La teoria del
piacere, L’infinito
Il
sentimento della nullità di tutte le cose, la insufficienza di tutti i piaceri
a riempirci l’animo, e la tendenza nostra verso un infinito che non
comprendiamo, forse proviene da una cagione semplicissima, e più materiale che
spirituale. L’anima umana (e così tutti gli esseri viventi) desidera sempre
essenzialmente, e mira unicamente, benché sotto mille aspetti, al piacere,
ossia alla felicità, che considerandola bene, è tutt’uno col piacere. Questo
desiderio e questa tendenza non ha limiti, perch’è ingenita e congenita con
l’esistenza, e perciò non può avere fine in questo o quel piacere che non può
essere infinito, ma solamente termina con la vita. E non ha limiti 1. né per
durata, 2. né per estensione [...] perché nessun piacere è immenso, ma la natura
delle cose porta che tutto esista limitatamente e tutto abbia confini, e sia
circoscritto. [...] Non ha limiti per durata perché non finisce se non con
l’esistenza. [...] Non ha limiti per estensione perch’è sostanziale in noi, non
come desiderio di uno o più piaceri, ma come desiderio del piacere. Ora una tal
natura porta con sé materialmente l’infinità, perché ogni piacere è
circoscritto, ma non il piacere la cui estensione è indeterminata, e l’anima
mando sostanzialmente il piacere, abbraccia tutta l’estensione immaginabile di
questo sentimento senza poterla neppur concepire, perché non si può formare
idea chiara di una cosa che ella desidera illimitatamente.
[...]
Veniamo all’inclinazione dell’uomo all’infinito. Indipendentemente dal
desiderio del piacere, esiste nell’uomo una facoltà immaginativa, la quale può
concepire le cose che non sono, e in un modo in cui le cose reali non sono.
Considerando la tendenza innata dell’uomo al piacere, è naturale che la facoltà
immaginativa faccia una delle sue principali occupazioni della immaginazione
del piacere. E stante la detta proprietà di questa forza immaginativa, ella può
figurarsi dei piaceri che non esistono, e figurarseli infiniti 1. in numero, 2.
in durata, 3. e in estensione. Il piacere infinito che non si può trovare nella
realtà, si trova così nella immaginazione, dalla quale derivano la speranza, le
illusioni, ec. Perciò non è meraviglia 1. che la speranza sia sempre maggiore
del bene, 2. che la felicità umana non possa consistere se non nella immaginazione
e nelle illusioni.
[...]
L’infinità della inclinazione dell’uomo al piacere è un’infinità materiale, e
non se ne può dedurre nulla di grande o d’infinito in favore dell’anima umana,
più di quello che si possa in favore dei bruti nei quali è naturale che esista
lo stesso amore e nello stesso grado, essendo conseguenza immediata e
necessaria dell’amor proprio.
p.
521, Il vago, l’indefinito e le rimembranze della fanciullezza
Da fanciulli, se una veduta, una campagna,
una pittura, un suono ec. un racconto, una descrizione, una favola, un'immagine
poetica, un sogno, ci piace e diletta, quel piacere e quel diletto è sempre
vago e indefinito: l'idea che ci si desta è sempre indeterminata e senza
limiti: ogni consolazione, ogni piacere, ogni aspettativa, ogni disegno,
illusione ec. (quasi anche ogni concezione) di quell'età tien sempre
all'infinito: e ci pasce e ci riempie l'anima indicibilmente, anche mediante i
minimi oggetti. Da grandi, o siano piaceri e oggetti maggiori, o quei medesimi
che ci allettavano da fanciulli, come una bella prospettiva, campagna, pittura
ec. proveremo un piacere, ma non sarà più simile in nessun modo all'infinito, o
certo non sarà così intensamente, sensibilmente, durevolmente ed essenzialmente
vago e indeterminato. Il piacere di quella sensazione si determina subito e si
circoscrive: appena comprendiamo qual fosse la strada che prendeva
l'immaginazione nostra da fanciulli, per arrivare con quegli stessi mezzi, e in
quelle stesse circostanze, o anche in proporzione, all'idea ed al piacere
indefinito, e dimorarvi. Anzi, osservate che forse la massima parte delle
immagini e sensazioni indefinite che noi proviamo pure dopo la fanciullezza e
nel resto della vita, non sono altro che una rimembranza della fanciullezza, si
riferiscono a lei, dipendono e derivano da lei, sono come un influsso e una conseguenza
di lei; o in genere, o anche in ispecie; vale a dire, proviamo quella tal
sensazione, idea, piacere ec., perché ci ricordiamo e ci si rappresenta alla
fantasia quella stessa sensazione immagine ec. provata da fanciulli, e come la
provammo in quelle stesse circostanze. Così che la sensazione presente non
deriva immediatamente dalle cose, non e un immagine degli oggetti, ma della
immagine fanciullesca; una ricordanza, una ripetizione, una ripercussione o
riflesso della immagine antica.
(G. Leopardi, Zibaldone,
514-516)
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