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giovedì 24 maggio 2018

TU SCALAVI LE MONTAGNE

Avevo vent'anni e  alcune storie d'amore vivaci e spensierate in corso. Erano gli anni Sessanta, la fine degli anni Sessanta. I meravigliosi anni Sessanta, quelli di cui dice Ascanio Celestini nel film che racconta, tra l'altro, dei matti che riescono anche, purché qualche benpensante non cerchi di aiutarli, a essere felici.
Oh, i meravigliosi, indimenticabili anni Sessanta, in cui era così facile decidere di fare l'amore con qualcuno perché si era ascoltata a scuola una lezione del professore di lettere (o di filosofia) sull'amore assoluto. Oppure no, non era per la lezione, ma per l'eterno gioco degli ormoni, detti anche sentimenti quando si vuole essere, appunto, sentimentali, o raffinati, o intellettuali. O semplicemente quando si vuole dire sono nato e... (non sono nato ma...). 
Di lui ricordo il profilo da elfo e la forza guizzante in tutte le membra. Poi sento ancora nettamente alcuni suoi discorsi sulla natura e sulla vita. Era un uomo che sapeva cosa significa godere  e aveva fatto di questo sentire un elemento essenziale della vita. Sulle cime che scalava cercava la gioia, la felicità come pienezza di esistere. Lo stesso quando stava con me. E magari con qualcun'altra, non era per nulla importante.
 Quella gioia di esistere non si lascia imprigionare mai. Fluisce liberamente nei corpi, proviene dalla natura e sa cogliere gli attimi di estasi come nessun'altra forma di piacere. 
Come nelle Metamorfosi  di Ovidio, apoteosi del mito che racconta come tutto continuamente muti, come indistinti siano i confini tra tutte le cose, mentre un deus absconditus s'aggira continuamente negli interstizi dell'etere e col suo tocco ispirato da imperscrutabili motivi porta il mutamento. Anche dei sentimenti, delle sensazioni, che non fanno in tempo a sbocciare e a essere colte, che già sono qualcosa d'altro. L'imprecisione della parola che tenta di fermare in una dichiarazione (ti amo) quello che già è passato. Ti amavo, qualche istante or sono, ma ora non so più, devo fondarmi su un ricordo, che per sua natura è impreciso. 
L'ultima immagine che ho è il tuo profilo da elfo bagnato di pioggia. Un'immagine impossibile, dato che eravamo sulla tua automobile e io sono scesa d'impeto dopo una tua frase un po' infelice. Dopo quello c'è un vuoto e poi la morte, alla quale per anni non ho pensato. Ora ci penso, perché il solito dio nascosto ha prodotto un nuovo mutamento. 

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