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venerdì 22 dicembre 2017

SPETTACOLO AL VARCO

Un locale dove non ti aspetti:  appare in mezzo alla nebbia di una serata misteriosa (è misterioso che finalmente a Torino ci sia la nebbia ed è un mistero come abbia fatto a materializzarsi questo locale dove tu e il tuo accompagnatore non l'avevate mai notato prima) e provi subito un soprassalto di entusiasmo. Ti senti come il protagonista del Lupo della steppa  quando spunta l'insegna luminosa del teatro magico. Entri come chi si aspetta possa capitare di non oltrepassare  di nuovo quella soglia, fiduciosa e sventata, disposta a tutto. Disposta all'oblìo e al coinvolgimento. Disposta a emozionarti finalmente, oltre ogni limite consentito. Disposta a entrare per non uscire più.  Cerchi lo sguardo del tuo amico e riconosci il tuo stesso stato d'animo. Dunque il Varco è qui, finalmente trovato.
Il titolo che vi ha indotti a entrare è un ossimoro già sentito, il titolo di un romanzo letto tanti anni or sono e dimenticato. C'è di mezzo un ammiccamento pirandelliano, Maschere che sanguinano, ma non è nemmeno da lì che scaturisce l'attrazione. Inoltre, nemmeno per un attimo pensi possa trattarsi della messa in scena di quello scritto, di cui non ricordi nulla. 
La sala è quasi piena, ma silenziosa. Le sedie sono di legno con la ribalta: l'ambientazione è retro e  dubiti persino che  valga il divieto di fumare, dato che l'aria sembra spessa e leggermente tabaccosa. Non provi fastidio, ma curiosità, poi le luci calano e fate appena in tempo a sedervi che lo spettacolo ha inizio.
Quando il sipario si alza (un vecchio sipario, spessi tendoni di velluto nero), si scorgono solo ombre.  Gli occhi faticano a mettere a fuoco, perché l'aria pare colorata di rosso, o forse di viola, non sapresti dire, non sei nemmeno sicura si tratti di un gioco sapiente di luci oppure se siano le tue percezioni a essere un po' imprecise. 
Poi inizia la vertigine del testo, che una voce roca, di donna malvissuta (di etèra ti trovi a pensare), inzia a sillabare, e le parole frugano nella tua anima inquieta e stropicciata. 
Tedio che affonda. Tedio che circonda. Parole che non hanno senso, si rapprendono e si gelano. Che non vorresti aver pronunciato e nemmeno sentito. Parole che intrecciano carole e compiono capriole. Parole che esalano sospiri e non pensieri, in un vortice che si avvita su se stesso e non si stempera. Vorresti, ora,  riuscire a evocare la musica con le parole, ma la musica basta a se stessa, e sempre finisce, una volta per tutte. 
Un violino solo e purissimo, suonato dietro alle quinte. Una melodia dolce,  a tratti un po' tzigana, che parla di deserti e di onde alte in un oceano lontano. Su quella melodia, nella sala sempre avvolta dalla luce rossastra,  si materializzano gambe femminili, accavallate su un divano nero. Sono loro le labbra che parlano? O sono loro il violino che suona? Sempre il sapiente gioco di luci impedisce di vedere alcunché, a parte le gambe, a parte, dopo un po', le mani.  Lunghi guanti  di velluto nero, che paiono staccati dal corpo, vivere di vita propria e comunicare qualche cosa. La loro solitudine e una richiesta di attenzione.
Intanto la voce roca e il violino continuano a raccontare una storia. A te una, al tuo compagno un'altra, vi confesserete al termine dello spettacolo. Impossibile sostenere di essere stati presenti alla stessa messa in scena. Tu sai di avere pianto, senza trattenerti come fai di solito. Sai di avere riso, a un certo punto, come può capitarti di fare abbastanza spesso abbandonandoti all'irragionevolezza. Hai capito che questo è un teatro fisico e metafisico, che i suoi spettacoli sono dedicati a ognuno, e che in questo momento è l'unica forma d'arte in grado di darti appagamento. L'unica forma d'arte che sei in grado di sopportare.
Consiglio a tutti di cercare il Varco (questo il nome emblematico) e di vedere uno degli spettacoli che mette in scena, nella seconda parte della notte, per un pubblico che non può essere mai lo stesso.

http/ilvarcoqui%&999farinellanotte.net


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