materialmente l’infinità, perché ogni piacere è circoscritto, ma non il piacere la cui estensione è indeterminata, e l’anima mando sostanzialmente il piacere, abbraccia tutta l’estensione immaginabile di questo sentimento senza poterla neppur concepire, perché non si può formare idea chiara di una cosa che ella desidera illimitatamente.
[...] Veniamo all’inclinazione dell’uomo all’infinito. Indipendentemente dal desiderio del piacere, esiste nell’uomo una facoltà immaginativa, la quale può concepire le cose che non sono, e in un modo in cui le cose reali non sono. Considerando la tendenza innata dell’uomo al piacere, è naturale che la facoltà immaginativa faccia una delle sue principali occupazioni della immaginazione del piacere. E stante la detta proprietà di questa forza immaginativa, ella può figurarsi dei piaceri che non esistono, e figurarseli infiniti 1. in numero, 2. in durata, 3. e in estensione. Il piacere infinito che non si può trovare nella realtà, si trova così nella immaginazione, dalla quale derivano la speranza, le illusioni, ec. Perciò non è meraviglia 1. che la speranza sia sempre maggiore del bene, 2. che la felicità umana non possa consistere se non nella immaginazione e nelle illusioni.
[...] L’infinità della inclinazione dell’uomo al piacere è un’infinità materiale, e non se ne può dedurre nulla di grande o d’infinito in favore dell’anima umana, più di quello che si possa in favore dei bruti nei quali è naturale che esista lo stesso amore e nello stesso grado, essendo conseguenza immediata e necessaria dell’amor proprio.
p. 521, Il vago, l’indefinito e le rimembranze della fanciullezza
Da fanciulli, se una veduta, una campagna, una pittura, un suono ec. un racconto, una descrizione, una favola, un'immagine poetica, un sogno, ci piace e diletta, quel piacere e quel diletto è sempre vago e indefinito: l'idea che ci si desta è sempre indeterminata e senza limiti: ogni consolazione, ogni piacere, ogni aspettativa, ogni disegno, illusione ec. (quasi anche ogni concezione) di quell'età tien sempre all'infinito: e ci pasce e ci riempie l'anima indicibilmente, anche mediante i minimi oggetti. Da grandi, o siano piaceri e oggetti maggiori, o quei medesimi che ci allettavano da fanciulli, come una bella prospettiva, campagna, pittura ec. proveremo un piacere, ma non sarà più simile in nessun modo all'infinito, o certo non sarà così intensamente, sensibilmente, durevolmente ed essenzialmente vago e indeterminato. Il piacere di quella sensazione si determina subito e si circoscrive: appena comprendiamo qual fosse la strada che prendeva l'immaginazione nostra da fanciulli, per arrivare con quegli stessi mezzi, e in quelle stesse circostanze, o anche in proporzione, all'idea ed al piacere indefinito, e dimorarvi. Anzi, osservate che forse la massima parte delle immagini e sensazioni indefinite che noi proviamo pure dopo la fanciullezza e nel resto della vita, non sono altro che una rimembranza della fanciullezza, si riferiscono a lei, dipendono e derivano da lei, sono come un influsso e una conseguenza di lei; o in genere, o anche in ispecie; vale a dire, proviamo quella tal sensazione, idea, piacere ec., perché ci ricordiamo e ci si rappresenta alla fantasia quella stessa sensazione immagine ec. provata da fanciulli, e come la provammo in quelle stesse circostanze. Così che la sensazione presente non deriva immediatamente dalle cose, non e un immagine degli oggetti, ma della immagine fanciullesca; una ricordanza, una ripetizione, una ripercussione o riflesso della immagine antica.


(G. Leopardi, Zibaldone, 514-516)

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